L’Università di Udine è così inclusiv* che non accetta le critiche
«Se queste istituzioni non sono aperte e pluraliste, se raffreddano il discorso e ostracizzano coloro che hanno punti di vista impopolari, se portano gli studiosi a evitare interi argomenti per paura, se danno la priorità al comfort emotivo rispetto alla ricerca spesso scomoda della verità, chi modellerà il discorso necessario per sostenere la libertà in una società che si autogoverna?». Con queste parole riferite alle università, Pano Kanelos, ex rettore del St. John College di Annapolis, presentava la University of Texas, ateneo nato in risposta alla censura delle opinioni non progressiste che si è fatta sempre più forte nell’accademia americana. Scopo dichiarato, «l’intrepida ricerca della verità», ma non nel senso di un pensiero unico indiscutibile.
Il feticcio dell’inclusività
«Facoltà e amministrazione hanno abdicato alla missione di ricerca della verità dell’università e guidano invece l’intolleranza verso idee e opinioni diverse», scriveva qualche settimana prima il filosofo Peter Boghossian dimettendosi dalla Portland University, prima di raccontare a Tempi come qualunque discorso riguardante razza, genere e orientamento sessuale sia vittima da anni di un “riciclaggio delle idee” che porta quegli argomenti a diventare centrali nel dibattito accademico e a potere essere trattati soltanto in un senso.
Problema soltanto americano? Tutt’altro. Avvisaglie di intolleranza progressista si iniziano a vedere anche in Italia, ma poiché la storia spesso si ripete in farsa, e le cose esistono soltanto quando finiscono sui social, a tenere banco in questi giorni è l’imbarazzantissima campagna promozionale dell’Università di Udine. L’inclusività è da tempo il nuovo feticcio con cui si baloccano quelli che la sanno lunga, la parola magica da affiancare a “sostenibilità” per avere la coscienza a posto. Tutto oggi deve essere inclusivo, gli auguri di Natale senza dire che è Natale, la scuola, le professioni, gli scioperi, il linguaggio, e naturalmente l’università.
Chi critica l’Università di Udine non conta niente
«Cresce con tutt* e per tutt*» è lo slogan scelto dall’Ateneo di Udine per invitare gli studenti a iscriversi ai propri corsi di studio. «UNIUD è inclusiva», si spiega subito sotto, nel caso a qualcuno fosse venuto il dubbio che gli asterischi escludessero qualcuno. Ora da un’intera pagina dedicata alla questione oggi sul Messaggero Veneto, si viene a sapere che questa campagna marketing va avanti già da due anni. La polemica è partita da un tweet di Giordano Bruno Guerri, che prendeva in giro i manifesti scritti nello stile di un editoriale di Michela Murgia: «Pover* Universit* di Udin*, la stoltezz* ti ha toccat*».
Pover* universit* di Udin*, la stoltezz* ti ha toccat*. pic.twitter.com/HNNUJc2hIb
— GiordanoBrunoGuerri (@GBGuerri) December 19, 2021
Da lì la foto è stata vista da molti, commentata da ancora di più, criticata dai soliti e difesa dagli altrettanto soliti nel classico giochino delle parti che si scatena ogni volta che qualcuno si sente in diritto di cambiare la lingua italiana inserendo asterischi, schwa e altri ammennicoli già bocciati dall’Accademia della Crusca. Tutta pubblicità, commenta fregandosi le mani Valeria Filì, delegata del rettore alle pari opportunità: «Il fatto che sui social se ne accorgano ora ci dà più visibilità».
E guerra al pensiero reazionario e conservatore sia!
Filì sembra uscire da un tweet della Marzano, da un corridoio di Bruxelles, da un aneddoto di Boghossian sulle università americane, ed è la smentita perfetta a chi si ostina a dire che il politicamente corretto non esiste, è una fissazione dei reazionari di destra e che negli atenei italiani c’è spazio per ogni tipo di pensiero: «Le persone che si meravigliano per la campagna che portiamo avanti da tre anni, non capiscono che i tempi sono cambiati», ha detto al Messaggero Veneto. «È indice di un pensiero conservatore e reazionario, ma noi non abbiamo paura». E guerra sia al pensiero non allineato, dunque, con tanto di promessa di querele a chi esagererà nelle critiche.
Filì è giurista, non sappiamo se fine, ma è partita lancia in resta contro tutte le discriminazioni improvvisandosi anche linguista e semiologa: «La lingua italiana non ha il genere neutro e da tempo stiamo portando avanti l’idea di declinazione di genere, compresa la tutela delle persone transgender». Insomma: Zan, magna tranquillo, ci pensa l’Università di Udine (città «spesso alla ribalta per aver difeso i diritti civili» scrive il Messaggero, vero Eluana?). E a proposito di intrepida ricerca della verità, Filì galoppa: «Nel momento in cui abbiamo deciso di rivolgere la campagna ai giovani abbiamo voluto evidenziare che ci sono tanti generi». I giovani, si sa, sono tutti un po’ più fluidi, e in nome del progresso – ma solo di quello – diritto, pensiero e scienza possono essere messi da parte: «In quell’asterisco ognuno ci mette quello che vuole».
Alla fine ci sono sempre di mezzo i soldi
Filì svolge alla perfezione il ruolo di funzionario della propaganda del manifesto progressista dell’Università friulana, che non per niente ha come motto “Hic sunt futura”, e minaccia: «Finché ci sarò io come delegato (sic, ndr) alle Pari opportunità confermerò gli asterischi». Il mondo va avanti, le persone che criticano gli asterischi «anagraficamente appartengono a un certo mondo» (sottinteso: dunque non contano), e Filì prosegue la sua intervista esaltando le novità in fatto di identità alias per le persone in transizione. Ma poi, dopo tutte le belle parole sull’importanza ideale dell’inclusione, in cauda veritas. Scrive il Messaggero Veneto: «Non solo, Filì ricorda che il Consiglio di amministrazione ha approvato il Piano delle azioni positive diventato obbligatorio per tutti gli atenei, senza il quale non possono accedere ai fondi del Pnrr». Ah, ecco.
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