
Invece di urlare che «l’Europa cancella il Natale», facciamo come Isabel Ayuso

La Commissione europea è finita vittima di se stessa e ha ritirato le linee guida sulla comunicazione inclusiva che hanno provocato polemiche e discussioni nelle 24 ore successive alla loro pubblicazione. La commissaria europea all’Uguaglianza, Helena Dalli, ha spiegato che scopo del documento era «illustrare la diversità della cultura europea e mostrare la natura inclusiva della Commissione europea verso tutti i ceti sociali e le credenze dei cittadini europei». Scopo evidentemente non raggiunto.
«Non è un documento maturo»
Per capirci, stiamo parlando della circolare interna (ma non «segreta» come scritto da qualcuno) in cui si suggeriva ai funzionari di Bruxelles tra le altre cose di sostituire, nelle comunicazioni, “Natale” con “festività” e i nomi come “Maria” e “Giovanni” con “Malika” e “Julio”. A forza di includere tutti gli altri, in effetti, i cristiani si potrebbero sentire esclusi: «La versione delle linee guida pubblicata non serve adeguatamente» allo scopo di «mostrare la natura inclusiva della Commissione», ha ammesso la commissaria. «Non è un documento maturo e non soddisfa tutti gli standard di qualità della Commissione».
Bene così, anche se pensare che un tale documento avesse l’obiettivo di «cancellare il Natale», impedire ai cittadini europei di chiamare i propri figli Maria e Giovanni, o eliminare le radici cristiane dell’Europa, è oggettivamente un’esagerazione. Non siamo però così naïf da credere che le indicazioni sul linguaggio da utilizzare nei palazzi della burocrazia europea siano soltanto gentili consigli tra colleghi scritti da Pollyanna, semmai riflettono in modo stupido i tic politicamente corretti di chi pensa che un certo tipo di linguaggio sia offensivo, e in nome dell’inclusività giunge a soluzioni grottesche come suggerire di non usare più “miss” e “mister” per non ferire chi non si identifica in un sesso specifico.
Il post sul Natale della Ayuso
Che il protagonista del Natale non sia più Gesù Bambino non è una novità del 2021, ma storia nota già da un po’ (nel 2013 Tempi dedicava la copertina del numero del 25 dicembre a “Gesù bandito”), nel mondo anglosassone sono anni che si dice “Happy holidays” invece di “Merry Christmas”, e quest’anno le famose installazioni natalizie luminose di Carnaby Street a Londra sono dedicate alle farfalle invece che a Babbo Natale (troppo divisivo?). Ma prendersela pavlovianamente con quel documento incolpandolo della scristianizzazione burocratica dell’occidente è un po’ troppo facile: le linee guida della Commissione – giustamente ritirate, alla faccia di chi si è affrettato a spiegare che “non è vero” – non volevano imporre con forza di legge un nuovo linguaggio a tutti europei, né cancellare una tradizione, semmai recepivano in modo grottesco e preoccupante lo spirito del tempo che già si è fatto largo in occidente.
Ecco perché, tra le tante reazioni di chi ha twittato contro l’Europa, o annunciato interrogazioni parlamentari, vale la pena di segnalare la coraggiosa semplicità del presidente della comunità di Madrid, la popolare Isabel Díaz Ayuso, la quale come l’anno scorso ha voluto fare il presepe della città alla porta del Sol, e inaugurandolo ha detto: «Dopo duemila anni continuiamo a celebrare questo mistero di un Bambino nato a Betlemme in un presepe, e che chiamarono il Messia, il Salvatore. Quel Bambino, che i pastori e i magi adorarono, e che Erode voleva uccidere, portava un insegnamento che non si era mai sentito con tale forza e che sarebbe risuonato fino a oggi: “La verità vi renderà liberi”. Non c’è da stupirsi che il cristianesimo sia stato il germe dell’Unione europea, nella cosiddetta “Cristianità”, della fondazione delle università nel mondo, o dell’impresa spagnola in America, che fu principalmente un’impresa cristiana, e quindi di amore e fratellanza: di meticciato».
«Il messaggio cristiano, che si abbia fede o no, impregna il nostro modo di vivere come persone e come società: la cura dei malati, dei bambini, dei poveri, la solidarietà nella fatica e nella gioia condivise, il tentativo di reinserire nella società i carcerati, la giustizia, il perdono e la speranza. Sono aspirazioni che condividiamo e ci uniscono, sono un orizzonte a cui aspiriamo. Il premio di questa ricerca della verità, attraverso l’amore, è la libertà. Il mondo cristiano, occidentale, ha sempre desiderato la libertà, anche se ha avuto cadute, o commesso errori; ed è stata scuola di libertà per il resto del mondo, anche rifugio e protezione di quelli che l’avevano persa. Per questo motivo questa tradizione ogni anno è molto più di una semplice tradizione: Natale e il presepe mostrano l’attualità di questo impegno per la verità, la libertà e l’amore, che deve guidare ogni vita umana degna di tale nome. È la nostra storia stessa, la ragione dei nostri sforzi quotidiani, e il futuro a cui aspiriamo, con gioia e speranza». E non c’è linea guida che tenga.
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1 commento
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Buongiorno,
non condivido il tono dell’articolo bonario e rassicurante con la nascosta preoccupazione di non alzare i toni potremmo dar fastidio ai timpani di qualcuno. Sembra dire tanto non succede niente lasciamoli fare…
Certe logiche e linguaggio sta passando anche nella nostra societa’ sui giornali, televisioni, nelle scuole ed un po’ dappertutto
Bene l’inziativa del sindaco di Madrid, qualcuno lo dica al vs. Sala e da noi ad Antoni Decaro.
“Non lasciamoci ingannare il politicamente corretto – continua Mauro – non è un innocuo galateo, ma l’ideologia e lo strumento di una sinistra transitata dal desueto linguaggio della lotta di classe alla teoria dei nuovi diritti. Nella Genesi l’uomo s’appropria della realtà quando Dio ordina di dare un nome alle cose. Un principio applicato da tutte le rivoluzioni e sancito per la prima volta dal Pcus sovietico che definì «politicamente corretto» ogni atto in linea con i suoi dettami. Un secolo dopo il politicamente corretto è lo strumento usato della sinistra radicale americana e da quella europea per cambiare la realtà. Non a caso la «cancel culture» prevede di cambiare il corso della storia e trasformare i vinti in vincitori attraverso operazioni semantiche»
Alessio Dimaggio