La vera scuola esiste solo in presenza. Lo dimostra la generazione dad americana e lo tsunami di F (voti gravemente insufficienti) che sta travolgendo gli Stati Uniti. Il caos regna dalla fine dell’estate, quando ogni città e distretto ha deciso la propria strategia di riapertura in sicurezza, il tutto tra scioperi e rivendicazioni degli insegnanti, dichiarazioni contradditorie dell’American Academy of Pediatrics, cause alle amministrazioni ora a favore della didattica a distanza, ora in presenza, classi vuote (professori e studenti collegati da casa come a Nashville) o semivuote (il beneficio della scelta rimesso alle famiglie come nel caso di Indianapolis), settimane brevi (il sistema ibrido di New York).
Gli alunni di fatto sono ancora abbandonati alle connessioni da remoto e piattaforme come Zoom, Google Classroom, Microsoft Teams, proprio come in primavera, quando 24,2 milioni di bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni iscritti alle scuole pubbliche hanno perso circa due mesi di istruzione: secondo uno sconvolgente studio pubblicato dal Journal of American Medical Association (che collega bassi livelli di istruzione ad inferiori possibilità di ottenere in futuro un lavoro stabile, copertura assicurativa e congedo retribuito per malattia, nonché sulla qualità dell’esistenza) questo “buco” nella didattica equivarrà a oltre cinque milioni di anni di vita persi per tutta la popolazione scolastica e saranno i più vulnerabili a pagare il prezzo più alto delle serrate scolastiche: nelle scuole frequentate prevalentemente da studenti neri e ispanici infatti solo il 60 per cento ha effettivamente partecipato regolarmente alle lezioni online. Un bilancio esagerato?
I DANNI DELLA DAD E QUELLI DELLE “F”
Da settimane i giornali americani stanno monitorando gli effetti di quella che hanno già ribattezzato «pandemic learning» che da mesi costringe bambini a imparare a casa davanti a un computer o rientrare in classe mascherati e distanziati, una situazione che ha fatto impennare i casi segnalati agli operatori sanitari di ansia e depressione. Ma invece di arrivare alle conclusioni dei ricercatori pubblicati dal Journal of American Medical Association (riassunto di Repubblica: tenere le scuole aperte avrebbe quasi certamente comportato una perdita di anni di vita decisamente inferiore a quella che in effetti si verificherà) la domanda è un’altra: «È giusto ricorrere al sistema di valutazione regolare AF quando nulla è stato regolare nella loro vita nel modo di vivere e apprendere e non lo sarà ancora per molto?» si chiede il Washington Post. Il problema è tutto qui: durante la scorsa primavera molti distretti decisero di sospendere le valutazioni e rivoluzionarono il sistema delle pagelle per un discorso di “equità”, non tutti gli studenti disponevano infatti delle stesse tecnologie, accesso a internet o situazioni in casa adeguate alla didattica a distanza. Con la riapertura dell’anno accademico in autunno però, nonostante molti alunni fossero ancora relegati in casa e alle connessioni, la scuola con le sue tradizionali politiche di valutazione è tornata a regime, e «in tutto il paese si registra uno tsunami di F».
PAGELLE AUTUNNALI DISASTROSE
Esempi da alcuni dei più grandi distretti scolastici americani. Nel Maryland il tasso di fallimento dei test di matematica e inglese è sestuplicato: il 36 per cento dei quattordicenni provenienti dalle famiglie a basso reddito della contea di Montgomery non ha passato la valutazione di inglese del primo trimestre (erano il 6 per cento lo scorso anno), il 45 per cento non ha passato matematica (l’anno scorso era l’8 per cento). In Virginia la percentuale di F prese dagli studenti delle scuole medie e delle superiori di Houston è aumentata dal 6 all’11 per cento: a peggiorare sono i ragazzi che già prima della pandemia erano in difficoltà, e tra chi studia l’inglese e soffre di disabilità il tasso di fallimento è più che raddoppiato. In Texas, a Houston, le assenze sono aumentate del 42 per cento (erano l’11 per cento prima della pandemia) e oltre il 40 per cento degli studenti ha ricevuto due gravi insufficienze in due materie: «Abbiamo a che fare con una perdita di apprendimento senza precedenti – ha commentato così al Nyt gli effetti della didattica a distanza Brian T. Wood, sovrintendente scolastico di San Antonio – Ci vorranno anni per mitigarli»; qui, nel Northside Independent School District la percentuale di studenti che non ha superato almeno un corso è passata dall’8 al 25 per cento.
E ancora a Chicago, il 13 per cento degli studenti delle scuole superiori ha fallito i test di matematica (era il 9,5 per cento l’anno scorso). In North Carolina il 46 per cento degli studenti delle superiori non ha passato almeno una materia. In California, dove prosegue la didattica a distanza, la percentuale di studenti del Sequoia Union High School District di Redwood City che registra più di un’insufficienza è balzata dal 19,7 al 29 per cento e in molte contee e i distretti dello stato il numero di alunni con una insufficienza è spesso raddoppiato rispetto all’anno precedente (alla Santa Rosa City Schools la percentuale di F è aumentata dal 30 al 50 per cento).
LA SCUOLA APPESA A UN SEGNALE INTERNET
I giornali si chiedono se alla digitalizzazione dell’istruzione non dovrebbe accompagnarsi un sistema di valutazione diverso da quello tradizionale. C’è chi si preoccupa per le ammissioni ai college e università americane, chi ha riparametrato (come a Newman, in California) i sistemi di valutazione, chi opta per un sistema a punti pass/fail criticato da molti insegnati in quanto disincentiva gli studenti a fare un buon lavoro mortificando chi già lavora duramente, chi per la sospensione dei voti nell’impossibilità di fornire una didattica personalizzata ai propri studenti. Soluzioni che non fanno che aumentare il caos quando la situazione è lampante: se non funziona per tutti, se allarga la forbice sociale, aggrava le disuguaglianze, la scuola a distanza non funziona. E non c’è sistema di valutazione adeguato a una scuola che ambisca a dirsi tale appendendo la sua esistenza a un segnale internet.
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