
Sono passati 49 anni dalla Roe v. Wade che nel 1973 ha legalizzato l’aborto negli Stati Uniti, poco meno due mesi dall’approdo alla Corte Suprema del caso Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization che potrebbe ribaltarla.
Anche per questo la Marcia per la Vita che si è svolta ieri a Washington ha avuto una eco speciale: «L’accesso all’aborto non è mai stato così minacciato», ha dichiarato Ianthe Metzger, portavoce di Parenthood Federation of America alla vigilia della manifestazione oceanica contro l’aborto che si tiene ogni anno nell’anniversario della decisione della Corte Suprema del 1973.
In Marcia per la vita
Eppure «l’uguaglianza inizia nel grembo materno» è il tema scelto per la 49esima edizione, ha ribadito Jeanne Mancini, presidente del Fondo March for Life Education and Defense: «La cultura della vita riconosce la verità che ogni essere umano è dotato di una dignità ed è un dono per il nostro mondo indipendentemente da età, razza, sesso o disabilità».
Citofonare a Katie Shaw per comprendere dove vadano a finire tutte le battaglie divampate in America per le vite che contano o meno degli ultimi due anni davanti a un test prenatale: circa il 70 per cento dei bambini come lei, cioè con una «vita meravigliosa» davanti come la sua, tutta «sport, maratone, diploma, libri, uscite con gli amici e volontariato», e con la sindrome di Down, non ha cittadinanza nell’America consacrata all’uguaglianza e alla lotta alle discriminazioni.
L’America non tifa aborto illimitato
Citofonare anche ad oltre il 60 per cento degli americani: secondo il tradizionale sondaggio del Marist Institute for Public Opinion di New York commissionato dai Cavalieri di Colombo, la maggioranza dei cittadini si dichiara anche quest’anno favorevole a introdurre delle restrizioni sostanziali all’aborto, il 44 per cento ritiene che la Corte Suprema dovrebbe lasciarne la giurisdizione ad ogni singolo stato, e il 17 per cento vorrebbe che i giudici lo dichiarassero illegale. Inoltre, se il 55 per degli intervistati si considera pro-choice e il 40 pro-life, solo il 17 per cento delle persone a favore della libertà di scelta ritiene che l’aborto dovrebbe essere possibile in qualsiasi momento della gravidanza.
Viceversa, l’83 per cento degli intervistati ritiene che l’aborto debba essere possibile e legale solo entro certi limiti, il 63 per cento è assolutamente contrario alle regole federali che consentono di effettuare interruzioni di gravidanza tramite le pillole acquistate online, il 54 per cento di si oppone all’uso dei soldi dei contribuenti per finanziare aborti, il 73 per cento al finanziamento del servizio in altri paesi. Ancora: il 71 per cento degli intervistati difende l’obiezione di coscienza e l’81 per cento desidera più norme a tutela di madri e bambini, non solo dei diritti delle donne.
L’isteria di Biden sull’aborto
Una fotografia diversa dal manicheismo usato da stampa e politica per liquidare la questione aborto in attesa del pronunciamento della Corte Suprema: da un lato stati come Texas e Mississippi, con le loro leggi restrittive, dall’altra California, Illinois, Washington Dc, stati blu pronti a convertirsi in hub dell’aborto per accogliere “l’ondata” di nuovi pazienti da quelli repubblicani. Uno sforzo per garantire il libero accesso all’aborto che è diventato anche lo sforzo personale di Biden.
Il presidente con l’obiettivo di codificare la sentenza Roe v. Wade in legge federale, è riuscito a negare tutto quello che da sedicente “cattolico adulto” ha sostenuto e professato per anni, a cominciare dal fatto che “la vita”, a far data dalla sua elezione, non inizia più al momento del concepimento. Il presidente che da sostenitore dell’emendamento Hyde (che dal 1973 vieta l’utilizzo di fondi federali per finanziare l’aborto a meno che la vita della madre sia in pericolo o la gravidanza sia frutto di stupro o di incesto) e della definizione di aborto come «tragedia» («penso che dovrebbe essere raro e sicuro, e penso che dovremmo concentrarci su come limitarne il numero»), è finito a chiamarlo «diritto umano», «scelta» da difendere, e l’emendamento Hyde una «ingiustizia» da affossare. L’opposto di Trump, il primo presidente degli Stati Uniti d’America a parlare alla Marcia per la Vita.
Il disprezzo della stampa liberal
Scrive il Nyt che ieri tra i manifestanti di Washington, non meno di cinquantamila, riuniti sulla spianata del National Mall, era tutto un ripetere che il 2022 potrebbe essere «l’anno buono», portare «un cambiamento storico». Lo scrive con malcelato disprezzo verso il tema “l’uguaglianza inizia nel grembo materno” con il quale i relatori hanno voluto paragonare «la loro causa» a Black Lives Matter e alla lotta per l’uguaglianza di genere, e verso Jeanne Mancini, che ha definito la Marcia «la più grande manifestazione per i diritti umani al mondo» e l’aborto «l’ultima forma di discriminazione».
Grande risalto è stato piuttosto dato dalla bibbia liberal al sondaggio Pew che sottolinea come il 68 per cento di cattolici sostenga la Roe v. Wade e che una donna su quattro che interrompe una gravidanza è cattolica, come proiettato dai Catholics for Choice alla vigilia della manifestazione sul fianco della Basilica dell’Immacolata Concezione a Washington, la più grande chiesa cattolica del Nord America. Chi è stato costretto a portare avanti gravidanze indesiderate, ricorda il Nyt a bontà degli argomenti pro-choice sostenuti da Diana Greene Foster, autrice di The Turnaway Study, ha sofferto di «cattiva salute per anni. Cinque anni dopo, le donne a cui è stato negato un aborto avevano quattro volte più probabilità di vivere al di sotto della soglia di povertà e tre volte più probabilità di essere disoccupate. Il novanta per cento delle donne che ha scelto di crescere il bambino ha maggiori probabilità di rimanere in contatto con un partner violento».
La versione di “baby Roe”
Eppure tutto ha avuto inizio così, in un grembo, opponendo donne e figli: «Mettere questa madre contro il suo bambino ha messo gli americani l’uno contro l’altro», sottolineò poche settimane fa, dopo lunghi anni di silenzio, Shelley Lynn Thornton, la bambina che non fu mai abortita. Quando la Corte Suprema emise la sua decisione, il 22 gennaio 1973, sua madre Norma McCorvey, alias “Jane Roe”, la donna che fece causa al procuratore di Dallas Henry Wade contro le leggi che in Texas le proibivano di abortire, aveva infatti da tempo partorito.
Prima di sapere di essere “baby Roe”, ha spiegato Shelley (in una intervista in cui, pur raccontando l’immenso dolore di non essere stata desiderata non diede alcun endorsement a favore della Roe v. Wade), l’aborto non era un tema che la potesse interrogare: era cresciuta con la certezza «che se un membro della famiglia avesse avuto un bambino di cui non poteva prendersi cura, qualcun altro lo avrebbe preso, occupandosene al posto suo». Proprio come fecero i suoi genitori adottivi accogliendola quando era ancora in fasce.