Caro direttore,
ti mando un CD con un video sulla vicenda di quel disgraziato messo a morte in America e poi dissezionato per ricavarne una sorta di atlante anatomico. La cosa è partita quasi per caso: qualche mese fa qui venne in visita il presidente dell’Arci di Livorno (un ex di Prima Linea, a suo tempo ospite anche degli “speciali”) che, interessato ai nostri lavori multimediali, mi aveva chiesto se ero disponibile a collaborare a qualche loro iniziativa. Ai primi di giugno è tornato a trovarci e ci ha proposto di preparare qualcosa per un convegno che si sarebbe tenuto a Cecina sui temi del disagio, dell’emarginazione, della discriminazione razziale. Piuttosto che il solito documento più o meno scontato e buonista, ho pensato a un video su quel progetto, “Scritto nella Carne”, che fu pubblicato anche su Tempi. Mi sono così messo al lavoro, grazie anche alle attrezzature che ci aveva fatto avere il presidente Formigoni, e non è stato facile superare le tante restrizioni di questi luoghi. Ti confesso che quando l’ho visto non ero molto soddisfatto del risultato: troppo evidenti erano i difetti, le sporcature, i problemi ancora irrisolti. Mi sono messo comunque a “masterizzare” alcune copie su CD, e mentre stavo attaccando le etichette è arrivata l’educatrice con questo ragazzo dell’Arci, che prima che potessi mettere le mani avanti con le varie scuse e giustificazioni mi ha detto che avrebbe dovuto essere già a Cecina,e che gli facessi vedere subito come andava usato il CD. E mentre le immagini scorrevano sullo schermo mi sono reso conto che il video malgrado tutto funzionava e questi due primi spettatori non riuscivano a staccare gli occhi, e alla fine erano visibilmente emozionati. E quando l’hanno visto i miei compagni nelle saletta della socialità, anche loro ne sono stati colpiti. E lo stesso a Cecina: c’era anche Tornatore, a seguire la sezione cinema, che ci ha fatto i complimenti. E a te, cosa te ne pare? Se ne riconosce il messaggio di don Giussani? Per il resto, qualche settimana fa hanno respinto anche il mio ricorso per un permesso… con la stessa motivazione con cui hanno invece dato la semilibertà a Moretti, e praticamente con metà galera rispetto a me! Ti mando le due sentenze… Bene, mi pare sia tutto. E tu cosa fai di bello? E i tuoi ragazzi? Crescono, immagino… Termino allora qui mandandoti come sempre i miei migliori saluti e un forte abbraccio a te e a tutta la banda di Tempi.
Grazie anche agli amici del Giornale, che su questa storia hanno aperto una finestra politicamente scorretta, ci auguriamo che anche a Tuti sia finalmente concesso, dopo 28 anni di carcere a regime di “massima vigilanza”, un’ora di semilibertà. Vale la pena di ricordare ai lettori che Mario Tuti non chiede nessuna Grazia, ma solo l’applicazione (non faziosa) della legge Gozzini. Tra l’altro non sarebbe male se, visto i tempi di plumbeo deja vu, si autorizzasse gente come Tuti e Moretti a circolare come Agnoletto e Casarini nelle scuole per testimoniare e raccontare nella “carne” gli anni di piombo. C’è da scommettere che saprebbero leggere e interpretare molto meglio di noi gli editoriali, di ieri e di oggi, di Eugenio Scalfari.
Leggo spesso editoriali, articoli, saggi, sulla funzione del carcere e sulla pena. Mi sembra che tutti, nei loro ruoli e competenze, parlino in fretta per non dire nulla. Ritorno ora da un convegno: tra i relatori c’era un Magistrato. Ha esordito dicendo: «Il discorso sulla sicurezza è diventato un’ossessione, ma non bisogna aspettarsi la soluzione dei problemi da un maggior numero di caserme (io aggiungerei di carceri), non dovremmo mai perdere di vista l’essere umano, la fragilità della vita umana». “Sicurezza” è l’imperativo, e a mio avviso essa non è solo un’ossessione, ha la parvenza della teoria di Thomas, cioè la profezia che si autoavvera. Sicurezza sta a significare il coraggio con cui affrontare l’insicurezza, che è anche e soprattutto solitudine e mancanza di relazioni umane. Sicurezza non può essere lo strumento con cui chiedere alla giustizia penale di risanare ogni contraddizione, ogni conflitto, ogni disattesa promessa di paradiso. Infatti per ognuno di coloro che varcano la soglia di un carcere, la pena avrà un termine. Quella persona uscirà, e ancora una volta ci si aspetterà la soluzione dalla giustizia penale. Ma tutto quello che viene prima e deve venire dopo, deve riguardare un intervento sistemico generalizzato, che coinvolga l’intera società, senza che chicchessia possa ritenersi escluso dal farci i conti. Le scelte di politica criminale non possono essere dissociate da precise politiche sociali. Tolleranza zero è il verbo per tutelare i “normali”, ma ciò vuol dire che chi ha problemi e sofferenze da contenere è accantonato. Non ho usato queste parole per richiamare una visione cristiana del perdono, o la ricerca di esso a testimonianza di cosa significhi essere perdonati. Non è pietismo a buon mercato che occorre per rendere effettiva la propria rinascita, bensì una precisa volontà politica, spazi di socializzazione e figure di riferimento autorevoli, d’educatori e operatori penitenziari effettivamente a stretto contatto con i detenuti, e non solo per controllare e reprimere, non solo per inculcare norme e regole nel tentativo di educare. Ma per supportare e sostenere “insieme“ la capacità di esprimere l’uomo nuovo che può nascere, e rinascere, anche in una prigione…
Vincenzo Andraous, Carcere di Pavia e comunità “Casa del Giovane” di Pavia
Caro direttore,
non so se ha letto l’articolo di Scalfari su La Repubblica di Domenica 26 agosto dal titolo “Insulti e crociate non fanno politica”. Leggendolo si capisce come chiunque non si omologhi al giudizio della massa dei buon pensanti venga visto come spirito animale. La ringrazio per il suo lavoro che con Tempi ci mette in guardia da queste menti illuminate che non dicono più niente della persona ma che livellano verso il basso il desiderio degli uomini.
Alessandro Rossi, Milano
Il predicatore domenicale non è un falso cieco, per questo ama rappresentarsi come un Ulisse di ritorno a un’Itaca-Italia usurpata dai Proci-Berlusconiani. Lo scalfarismo è stata la più bella maschera del potere dell’ultimo trentennio ed ora è davvero terrorizzato dalla fine di un’epoca. Dalla prospettiva cioè che il nuovo governo faccia sul serio e, soprattutto, che faccia a prescindere dalle fosche minacce dell’uomo che inventò la corazzata debenedettiana. Resta un che di stranamente eccentrico in questo continuo rinascere di Fenice che trae sempre cose nuove dalle sue antiche ceneri di una potenza malvissuta. Questo genere di articoli del fondatore di Repubblica – che purtroppo per Scalfari oggi non è più la (Prima) Repubblica di quando il fondatore stava in affari con il Pci e la sinistra Dc – è forse anch’esso sintomo del mistero che c’è in ogni uomo. Nella fattispecie l’interrogativo è il seguente: perché mai un filosofo miliardario che è giunto alla soglia dell’eternità dopo essere stato fascista, azionista, craxiano, berlingueriano, demitiano, dipietrista, non si rassegna a ciò che egli stesso insegna nei suoi Dialoghi con Io, e cioè che il cuore è solo una pompa, e l’uomo soltanto un bipede gettato senza significato e senza scopo su questa terra? Perché ancora tanto impegno nelle bagatelle della politica di questo mondo, Mr. Scalfari?