
Trump libererà davvero gli sport femminili dalla monomania transgender?

E come fa una studentessa a dimostrare di essere una femmina? E la disoccupazione? Saranno mica i transgender la priorità degli americani?
Le notizie sono tre. La prima: il 14 gennaio la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato un progetto di legge a tutela delle donne, stabilendo che gli istituti che ricevono finanziamenti federali debbano escludere gli uomini dalle competizioni sportive femminili.
Psicodramma a sinistra, “il GOP vieta ai transgender di fare sport a scuola”
La seconda, prevedibile: invece di affrontare il senso della misura – ovvero restituire borse di studio e premi a ragazze come Riley Gaines, “ridotta” suo malgrado a comparsa nelle foto iconiche del transgender Lia Thomas durante i campionati National Collegiate Athletics Association (NCAA) – i media progressisti hanno subito gridato all’attacco dei diritti trans. “I repubblicani vietano alle donne e alle ragazze trans di partecipare agli sport scolastici” (Guardian), “La Camera guidata dal GOP vieta agli atleti transgender di partecipare agli sport femminili” (Cnn), fino alle esagerazioni nostrane: “Atlete transgender, negli Usa vogliono proibire lo sport a scuola” (Quotidiano sportivo).
Ovviamente la legge non vieta a nessuno di fare sport, ma mira a risolvere il dilemma del Titolo IX, che ha scatenato numerose controversie legali negli Stati Uniti. E, naturalmente, sfruttare come da agenda Trump, la questione per dividere i democratici.
Ora i diritti (delle donne) sono «una distrazione dell’estrema destra»
Per chi fosse stato su Marte durante il mandato di Biden, ricordiamo che il Titolo IX è la legge federale, pilastro della giurisdizione egalitaria americana, che vieta la discriminazione sessuale nei programmi educativi finanziati dal governo. A dispetto delle interpretazioni “estese” dovute alle modifiche di Biden, il Protection of Women and Girls in Sports Act of 2025, approvato con 218 voti favorevoli (inclusi due deputati democratici texani, notizia nella notizia) contro 206 contrari, specifica che per “sesso” si intende quello “assegnato alla nascita”.
Terza notizia: per mantenere viva la confusione tra maschi e femmine, sesso e genere, i democratici si trovano ora costretti a ricorrere alle stesse argomentazioni dei repubblicani durante la presidenza Biden. Scopriamo così che per Sarah McBride del Delaware, prima persona transgender dichiarata eletta al Congresso e paladina dei diritti trans, i diritti (delle donne) non dovrebbero essere una priorità. Secondo McBride, questo è un palese tentativo da parte degli estremisti di estrema destra di «distrarre dal fatto che non hanno soluzioni reali ai problemi che gli americani stanno affrontando. Dovremmo concentrarci sulla riduzione del costo degli alloggi, dell’assistenza sanitaria e dell’assistenza all’infanzia».

«Lasciate sport e trans ai competenti». Mica come quando c’era Biden
«Hanno passato le elezioni a dire: “Oh, combatteremo per i lavoratori, sistemeremo l’economia”. E siamo qui, due o tre settimane dopo, senza aver visto nulla di tutto ciò», sbertuccia Maxwell Frost, deputato democratico della Florida. Dimenticando che proprio uno dei 17 ordini esecutivi firmati da Joe Biden nel suo primo giorno alla Casa Bianca riguardava i diritti Lgbt e, in particolare, il diritto degli uomini trans a competere nelle competizioni sportive femminili. Da quel momento, ogni scuola che ricevesse finanziamenti federali – praticamente tutte le scuole superiori pubbliche – doveva accettare nelle gare femminili «i maschi biologici che si identificano come femmine». In caso contrario, come riportava il Wall Street Journal, sarebbe stata «soggetta a sanzioni».
All’epoca ci fu una grande festa tra i democratici. Oggi, invece, il deputato John Larson, democratico del Connecticut, si scaglia contro il “divieto federale sugli atleti trans”, dichiarando: «Cosa ne sa di queste questioni un rappresentante medio del Congresso degli Stati Uniti? Questi problemi dovrebbero essere affrontati ai livelli appropriati (…) Il Congresso e il governo federale non dovrebbero prendere queste decisioni».
L’eterno cortocircuito legato a sport e Titolo IX
Pensare che proprio in Connecticut si è verificato uno dei più gravi cortocircuiti legati al Titolo IX e allo sport, che ha obbligato le istituzioni a interrogarsi su quale priorità la legge federale dovrebbe garantire: tutelare maggiormente le persone transgender in quanto tali o le donne in quanto cisgender. Pensare che nulla ha contribuito a influenzare l’opinione del “cittadino medio” sull’attivismo trans quanto le immagini dell’atleta di nuoto Lia Thomas, alto oltre un metro e novanta, che domina le sue avversarie sul podio, e i racconti di ragazze costrette a condividere lo spogliatoio con uomini biologici (come da “agenda Biden).
Non a caso, il “salvataggio dello sport femminile” è stato uno dei pilastri della campagna elettorale di Trump, culminata in una vittoria schiacciante. L’ex presidente ha sfruttato il tema per attaccare ripetutamente i candidati democratici. «Come la maggior parte dei repubblicani, e in effetti la maggior parte degli americani – osserva Spiked – Trump non è un femminista. Tuttavia, dimostra chiaramente di avere il polso della situazione per quanto riguarda l’opinione pubblica».
Attenzione, ora i giovani transgender sono «pochissimi»
Il provvedimento deve ancora essere approvato dal Senato per diventare legge (e tra i “cittadini medi” è già partita la campagna “Convinci un tuo senatore democratico a votare per il Protection of Women and Girls in Sports Act”), ma i deputati dem sono nel pallone.
Scopriamo così che la legge avrebbe un intento persecutorio, poiché diretta contro «un numero esiguo di persone»: «Meno di dieci atleti transgender gareggiano nella NCAA». Meno di dieci? Non era forse una questione urgente che riguardava migliaia di ragazzi quella degli sport? I Centers for Disease Control and Prevention non avevano dichiarato che il 3,3 per cento degli studenti si identifica come transgender e il 2,2 per cento mette in dubbio la propria identità di genere?

Dubbi atroci: «Come farà una ragazza a dimostrare di essere femmina?»
La misura è stata persino ribattezzata The GOP Child Predator Empowerment Act, preconizzando un futuro in cui gli studenti saranno sottoposti a test invasivi per determinare il loro sesso. «Non c’è modo che questa cosiddetta legge sulla protezione possa essere applicata senza aprire la porta a molestie e violazioni della privacy», ha denunciato con veemenza la deputata Suzanne Bonamici, che ha gestito il dibattito democratico. «Gli studenti dovranno sottoporsi agli esami per dimostrare di essere ragazze? Stiamo già assistendo a episodi di molestie e interrogatori nei confronti di ragazze che potrebbero non conformarsi agli stereotipi femminili. Saranno obbligate a sottoporsi a esami medici, o a fornire informazioni private, invadenti, offensive e del tutto inaccettabili?».
A queste accuse, il presidente della Commissione Istruzione e Forza Lavoro della Camera, Tim Walberg, ha risposto perplesso che non è necessario alcun test o ispezione per stabilire il sesso di una persona, dato che esiste un documento ufficiale chiamato certificato di nascita. Tuttavia, democratici e attivisti hanno giudicato questa affermazione “disumanizzante”.
La rivolta delle donne
Diceva giustamente la nuotatrice Riley Gaines, costretta a cedere il suo premio a Lia Thomas, il transgender celebrato dai media e da oltre 300 star dello sport antitrump: «Il problema sono le regole, non Lia Thomas».
Proprio per questo, insieme ad altre quindici atlete, aveva intentato una causa contro la National Collegiate Athletics Association, accusandola di aver consapevolmente violato il Titolo IX permettendo agli atleti transgender di competere contro le donne nei campionati universitari e di utilizzare gli spogliatoi femminili. Non era il primo né l’ultimo rompicapo generato da questa legge: tutte le controversie legate a questioni sessuali, di genere, alla cosiddetta guerra dei bagni, ai safe-space americani o alle molestie sono state combattute in nome del Titolo IX.

Atleti transgender, pochi ma pigliatutto
Come già accennato, Tempi aveva raccontato quel caso emblematico di cortocircuito politicamente corretto che coinvolgeva le atlete del Connecticut, con protagonisti Terry Miller e Andraya Yearwood. I due sprinter, che si identificavano come donne, partecipavano dal 2017 (e vincevano) a tutti i principali campionati scolastici e statali di atletica, lasciando indietro le coetanee, stabilendo nuovi record e sottraendo loro trofei, medaglie e persino borse di studio.
Questo caso aveva spinto l’Ufficio per i Diritti Civili del Dipartimento della Pubblica Istruzione degli Stati Uniti a interrogarsi su quale fosse la scelta meno discriminatoria, secondo lo statuto del 1972: costringere le studentesse a competere (e perdere) contro coetanei in transizione o impedire a questi ultimi di praticare sport femminile?

Chelsea Mitchell, che non poteva vincere e nemmeno dire “maschi”
Al caso Miller-Yearwood era seguito, quello surreale, di Chelsea Mitchell, la ragazza più veloce del Connecticut, che aveva denunciato l’ingiustizia di competere contro atleti maschi con un intervento pubblicato su Usa Today. Il giornale decise allora di modificare il suo scritto, sostituendo il termine “maschi” con “transgender”. Caso dopo caso, si giunse infine alla decisione della World Athletics di adeguarsi a quanto già stabilito dalla federazione di nuoto: chi aveva iniziato la transizione dopo la pubertà non avrebbe potuto partecipare alle competizioni internazionali femminili.
Questa volta fu Lia Thomas a fare causa. L’atleta, che era passata dal 462° posto nelle classifiche maschili al primo nelle competizioni femminili della Ivy League, contestava le nuove regole. L’icona del cinquantesimo anniversario del Titolo IX, che tutto aveva vinto mentre la NCAA distribuiva magliette con slogan come “50 anni di Titolo IX” e “50 anni di creazione di opportunità per le donne”.
Le regole di Lia Thomas. E quelle di Riley Gaines
All’epoca Lia Thomas sembrava del tutto ignara del disagio provocato tra il pubblico – genitori e nuotatrici della Ivy League – mentre collezionava trofei in ogni gara, conquistava l’oro nei 500 stile libero, stabiliva record e otteneva gli onori della First-Team All-America. Aveva vinto in base alle regole, ed è proprio per questo che le sue coetanee avevano deciso di sfidarle.
Ora Riley Gaines appare sorridente accanto alle foto del presidente della Camera, Mike Johnson, e degli altri sostenitori del Protection of Women and Girls in Sports Act. Chiede ai senatori democratici di non lasciarsi annegare nella confusione sul genere e restituire alle ragazze la possibilità di tornare a competere e vincere nello sport.
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