
Elezioni. Toccafondi (Iv-Azione): «Proseguire il lavoro sulla scuola per una vera libertà educativa»

Nell’elenco dei candidati meritevoli di voto segnalati da Tempi, Gabriele Toccafondi è «l’eccezione che conferma la regola», essendo l’unico della lista non candidato con il centrodestra. In Italia viva dal 2019, già deputato nel 2008 e nel 2018, e sottosegretario all’Istruzione con i governi Letta, Renzi e Gentiloni, Toccafondi corre con Italia Viva e Azione, il cosiddetto Terzo Polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda, alle elezioni del prossimo 25 settembre. Il suo lavoro per la scuola in questi anni è stato seguito e documentato da Tempi, e proprio dalla scuola inizia la nostra chiacchierata con lui sui tre temi a noi più cari: educazione, famiglia, lavoro.
«Perché ci interessa l’educazione»
«Perché ci interessa l’educazione?», si chiede il deputato toscano. «Perché non si può parlare di giovani se non si parla anche del loro percorso educativo. Che non è fatto solo di nozioni da imparare per migliorare le proprie competenze, ma è molto di più. E che è molto di più ce ne siamo accorti paradossalmente quando la scuola come percorso educativo, cioè in presenza, è venuta a mancare. Ci siamo resi conto che scuola non è solo un luogo dove vanno i nostri figli mentre noi andiamo a lavorare. Cosa è mancato ai ragazzi, tanto da portarli a fare sciopero per potere tornare in classe? Le relazioni. La scuola è fatta di domande, scoperte, paure, cose belle e meno belle che si fanno insieme agli altri studenti e con gli insegnanti». Ripartendo da questa scoperta, continua Toccafondi, adesso bisogna essere coerenti.
Investire nella scuola, dunque, «ma non solo nelle mura, cosa comunque importante – rifare gli edifici, metterli in sicurezza, ripensarli architettonicamente – ma investire negli insegnanti, e non semplicemente assumendoli a tempo indeterminato, ma investire sulla qualità, sulla loro formazione, su un percorso che porti alla selezione di quelli più bravi e meritevoli, e che siano pagati meglio».
Puntare sull’autonomia scolastica
Serve una riforma della scuola? «No, lo strumento non è l’ennesima riforma della scuola: chi ci ha provato – penso a Moratti, Gelmini e Renzi, porta ancora le ha cicatrici. Il cambiamento passa dall’autonomia scolastica». Sono passati ventidue anni da quella legge, e «possiamo dire che quel poco che c’è funziona». Quello dell’autonomia è un grimaldello da potenziare per renderlo più efficace. «Non ci può essere vero percorso educativo se non si aiutano entrambe le gambe del sistema d’istruzione nazionale, quello statale e quello non statale. E questo non è un concetto inventato da me o da Tempi, ma da Berlinguer nel 2000: la libertà di scelta educativa».
Perché è così difficile, però? Toccafondi parla per esperienza personale: «Il vero ostacolo è culturale, direi ideologico: negli ultimi anni, grazie anche al lavoro dell’intergruppo per la sussidiarietà e di Maurizio Lupi, questo ostacolo è stato affrontato e smussato. Quando sono entrato in Parlamento, nel 2008, mancavano 200 milioni di euro al fondo per le paritarie. Abbiamo dovuto abbattere un muro ideologico, e in parte mi sento di dire che ce l’abbiamo fatta: nelle ultime leggi di bilancio gli aiuti sono passati all’unanimità».
«Lo Stato deve aiutare le famiglie»
Va tutto bene, quindi? «No, anzi, ma bisogna continuare a lavorare insieme sul tema della vera parità scolastica. Facendo capire il valore delle scuole paritarie, facendo guerra ai “diplomifici”, e trovare altre risorse, perché siamo lontani dalla vera libertà educativa. Sono fiero di ciò che è stato fatto: i 512 milioni del fondo oggi sono stabilizzati, ma sono solo 5-600 euro a bambino. Abbiamo creato il fondo per la disabilità, ma il bicchiere è sempre mezzo vuoto. Bisogna proseguire su una tema a cui tengo molto, quello delle detrazioni fiscali, che oggi sono 800 euro l’anno a ragazzo fino alla quinta superiore. Bisogna aiutare le famiglie a pagare meno».
Si può fare? «Le cose si fanno, le abbiamo fatte anche con un Parlamento ideologizzato come quello del 2018, con dialogo e pazienza e grazie al buon lavoro delle associazioni delle scuole paritarie. Dobbiamo capire tutti che il sistema nazionale ha due gambe: statale e non statale: la prima conta 9 milioni di studenti, l’altra un milione. Ma se zoppica una delle due è un problema: numeri alla mano la vera parità scolastica conviene a tutti».
Aiutare le famiglie a fare figli e a educarli
Il dato drammatico evidenziato anche dal ministro Bianchi, però, è che in Italia le scuole chiudono anche perché non si fanno più figli. Ma anche il tema della natalità è legato a quello della scuola, spiega Toccafondi: «Io penso che non si fanno figli calcolatrice alla mano, ma una famiglia va aiutata a fare figli e farli crescere e a educarli. Gli articoli dal 30 al 33 della Costituzione dicono che dovere e diritto dei genitori è educare i figli». Lo stato che fa per aiutare i genitori?
«Non alza le mani: ha il dovere di aiutare i corpi intermedi e la cellula naturale della società, che è la famiglia, aiutando direttamente quella cellula. Noi ci siamo battuti per il Family Act, che ha cambiato il senso del dibattito: il tema famiglia è tra le priorità. Parliamo di venti miliardi più altri sette aggiuntivi sono un cambio di passo culturale che è stato possibile con il ministro Bonetti. Siamo passati dalla “filosofia” dell’aiuto alle famiglie a una praticità. Io ho sempre visto il quoziente famigliare come un tema di aiuto: in Francia, che lo sperimenta da oltre dieci anni, i risultati ci sono. Lo stato, o meglio il governo, non faccia confusione sulla famiglia», avverte Toccafondi, che con molta fatica riuscì a togliere i libretti Unar sul gender, venendo attaccato da vari fronti: «Su questo tema, se è diritto e dovere dei genitori educare i figli, si rispetti la costituzione: lo stato non deve sostituirsi a loro, ma li aiuti. Altro è fuori luogo».
«Inserire i ragazzi in un percorso di formazione»
Il lavoro è un altro ambito in cui la persona può migliorare la propria condizione e costruire valore per sé e per la società. E anche qui per Toccafondi non si può non partire dalla scuola, dall’educazione e dalla formazione. «In Italia abbiamo più del 30 per cento di disoccupazione giovanile, due milioni di neet, cioè ragazzi né occupati né inseriti in un percorso di istruzione o di formazione, abbandono scolastico al 13 per cento, e 40.000 aziende che cercano lavoratori ma non li trovano per mancanza di competenze. Il tema della scuola riguarda anche le competenze e il mondo del lavoro. Se pensiamo che la scuola sia un mondo a parte rispetto a quello del lavoro facciamo un torto innanzitutto ai ragazzi».
«Non tutti hanno la vocazione del liceo», continua l’ex sottosegretario. «La metà degli iscritti agli istituti superiori cercano un percorso che li metta in contatto con il mondo del lavoro. Solo che non è così, soprattutto nei professionali. Il primo tema è dare loro le competenze per misurarsi col mondo del lavoro, altrimenti ci sono i neet».
Meno reddito di cittadinanza, più sgravi fiscali
Non stiamo parlando di avviamento al lavoro, però: «La scuola è scuola. Io noto che il cosiddetto “governo del cambiamento”, il Conte I, ha abolito l’alternanza scuola/lavoro, che poteva e doveva essere migliorata, ma non cancellata, e contestualmente gridato dal balcone di Palazzo Chigi di avere abolito la povertà con il reddito di cittadinanza. Io sto sull’aspetto educativo: in questa filosofia c’è chi non ha capito niente, perché l’alternanza andava migliorata, e il reddito di cittadinanza abbiamo visto tutti in questi anni i danni che ha fatto».
Che fare, dunque? «Il lavoro, e quindi il salario e il potere d’acquisto, visto che ora l’inflazione aumenta, i buoni contratti sono possibili se aiutiamo chi il lavoro lo dà, cioè le imprese e gli imprenditori. Per questo dobbiamo lavorare più che sui sussidi sugli incentivi alle imprese che assumono, che danno bonus». Come? «Dando sgravi fiscali. Questa è la chiave».
Le possibilità del Terzo Polo e «l’amico Letta»
Resta un dubbio, legato alla reale possibilità che queste idee siano rappresentate nel prossimo Parlamento. Il Terzo Polo non vincerà le elezioni, anzi più o meno dichiaratamente ha detto di puntare all’ingovernabilità così da essere un ago della bilancia per la formazione di un nuovo governo, meglio se tecnico: «Noi puntiamo a fare il miglior risultato, non all’ingovernabilità», conclude Toccafondi. «Certo è che, numeri alla mano, se noi andiamo bene potrebbe andare meno bene il centrodestra».
Letta dice che un voto a Renzi e Calenda è un voto in più alla coalizione guidata da Giorgia Meloni. «All’amico Letta ricordo che se un elettore di centrodestra ha un dubbio, non è certo in favore del del Pd alleato di Fratoianni e Di Maio, semmai si orienta a votare per noi. Noi vogliamo portare in Parlamento persone pronte a lavorare alla costruzione di un’area che sia ragionevole, e che veda la persona e l’impresa come un bene. Con queste idee ci presentiamo, la vera sfida è proseguire questa strada dal 26 settembre».
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