Tentar (un giudizio) non nuoce
Quelle suore siriane, esempio anche per la politica
In questi giorni ho partecipato al Meeting di Rimini, un’esperienza a cui cerco di non mancare, sin dalla prima edizione, più di quarant’anni fa. Si tratta di un rito che ogni volta si rinnova in una straordinaria opportunità di conoscenza ed esperienza concreta. Non solo grazie ai tanti incontri e dibattiti di alto livello, ma anche per scoprire testimonianze straordinarie attraverso le mostre che il Meeting, con il contributo di tante realtà differenti, ogni anno allestisce.
Quest’anno l’esperienza che più mi ha colpito e che mi porto nel cuore in questi giorni è stata proprio la visita ad una mostra, realizzata tra l’altro con il contributo di tanti amici varesini, che racconta la storia delle monache trappiste del Monastero siriano di Azer. Una comunità religiosa che è nata sulle orme dei monaci di Tibhirine, (diventato anche un film, Gli uomini di Dio, basato sull’assassinio dei monaci avvenuto nel 1996 ad opera di un gruppo terroristico).
Nelle monache non vi è alcun desiderio mistico di martirio ma al contrario la volontà di testimoniare l’amicizia come paradigma universale della relazione fra gli uomini, proprio sull’onda di quanto insegnato da Gesù: “Non vi ho chiamati servi ma amici”. Questo è proprio l’archetipo delle relazioni che Dio vuole tra gli uomini, tra tutti gli uomini, di qualsiasi religione.
Tutto ciò, unito alle caratteristiche del monachesimo cistercense, da cui deriva l’esperienza trappista, che insieme ai voti tradizionali di castità, povertà e obbedienza, osservano il principio della “stabilitas loci”, ossia la permanenza e la “contaminazione” con il luogo che abitano, ha dato vita a questa straordinaria narrazione.
Ebbene, fa davvero riflettere come un luogo con queste caratteristiche possa sopravvivere e anzi offrire spunti di riflessione a tutti noi. Una realtà che nasce in uno dei territori più critici della terra, dove in pochissimo tempo si sono susseguiti, terrorismo, guerra, pandemia e il terremoto. Fa impressione come un’esperienza umana profondamente radicata nel fatto cristiano, sia capace di trasformare le relazioni e di diventare l’esempio concreto e reale di una convivenza pacifica e di un’amicizia fraterna.
In un tempo, come quello che stiamo vivendo, segnato dalla guerra in Ucraina, e da una quotidiana esasperazione dello scontro e della violenza, anche tra le nostre comunità europee, l’esistenza di esperienze simili ci dimostra che le relazioni tra gli uomini possono essere davvero, come dice il titolo del Meeting, segnate da un’amicizia universale e che la pace non è un auspicio impossibile, ma un’esperienza reale.
Queste suore hanno molto da insegnarci. Ciò che loro stanno vivendo ad Azer in Siria, può e deve valere per tutto il mondo. Proprio per questo ha un valore politico. Essa testimonia la possibilità che le relazioni tra i popoli, possono avere esiti virtuosi, che il superamento dei conflitti (in questo momento ci sono più di 30 guerre nel mondo) non rappresenta un’utopia, ma per potersi manifestare è necessaria la presenza di un fondamento stabile, di una genesi, e di un’origine chiara che incida in una relazione positiva e differente tra gli uomini. Questa relazione si chiama “Amicizia”, la radice salvifica per gli esseri umani. Concetto quest’ultimo che ha ben compreso il Presidente Sergio Mattarella nel suo discorso al Meeting: “Ecco, come nasce la, nostra, Costituzione: con l’amicizia come risorsa, a cui attingere, per superare insieme le barriere e gli ostacoli; per esprimere la nostra stessa umanità”. Esattamente il punto centrale lanciato quest’anno dalla fiera di Rimini a tutta la comunità civile.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!