I socialisti spagnoli bloccano la Legge Trans. La sinistra italiana invece dorme

Di Caterina Giojelli
20 Maggio 2021
Il Psoe blocca l'iter di una legge che sdogana l’identità di genere. Sostenendo le ragioni delle femministe e alimentando un dibattito che non trova cittadinanza sul Ddl Zan
Spagna, il Psoe blocca l'iter della Legge Trans al Congresso

Il percorso della cosiddetta Ley Trans, il disegno di legge per il riconoscimento delle persone transgender in Spagna, non decolla. Anzi. L’astensione del Psoe martedì al Congresso, unita al voto contrario di Popolari e di Vox, ha fermato l’iniziativa più promossa e sostenuta dai parlamentari di Unidas Podemos, Ciudadanos, partiti baschi e catalani. Spaccando la maggioranza: 78 voti a favore, 143 contrari e 120 astensioni, quasi tutte di matrice socialista.

Un muro alzato intorno al cuore della normativa: l’autodeterminazione dell’identità di genere. La legge permetterebbe infatti a chiunque si ritenga trans di modificare il proprio sesso all’anagrafe a prescindere da qualunque perizia medica o psicologica.

Ormoni a bimbi e adolescenti

Non è previsto alcun periodo di riflessione per accedere agli ormoni: basta la volontà e una dichiarazione. Soprattutto, la legge prevede l’accesso al trattamento ormonale anche ai minori di 12 anni e la possibilità di intraprenderlo senza il consenso dei genitori dall’età di 16 anni; l’accesso alla fecondazione assistita per i trans capaci di gestazione nonché l’inclusione di una terza casella nei documenti ufficiali per il genere non binario.

Secondo la madrina della legge Irene Montero, ministra e pasionaria delle Pari Opportunità – che prendendo la parola alla Camera ha chiesto «perdono» ai gruppi Lgbt promettendo una svolta entro il 28 giugno, per l’International Pride Day -, è questa la strada indicata dall’Europa per garantire i diritti dei transgender.

L’astensione di Psoe

Dichiarazioni rispedite al mittente da Susana Ros, deputata Psoe, che ha argomentato le ragioni dell’astensione a partire dall’incertezza giuridica cui porterebbe il diritto all’autodichiarazione di genere. «Le leggi non sono manifesti o mere dichiarazioni», ha detto rivolta a Montero, evidenziando che «l’iniziativa di cui stiamo discutendo oggi presenta carenze in diversi settori come la salute, il carcere, lo sport e il lavoro, e il percorso di emendamento non sarebbe sufficiente per correggerle (…) Affermare che il sesso biologico esiste non ha mai significato negare la realtà delle persone che non si identificano con il sesso con cui sono nate. Questo è il motivo per cui il Psoe si è astenuto dal voto».

Voti contrari da Vox (che si oppone a una legge che prevede multe e conseguenze per i genitori contrari a fare intraprendere ai minori trattamenti ormonali, «sosteniamo gli adulti che soffrono di disforia, ma non permettiamo che i bambini possano essere indottrinati e confusi dicendo loro che possono scegliere il sesso senza conseguenze») e dai Popolari che da parte loro hanno denunciato l’ipocrisia di Podemos come del Psoe, impegnati in una guerra di potere che «nulla ha a che fare con la difesa dei diritti degli Lgbt ma con lo spartirsi i voti».

Le ragioni delle femministe

La sinistra ha bollato l’astensione del Psoe come “voto di Ponzio Pilato”, esito della sete di vendetta di Carmen Calvo, vicepresidente e ministro, fino al 2020, al dicastero della parità finito a Montero. Se è vero che alla costituzione del governo il Psoe aveva promesso di difendere e legiferare con Podemos sull’“autodeterminazione di genere”, è però anche vero che del sostegno alle ragioni delle femministe più ostili alla Ley Trans i socialisti non hanno mai fatto mistero. «Il cosiddetto diritto alla libera determinazione dell’identità di genere o diritto all’autodeterminazione di genere manca di razionalità giuridica», recitava il documento firmato dalla direzione di Pedro Sánchez, al lavoro su un’altra legge per l’uguaglianza e la non discriminazione.

La Ley Trans «mette a rischio bambini e minori. Fare riferimento a un’infanzia trans e ai minori non è affatto progressista, ma politicamente reazionario e costitutivo di possibili abusi», denunciava alcune settimane fa una lettera aperta a Sánchez, scritta da otto femministe e firmata da quasi settemila spagnole. Solo uno di centinaia di interventi pubblici provenienti dai gruppi femministi che a differenza di quanto sta accadendo in Italia con il dibattito sulla legge Zan hanno trovato ampia eco su media e quotidiani spagnoli.

La legge spagnola e il Ddl Zan

«Il disegno di legge Zan è solo l’inizio», proclamava entusiasta Marilena Grassadonia, responsabile Diritti e libertà di Sinistra italiana, già presidente di Famiglie arcobaleno sul palco di Milano. Rivelando tutto quello che dall’onorevole Zan e al segretario del Pd Enrico Letta fino al nuovo leader della sinistra Fedez si son guardati bene dal tematizzare, ovvero che i veri obiettivi della legge Zan sono: smantellare la legge 40, abbattere gli stereotipi di genere nelle scuole, arrivare all’utero in affitto e soprattutto all’autodeterminazione di genere. «Vogliamo la revisione della legge 164/82 ormai antica sui percorsi di transizione ma non lo dico io, lo dice la vita, lo dicono le storie delle nostre compagne e dei nostri compagni trans».

Ovvero arrivare a quel self-id già respinto in Gran Bretagna a “furor di popolo”: «Le parole di Marilena Grassadonia confermano dunque finalmente che il concetto di identità di genere, al centro della legge Zan, non è che l’apripista alla riforma della legge 164/82 per approdare al self-id, nonostante le ripetute smentite dei firmatari a cominciare dallo stesso Zan. Esiste già, del resto, una piattaforma per una proposta di legge del MIT, Movimento Identità Trans, che chiede l’introduzione in Italia del self-id», ha spiegato il Feminist Post.

L’Europa corre ai ripari

S’appuntino, la sinistra, i sostenitori del ddl Zan e dei diritti cosa è accaduto in Spagna. Dove al netto di ipocrisie e calcoli di partito nel dibattito su una legge priva di certezza giuridica, difesa degli spazi sicuri per le donne, destinata a incidere negli sport femminili, le politiche per la parità, portare misure in ambito educativo, culturale e sociale (a partire dal linguaggio) hanno trovato spazio centinaia di voci, un femminismo combattivo, gruppi profamiglia, destra e cattolici.

Quanto alle tutele dei minori, citofonare ai paesi che, a differenza di quanto sostiene Montero, stanno correndo ai ripari: «La Gran Bretagna ha introdotto la necessità di una sentenza di un tribunale per autorizzare la “terapia” con puberty blocker; la Svezia ha detto stop; l’Arkansas ha dichiarato l’illegalità di questi trattamenti farmacologici; la Finlandia ha rivisto le linee guida, incoraggiando i trattamenti psicologici per i minori “non-conformi”», ricorda Marina Terragni. «In Italia l’uso di bloccanti ormonali è autorizzato e praticato da qualche anno, ma non si conoscono i numeri delle-i minori trattate-i: è venuto il momento di conoscerli e di dare battaglia».

Foto Ansa

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