L’astuto Sanchez non si dimette e si rilancia anche questa volta. Fino a quando?

Di Rodolfo Casadei
30 Aprile 2024
Il capo del governo socialista spagnolo resiste all'inchiesta contro sua moglie, accusa le opposizioni di complotto e resta in carica. Ma il voto in Catalogna lo preoccupa
Pedro Sanchez Spagna
Il primo ministro spagnolo, il socialista Pedro Sanchez, durante il discorso in cui ha annunciato che non si dimetterà (foto Ansa)

Come largamente previsto, Pedro Sanchez non si dimette da capo del governo spagnolo: dopo cinque giorni di inattività istituzionale e di silenzio che miravano a creare suspence e forse anche a verificare se nelle mani dei giudici c’era qualche carta che sarebbe saltata fuori all’ultimo momento, il leader del governo a guida socialista ha scelto il porticato della sua residenza ufficiale alla Moncloa per dichiarare che ha «deciso di continuare, se possibile con più forza» e per spiegare che lo fa per difendere la democrazia, cosa che richiede di combattere i suoi accusatori, i quali «fanno parte di un movimento reazionario mondiale che aspira a imporre la sua agenda regressiva mediante la diffamazione e la falsità».

L’indagine per traffico di influenze contro la moglie di Sanchez

In realtà a mettere in difficoltà il premier spagnolo è un’indagine preliminare aperta contro sua moglie Begoña Gómez dal giudice Juan Carlos Peinado per traffico di influenze, resa nota il 24 aprile scorso. L’inchiesta si basa su una denuncia sporta da Manos Limpias, un sindacato della funzione pubblica di tendenza di estrema destra molto attivo sul piano giudiziario. I denuncianti hanno semplicemente raccolto articoli di stampa che accendono i riflettori su lettere di raccomandazione firmate da Begoña Gómez che hanno favorito l’assegnazione di appalti a imprenditori amici e su favori a un centro diretto da lei presso l’università dove insegna da parte di Globalia, allora proprietaria di Air Europa, in cambio del salvataggio della compagnia aerea da parte del governo capeggiato dal marito.

Nel novembre del 2020 l’esecutivo stanziò 475 milioni di euro di prestiti a Globalia da restituire in sei anni. Il salvataggio ha permesso poi di vendere Air Europa allo stesso gruppo al quale appartiene Iberia. Nel mentre che procedevano i negoziati fra il governo e il gruppo, dirigenti di Globalia hanno incontrato più volte Begoña Gómez e hanno deciso di stanziare un fondo di 40 mila euro all’anno per l’Africa Center costituito dalla moglie di Sanchez presso l’Università Complutense di Madrid dove tiene un master come direttrice della cattedra di Trasformazione sociale competitiva, che le è stata assegnata nel novembre 2020, in pieno governo Sanchez II.

Le accuse e i dubbi della Procura di Madrid

Sempre nel 2020 Begoña Gómez ha firmato due lettere di raccomandazione per un’impresa di cui è socio Carlos Barrabés, il principale collaboratore nel master da lei diretto. Nel primo caso l’impresa di Barrabés ha incassato 7 milioni di euro, nel secondo 4,4 milioni. Fra le 20 imprese che concorsero alle due gare c’erano giganti come Everis, DXC Technology, Altia Consultores e Manpower, ma l’unione temporanea di imprese guidata da Barrabés vinse in entrambi i casi di strettissima misura.

La Procura di Madrid non è per niente convinta della fondatezza delle accuse sulla cui base il giudice Peinado ha avviato la sua indagine, e ha già chiesto l’archiviazione dell’inchiesta all’Audiencia de Madrid, che ha i poteri di un tribunale di riesame, il 25 aprile, cioè appena un giorno dopo la notizia dell’esistenza dell’indagine. La richiesta non è stata finora esaminata. Sanchez avrebbe potuto aspettare lo svolgersi degli eventi, ma ha scelto consapevolmente la drammatizzazione con due atti del tutto irrituali come scrivere una lettera aperta sulla faccenda e diffonderla sui social, anziché tenere un discorso o rispondere a una convocazione davanti al Parlamento, e prendersi un lasso di cinque giorni per decidere se dimettersi o no.

Un’inchiesta che rafforza Sanchez nei sondaggi

A proposito dell’inchiesta, nella lettera scriveva che «si tratta di un’operazione di persecuzione e demolizione via terra, mare e aria, per cercare di indebolirmi politicamente e personalmente attaccando mia moglie» e che «sono anche pienamente consapevole che gli attacchi che subisco non sono contro di me ma piuttosto contro ciò che rappresento: un’opzione politica progressista, sostenuta elezione dopo elezione da milioni di spagnoli, basata sul progresso economico, sulla giustizia sociale e sulla rigenerazione democratica».

Chiudeva annunciando che avrebbe comunicato le sue decisioni il 29 aprile. La reazione dell’opposizione trovava la sua sintesi nelle parole del segretario del Partito Popolare (Pp) Alberto Feijóo: «Il presidente monta uno spettacolo da adolescente perché gli vadano dietro chiedendogli di non andarsene e di non arrabbiarsi».

Lo spettacolo sembra produrre risultati favorevoli a Sanchez. Secondo un’inchiesta del Cis, il Centro di indagini sociologiche che dipende direttamente dal ministero della Presidenza del governo e che è diretto dall’ex responsabile dell’ufficio studi e programma del Partito socialista (Psoe) José Felix Tezanos, dopo la lettera di Sanchez il Psoe ha fatto un balzo nei sondaggi arrivando a toccare il 38,6 per cento delle intenzioni di voto, mentre il Pp si fermerebbe al 29,2 per cento.

Il Cis non è molto affidabile, avendo dimostrato in più occasioni la sua parzialità a favore del governo in carica: alla vigilia delle elezioni del 23 luglio 2023 era l’unico istituto che dava vincente il Psoe con un vantaggio di un punto e mezzo sul Pp (32,2 per cento contro 30,8). Effettivamente il Psoe fece meglio di quanto prevedeva la maggior parte dei sondaggisti, ma la vittoria andò comunque ai popolari, che raccolsero il 33,06 per cento dei voti contro il 31,68 per cento dei socialisti.

Manifestazione per Pedro Sanchez in Spagna
Socialisti in piazza a sostegno del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez (foto Ansa)

L’attesa per le elezioni in Catalogna

Nei mesi in cui si è ferocemente discusso in tutta la Spagna sulla Legge organica di amnistia per la normalizzazione istituzionale, politica e sociale in Catalogna voluta da Sanchez (approvata dal Congresso e ora ferma al Senato) che manderebbe a piede libero i condannati per il referendum incostituzionale per la secessione del 2017, Tezanos si è guardato bene dal commissionare sondaggi sulla questione, che avrebbero messo in imbarazzo il suo patron Sanchez. Ora invece il Cis sforna giornalmente inchieste sulle prese di posizione di Sanchez che confortano in buona misura le mosse del capo del governo. In un altro sondaggio il 48 per cento degli spagnoli sarebbe convinto che l’inchiesta ha motivazioni esclusivamente politiche, il 30 per cento la considererebbe fondata mentre l’11 per cento non si esprime.

Sanchez si è sicuramente rilanciato, ma su di lui pende un’altra spada di Damocle, ovvero l’esito delle elezioni regionali che si terranno il 12 maggio in Catalogna. Tutti i sondaggi danno vincitore il Psc (versione locale del Psoe) e improbabile una riedizione del governo di coalizione dei due partiti indipendentisti Erc e Junts per Catalunya. Ma questa vittoria rischia di trasformarsi in un boomerang, perché il governatore socialista in pectore Salvador Illa non avrà comunque una maggioranza autosufficiente e dovrà scegliere se allearsi con il primo o con il secondo dei due partiti. Che nei sondaggi sono appaiati, con un leggero vantaggio per Junts.

La «commedia dei cinque giorni» di Sanchez

Il problema è che a Madrid Sanchez governa grazie a un voto di fiducia che vede il consenso di entrambi i partiti catalani (oltre che di altri cinque), che dispongono ciascuno di 7 seggi. Basta che uno solo dei due si trasferisca all’opposizione, e Sanchez si ritrova sotto: passerebbe da 179 voti a favore e 171 contrari, a 172 a favore e 178 contrari. Erc non ha preso per niente bene l’attivismo di Sanchez e insieme al Pp ha chiesto (senza esito) alla Giunta elettorale centrale di impedire al capo del governo l’intervista alla tivù nazionale la sera del 29 aprile, in quanto questa rappresenterebbe una violazione della par condicio elettorale in Catalogna.

Il governatore uscente della Catalogna Pere Aragones, che appartiene all’Erc, ha censurato la «commedia dei cinque giorni» di Sanchez e lo ha accusato di avere sfruttato «il periodo elettorale in Catalogna per realizzare un’esibizione mediatica che ha l’obiettivo di deviare l’attenzione dalla campagna elettorale». Sarà interessante vedere come se la cava questa volta l’astutissimo leader socialista, da più parti accusato di distruggere le istituzioni spagnole e il suo stesso partito al solo scopo di mantenere il potere personale.

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