«Sono anni che diciamo che a Manchester i jihadisti reclutano alla luce del sole. Ma non ci ascoltano»

Di Leone Grotti
25 Maggio 2017
La comunità libica di Manchester ha più volte denunciato alla polizia inglese «di quanto siano spietati in città i reclutatori jihadisti. Ma non hanno mai presi sul serio»

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«Sono anni che mettiamo in guardia le autorità inglesi. A Manchester c’è una attività di reclutamento fatta da jihadisti spietati». Hanno qualcosa di inquietante le dichiarazioni di Salah Suhbi, parlamentare in Libia cresciuto a Sheffield. Parlando al Guardian, il britannico di origini libiche racconta che Salman Abedi, il 22enne che si è fatto saltare in aria lunedì sera di fronte all’Arena di Manchester uccidendo più di 20 persone, non era certo l’unico giovane radicalizzato dentro la comunità libica della città. Molte persone all’interno della comunità stessa avrebbero più volte denunciato il pericolo ma a quanto pare non sono stati ascoltati.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]«ALLA LUCE DEL SOLE». «I terroristi operano alla luce del sole a Manchester. La gente parla da tre o quattro anni di quanto siano spietati in città i reclutatori jihadisti. Queste persone pescano dalla seconda e terza generazione di libici o arabi», continua Suhbi. Un altro libico residente nel Regno Unito da decenni conferma: «Manchester è nel mirino dei radicali non certo da ieri. Qualcuno è sorpreso da questo attentato ma la radicalizzazione qui non è certo una novità. Più la situazione peggiorerà in Libia e più radicali verranno fuori a Manchester».

L’INTERVISTA AL PADRE. Abedi era da pochi giorni tornato a Manchester da un viaggio di tre settimane in Libia, dove aveva raggiunto il fratello e i genitori. L’obiettivo era passare il Ramadan in famiglia, ha dichiarato all’Associated Press il padre dell’attentatore, Ramadan Abedi. Sempre parlando all’agenzia di stampa, ha aggiunto: «Noi non crediamo nell’uccisione di innocenti. Noi non siamo di quella risma. Noi non ci facciamo saltare in aria tra gli innocenti. Noi andiamo in moschea, recitiamo il Corano». Ramadan, scappato dalla Libia nel 1993 per fuggire dal regime di Gheddafi, ha passato un anno in Arabia Saudita, poi ha chiesto e ottenuto asilo politico in Inghilterra, dove ha vissuto 25 anni. A Manchester frequentava la moschea locale (Manchester Islamic Centre) e spesso svolgeva anche la funzione di chiamare i fedeli alla preghiera.

LEGAMI CON AL-QAEDA E ISIS. Ora Ramadan è stato arrestato in Libia insieme al secondo figlio Hashim Abedi. Secondo le ultime informazioni, il padre dell’attentatore avrebbe in realtà stretto legami negli anni Novanta con il Gruppo islamico dei combattenti libici, legato ad Al-Qaeda. Secondo l’ex ufficiale di sicurezza libico, Abdel-Basit Haroun, Ramadan apparteneva anche al movimento jihadista salafita, sempre legato ai qaedisti. Un passato che mal si concilia con le dichiarazioni rilasciate all’Ap.
I servizi segreti britannici, che hanno arrestato a Manchester anche il terzo fratello, Ismail, sono convinti che Salman Abedi non possa aver agito da solo e che qualcuno l’abbia aiutato a confezionare la bomba. Uno di questi potrebbe essere il fratello Hashim, 18 anni, anche lui arrestato in Libia. Secondo la polizia libica, «Hashim era al corrente di tutti i dettagli dell’attentato terroristico». Gli inquirenti hanno trovato sul suo account Facebook una dichiarazione emblematica dei suoi possibili rapporti con l’Isis. Nel 2014, infatti, sotto la fotografia di un giovane jihadista inglese partito per la Siria, aveva scritto: «Inshallah (a Dio piacendo, ndr) andremo insieme». Secondo Ahmed Dagdoug, portavoce dell’unità libica antiterrorismo, «Hashim sapeva che Salman stava preparando l’attentato. Condividono la stessa ideologia».

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«MAI PRESI SUL SERIO». Un amico della famiglia Abedi intervistato dal Washington Post, che ha parlato l’ultima volta con il padre dell’attentatore settimana scorsa, ha dichiarato che «Ramadan ha voluto che il figlio andasse in Libia perché temeva che qualcosa potesse andare storto». Si riferiva all’attentato? Forse. Secondo il giornale, comunque, molti membri della comunità libica di Manchester avevano avvisato le autorità inglesi l’anno scorso che Salman Abedi si stava radicalizzando sempre di più. Lo stesso avevano fatto degli ex compagni di scuola e alcuni musulmani della moschea Didsbury. Ma, nota il Guardian, «la polizia non ha mai preso la questione sul serio».

MULTICULTURALISMO FALLITO. Perché la polizia inglese ha ripetutamente ignorato i campanelli di allarme? Non è chiaro. Di sicuro le autorità, nel nome del multiculturalismo, hanno permesso che reclutatori jihadisti operassero «alla luce del sole». Come denunciava ieri il filosofo francese Pascal Bruckner, «l’Inghilterra, con le sue “zone della sharia”, con le sue città (Ashford, Birmingham) dominate dai salafiti, ha già un cancro che si sviluppa dall’interno». Quanto mai azzeccato anche il commento dell’islamologo Gilles Kepel: «In città come Birmingham o Manchester sono i consigli della sharia che gestiscono la vita dei musulmani. I britannici speravano di comprare così la pace sociale. Ma gli attentati di Westminster e di Manchester hanno suonato la campana a morto su questa illusione».

@LeoneGrotti

Foto Ansa e Ansa/Ap

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