Sirte, chi sconfigge l’Isis accetterà di dividere il potere per una Libia unita?

Di Leone Grotti
11 Luglio 2016
I soldati di Misurata, che stanno per sconfiggere lo Stato islamico a Sirte per conto del governo appoggiato dall'Onu, non sembrano intenzionati a dialogare
In this picture taken Tuesday, Feb. 23, 2016, a civilian fighter, holding the Libyan flag, walks in front of damaged buildings in Benghazi, Libya. Army units, backed by civilian fighters, cleared a major part of the eastern city of Islamic extremists Tuesday, following nearly two years of deadly fighting. (AP Photo/Mohammed el-Shaiky)

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Dopo due mesi dal suo inizio la battaglia di Sirte non dovrebbe essere lontana dalla conclusione. Nella città libica presa dallo Stato islamico l’anno scorso restano 300 jihadisti in un’enclave del centro, accerchiati dalle milizie di Misurata, che combattono per il governo di unità nazionale sostenuto dall’Onu di Fayez Serraj.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]POTERE DA SPARTIRE. La battaglia dovrebbe spianare la strada alla riunificazione del paese, diviso ora tra decine di milizie, potentati locali e ben due governi: uno a Tripoli e uno a Tobruk. Ma i soldati di Misurata, la principale forza schierata con Serraj a combattere l’Isis e quella che ha subito più perdite, non ha intenzione di spartire il potere con nessuno una volta conquistata Sirte. «Non abbiamo ancora ricevuto niente dal governo di unità nazionale. Questa dovrebbe essere una guerra per la Libia, ma è condotta per il 70 per cento da Misurata», ha dichiarato a Reuters un soldato della milizia. «Se non cambia niente, arriverà anche il momento di Serraj».

«NON VOGLIAMO HAFTAR». Il riferimento è al Parlamento di Tobruk, che non ha mai riconosciuto il governo onusiano di Serraj, e alle sue forze armate comandate dal generale Khalifa Haftar. Questi ha annunciato di aver riconquistato Bengasi (in realtà, alcune parti della città sono ancora in mano a milizie locali) e non ha mai pensato di mettersi da parte per il bene di una Libia unita. Allo stesso modo, Misurata non accetterà mai un compromesso con lui. «Vogliamo ciò che ci meritiamo», spiega il capo dell’intelligence di Misurata, Mohamed Gnaidy. «La comunità internazionale deve stringere le mani a coloro che vogliono davvero unire la Libia. Non ci sarà posto per Haftar nell’esercito libico, neanche tra 100 anni».

GUARDIANO DEI POZZI. Non è chiara neanche la posizione di Ibrahim Jathran, l’uomo che insieme alla sua fazione controlla due porti petroliferi fondamentali per il paese come Ras Lanuf ed Es Sider. Per il momento si è alleato con Serraj e Misurata per la riconquista di Sirte, ma in passato si è sempre scontrato con l’esercito di Misurata in scontri sanguinosi. Difficile dire che cosa succederà una volta sconfitto il nemico comune rappresentato dall’Isis. «La vittoria di Misurata potrebbe essere latrice di nuovi scontri», prevede Mattia Toaldo, esperto del paese nordafricano all’European Council on Foreign Relation. «L’assenza di violenza in molte aree del paese è fragilissima e potrebbe crollare sotto le tante pressioni».

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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