È il tempo della massima allerta, non solo per il costante rischio di alluvioni, ma per quello di una probabile carestia di azioni coerenti e concrete, dopo l’indigestione di lodevoli e sacrosanti proclami. Il rischio c’è: lampi e tuoni – governativi e parlamentari – che si stemperano nei meandri dei Palazzi lungo tutto lo Stivale: usque tandem abutere…?
Nello specifico: il Catilina che sta abusando della pazienza degli italiani ha diverse facce. La peggiore: l’ingiustizia miope, sorda e muta, che abbatte sul nascere la speranza del futuro: la famiglia. Inutile girarci attorno: è la famiglia il cuore dell’Italia, fosse anche la famiglia costituita dalla sola vecchierella che si tiene caro il bonus di 80 euro e allora non si capisce che fine ha fatto. È sotto il materasso. O la famiglia del giovane che vorrebbe cavarsela da solo, ma deve restare con mammà perché non c’è scampo: l’alternativa è il sacco a pelo alla Stazione Centrale. Infine la famiglia come ancora ad oggi – ma sì, osiamo – la si intende in una autentica, unica, assoluta prospettiva di futuro: i genitori, i figli. La speranza, il compimento, il valore; la ricchezza, l’intelligenza, la forza; la cultura, la politica, la relazione… se l’Italia non pensa a questo, può intonare il Requiem a se stessa.
Giusto, come dichiara con qualche affanno il ministro Padoan – intervista al Sole del 6 agosto – che esistano segnali positivi che andranno apprezzandosi nei prossimi trimestri e nei prossimi anni. “Parlo del 2015 e del 2016”. Ma se alla famiglia non daremo speranza, a quella data non ci arriveremo. Se nemmeno le sarà dato, oltre al dovere costituzionale, anche il diritto di scegliere, nell’ambito del servizio pubblico, che fare dei propri figli, dai 3 anni in su, come educarli, dove farli crescere… è un attimo: disperazione, frustrazione, rabbia, ribellione… sentimenti ovvi, normali, umani, comprensibili. Su cui qualcuno (come si è visto) potrebbe fare leva in modo surrettizio. Ma il ragionamento non fa una piega: “Ottanta euro al mese in più, ad esempio per educare come voglio e come devo i miei figli? E in più le tasse per la scuola che ho pagato allo Stato? E dove sta la nostra scelta, come famiglia, nel servizio pubblico, statale e paritario? Perché mio figlio senza mezzi economici non ha il “permesso” dello Stato di scegliersi la scuola che vuole? Perché lo Stato non mi da il “potere” di mandarlo a scuola dove voglio? E perché mi dice nella Costituzione che posso e devo mandarlo dove voglio?”
Ma non è finita: “E perché non arrivano alla mia scuola pubblica paritaria, da parte della Regione, i miseri contributi che servono alla scuola per pagarmi lo stipendio? So per certo che lo Stato li ha erogati, da mesi; so pure che onesti impiegati amministrativi dell’Ufficio scolastico si disperano perché Qualcuno non permette di accreditarli, quei contributi…”. E alla fine, la fine: “Perché non ho lo stipendio da due mesi?… Perché la mia scuola chiude, per mancanza dei contributi 2012-2013 e 2013-2014, già erogati alla Regione e non accreditati alle scuole?… In fondo, si trattava di circa 500 euro ad alunno, contro i circa 7.000,00 che lo Stato spende per le sue pubbliche statali… Io resto senza lavoro, la mia scuola paritaria chiude e vende l’immobile ai russi, ma come farà, poi, lo Stato a pagare i quasi 6 miliardi di euro all’anno che gli fanno guadagnare le scuole pubbliche paritarie?”
Che ha intenzione di fare, lo Stato? Spedirà i pargoli sulla luna? Li affiderà al Sindaco? Mah! La risposta inequivocabile, forse affaticata, del sottosegretario all’Istruzione, sempre in quello scorcio di luglio, fa comunque ben sperare, tanto che l’interpellante – a nome dei variegati schieramenti – conclude: “Prendiamo atto con soddisfazione, e ne diamo atto a questo Governo, che sono intervenute dichiarazioni positive e forti del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Stefania Giannini, sull’applicazione della parità, applicando il costo standard, cosa assolutamente necessaria equa e urgente, nel rispetto del principio di libertà di scelta educativa cui si ispira l’Unione europea”. Già. Ma… nel frattempo si muore: la famiglia di mancanza di libertà, l’alunno di privazione di un diritto, la repubblica di povertà di investimenti privati (ritenuti già ora insufficienti dal presidente Bce Mario Draghi), la scuola pubblica di depauperamento di una tradizione educativa, e il professore di fame.
Pensierino finale: “Le buone idee senza risorse sono prima sogni e poi frustrazioni; ecco perché occorrono dei passi concreti” – dichiarava il Ministro Giannini il 25 giugno a Roma – per un sistema scolastico che sia inclusivo e competitivo: 1. Autonomia ; 2. Rivisitazione del finanziamento; 3. Valutazione; 4. Programmazione; 5. Apertura al contesto.
Significato: una strada esiste, la speranza non è morta. Altrimenti nemmeno varrebbe la pena scrivere queste righe (e leggerle). È la Scuola il reale, quanto scomodo, punto di partenza e la sua funzionalità e qualità rappresentano la chiave di volta per far uscire l’Italia dalla recessione tecnica che la strattona ancor più perché è una crisi ideale, di buone idee uccise dall’insipienza.
Chi ha orecchie per intendere…
* L’autrice di questo articolo è esperta di settore scuola e presidente della Federazione istituti di attività educative (Fidae) Lombardia.