Referendum Bologna. La presidente della provincia (Pd): «Voterò B»
REFERENDUM IDEOLOGICO. Secondo il presidente della Provincia, il referendum voluto dal comitato Articolo 33 è «assolutamente mal formulato e fuorviante», «ideologico» e affetto da «banalizzazione e qualunquismo». Il quesito referendario ignora completamente la legge 62/2000, alla quale era necessario fare riferimento «non solo perché esiste, ma per le ragioni di bene comune e di profilo costituzionale che l’hanno ispirata, sostenuta, consentendo un salto di qualità significativo nelle opportunità di istruzione a disposizione dei cittadini».
Draghetti, che ha un passato da insegnante nelle scuole medie, spiega che la sua scelta è maturata anche per «la responsabilità di presidente della Provincia che ha particolari e specifiche competenze sulla scuola» nonché «sulla qualità e quantità dell’offerta formativa sul territorio». «Fondamentale», secondo la dirigente del Pd, deve essere la lettura, «onesta e libera», dei dati, soprattutto in un clima generale di «carente informazione». Conclude Draghetti: «Se poi si vogliono sacrificare i cittadini nel loro diritto di esigibilità di diritti fondamentali, qual è l’istruzione fin dall’infanzia, mirando strumentalmente ad obiettivi diversi, è necessario assumersene poi le responsabilità».
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CENTRALISMO STATALISTA. Anche il segretario della Cisl pensionati (Fnp) di Bologna, Sergio Palmieri, invita i bolognesi a votare a favore delle paritarie: «È necessario andare a votare e votare B», ha scritto Palmieri in una nota, nella quale ha rivolto «un appello alle pensionate ed ai pensionati bolognesi».
Palmieri ricorda che a Bologna «il sistema pubblico integrato, istituito dal 1994, dà complessivamente risposta educativa al 98,4 per cento dei bambini della fascia d’età tre-sei anni», ma i referendari, «giocando sull’imparzialità equivoca del quesito» vogliono «la soppressione delle convenzioni e anche, forse, la revisione dello stesso significato della definizione di sistema pubblico, quasi a voler perseguire un nuovo centralismo statalista con forme di vaga memoria napoleonica».
Se accadesse, mette in guardia Palmieri, «per l’effetto di destrutturazione che potrebbe avere su un sistema integrato, che ci è invidiato dall’Italia intera, si dimostrerebbe nei fatti un risultato contro le famiglie bolognesi nonché contro un importante fattore di coesione sociale della città».
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