Noterelle a margine dell’elezione del Capo dello Stato e di una certa propensione italiana a drammatizzare, o meglio, a melodrammatizzare ogni evento, come se si trattasse, a seconda del momento, di una apocalisse o di una scampagnata fuori porta.
Così s’oscilla tra il grand guignol e il teatro dei pupi, senza grande costrutto né razionalità, spacciando ogni sospiro percepito in Transatlantico per “notizia definitiva”, “svolta”, “pietra tombale sul dialogo”, “apertura”. Lunghe dirette tv per dire poco, lunghe dirette social per dire poco, lunghe articolesse sui quotidiani per dire poco. In generale una sensazione d’impazienza, che è anticamera al sentimento prevalente: l’indignazione.
Noterella n.1: la fretta social e i tempi della politica
Ecco, appunto. I quotidiani riflettono un po’ la spasmodica necessità social di commentare tutto in presa diretta. Come diceva Bari Weiss del New York Times, «che sembra diretto da Twitter». Ci siamo arrivati anche noi: pure la nostra stampa pare diretta da Twitter. L’ansia da commento short and shining tipica del social con l’uccellino blu s’è trasferita su carta, ingenerando aspettative il cui unico criterio è l’immediatezza.
“Fate presto”, “perché ci mettete tanto?”, “cos’altro aspettate?” sono i commenti di chi sta in platea e non ha altra occupazione se non il fischio o il plauso. Cui segue l’inevitabile accusa: “Ci mettete tanto perché siete degli incapaci”, “giocate anziché lavorare”, “siete in gita a Roma”.
C’è del vero, ma solo un po’. La politica ha i suoi tempi, una trattativa è una trattativa, per eleggere Giovanni Leone ci vollero 23 scrutini. Cosa c’è da scandalizzarsi?
Noterella n. 2: il presidente di parte
Questa cosa per cui il presidente non deve essere “di parte” è curiosa. Ovvio che, essendo una “figura di garanzia”, come si dice, e che debba vigilare sul “rispetto della Costituzione”, come si dice, è cosa buona e giusta che sia persona dotata di equilibrio e competente. Ma queste sono ovvietà, mica scuse per ritenere “impresentabile” qualcuno. Soprattutto è curioso che la sinistra – Letta in primis – ritenga improponibile la candidatura di figure del centrodestra perché “di parte”.
Giorgio Napolitano non era uomo di parte? Sergio Mattarella era un alieno atterrato per caso in Italia sette anni fa? L’imparzialità la si chiede al Capo dello Stato nell’esercizio delle sue funzioni, ma chi lo ha detto che debba essere stato “imparziale” prima? Se è un uomo, un uomo che ha fatto politica, cioè ha “preso parte” in un “partito” (appunto!), qual è il problema? Perché il centrosinistra poteva provarci con Prodi e il centrodestra non poteva provarci con Berlusconi?
Noterella n. 3: dalla scatoletta alla cadrega
C’è un solo aspetto su cui tutti gli osservatori concordano, uno solo. Il Movimento 5 stelle è allo sbando, Conte non conta, Grillo fa casino, i parlamentari pentastellati hanno – tutti – un solo obiettivo: far durare il più possibile la legislatura per intascare la mesata. Il paradosso è che si è arrivati, per altra via, alla realizzazione concreta dell'”uno vale uno”: nel senso che ognuno fa quel cacchio che gli pare.
A ripensarci, il tradimento delle premesse è clamoroso. Sono passati dall’aprire il parlamento «come una scatoletta di tonno» all’ansia di mantenere la cadrega, dall’invocare per il Colle «Rodotà-tà-tà» a sperare in Pier Ferdinando Casini “uno di noi”.
Qualcuno parla di nemesi, altri spiegano sociologicamente che trattasi di inevitabile fase di assestamento e normalizzazione per qualsiasi movimento nato con spirito rivoluzionario, a noi viene in mente un’espressione più terra terra: cazzari che non siete altro.
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