Quando vigeva il rito del “mutuo sputazzamento” del giornale altrui

Di Pier Giacomo Ghirardini
06 Febbraio 2016
Non importa a chi per primo partisse l’embolo, fosse un comunista che leggesse qualcosa sulla “Voce” o un repubblicano che scaracchiasse sull’Unità
Un momento della manifestazione 'Difendiamo i nostri figli' contro il ddl Cirinn‡, le unioni civili e quelle omosessuali a piazza San Giovanni, Roma, 20 giugno 2015. ANSA/ETTORE FERRARI

unita-family-dayArticolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Lugo di Romagna. Tanti anni fa. Nella piazza Francesco Baracca, dove il Duca d’Aosta fece erigere una spropositata ala d’aereo in travertino di Tivoli e un’abnorme statua bronzea dell’aviatore con le fattezze del figlio del fabbro di Predappio, in nulla simile al bel nobile eroe caduto sul Montello, all’angolo opposto rispetto al Pavaglione costruito da Alfonso II d’Este, presto adibito al fiorente commercio serico, si incrociavano, cozzando, due porticati rivali: da una parte la sede del Pci con l’Unità in una bacheca protetta solo da una griglia metallica; dall’altra la sede del Pri che esponeva in simile guisa La Voce Repubblicana.

A una cert’ora della giornata, in quei tempi di guerra fredda, le pagine affisse delle due testate di partito recavano i segni inequivocabili del “mutuo sputacchiamento assicurato”. Non importa a chi per primo partisse l’embolo, fosse un comunista che leggesse qualcosa sulla Voce, inducendolo a espettorare sul paragrafo che l’offendeva, o un repubblicano che scaracchiasse sull’Unità. Alla fine della giornata, ambo le bacheche andavano nettate con l’alcole. In questa terra, dove per trovare un don Camillo occorreva scendere verso la più bianca Faenza, l’alternativa a Peppone erano i repubblicani – quando non gli anarchici. Abbiate pazienza, ho un quarto di quel sangue ribollente, da parte del nonno materno, e nacqui a Lugo per incompetenza logistica genitoriale.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Venerdì, 29 gennaio 2016. L’Unità. Titolo: “Family Day”. Sottotitolo: “Per la prima volta un piano nazionale (800 milioni) anti povertà per 4 milioni di persone. Tutele e sostegno al reddito per 280 mila famiglie indigenti con 550 mila bambini”. Traduzione: cari tutti che affluirete a Roma domani per il Family Day, siamo noi, “i migliori” dai tempi di Gramsci, i veri protettori della famiglia, come capirete anche da questa offerta last minute, non priva di quel certo gusto rétro “per i poveri” e di quel pizzichino di neorealismo (i 550 mila bambini), ricchi premi e cotillons (poltrone ministeriali fresche di giornata) – se rientrate, beninteso, al più presto nei ranghi.

Leggo questo, non attraverso la griglia a bocche di lupo di una bacheca, ma nella mattutina rassegna stampa tv, dove giornalisti eleganti come i cattivi di Matrix lasciano gialle ditate tecno-nichiliste sui touchscreen, somministrando sadicamente la dose quotidiana di sfracelli per i padri e le madri di famiglia che pretenderebbero di non vivere nel terrore – ultimi replicanti.

Ma non c’è gusto a sputazzare i giornali virtuali. E poi mi sgridano che do il cattivo esempio ai bambini.

[pubblicita_articolo_piede]

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.