Elezioni. Ruiu (Fdi). «Un fondo per la vita nascente è una possibilità per le donne, non contro le donne»
A lei, degli sputazzi della sinistra sul suo “integralismo cattolico”, frega niente, «ma dico, sarà un male o un bene per la società liberare le donne dal ricatto economico? Questi parlano di liberare le donne da obiettori di coscienza e consultori confessionali, ma non c’è una sola donna in Italia che sia stata costretta a partorire per presunte carenze applicative della legge 194. Donne costrette da problemi di ordine economico e materiale a rinunciare al proprio, inatteso, bambino, invece sì: le ho incontrate, le ho accompagnate, mi sono chiesta dove fossi quando nessuno offrì loro un’alternativa e un sostegno concreto come previsto dalla 194 stessa. Ed eccomi qui: se la mia candidatura servisse a dare aiuto anche a una sola mamma in difficoltà e una chance di vita al suo bambino, ho già vinto. Anzi, abbiamo vinto tutti».
Maria Rachele Ruiu, classe 1983, sposa di Stefano e mamma di Michele, Chicco e Sara (volata in cielo), tra i candidati indicati da Tempi per il voto del 25 settembre, è una bomba di cuore e storie in mezzo a Fratelli d’Italia: ai salotti di Formigli e compagnia influencer che discettano tra telecamere e spritz di “attacco alla 194” preferisce i tinelli delle case romane e del Lazio, dove corre per Meloni e dove, tra caffè e pastasciutta, si parla allegramente di educazione, famiglia, lavoro.
Da quando aiutare le mamme in difficoltà è un attacco ai diritti?
Volto e voce pubblica della Manif Pour Tous Italia (poi Generazione Famiglia), Pro Vita e Famiglia Onlus e soprattutto dei due Family Day, a chi le chiede come farà il suo impegno su temi così identitari a fare breccia in un partito grande e di massa, Ruiu assicura che «non ci sarà bisogno di fare “brecce”, perché in Fratelli d’Italia sono già presenti dirigenti, amministratori e militanti che condividono in pieno le nostre istanze e che mi hanno mostrato che si può fare politica guardando non al proprio interesse ma al bene comune, mentre altri amici entreranno con me, penso ad esempio all’amico Lorenzo Malagola candidato a Milano. La mia candidatura è comunque sostenuta anche da una cordata di amici conosciuti durante il percorso associazionistico, a partire da Massimo Gandolfini e Jacopo Coghe: se eletta, sono sicura di poter incidere sui nostri temi. Penso al fondo per la vita nascente annunciato da Giorgia Meloni per le donne in situazioni di fragilità sociale e rimuovere le cause economiche e sociali che possono spingere le donne a rinunciare ai propri bambini. E al sostegno dei Centri di aiuto alla vita che si sobbarcano da decenni della fatica di aiutare mamme e figli nella pressoché totale indifferenza di uno Stato e certi politici che si ricordano della 194 solo in campagna elettorale e per fomentare la retorica dei diritti. Salvo poi tornare a dimenticarsi delle donne e lasciarle sole davanti alle ferite dell’aborto».
Si “rompe il silenzio” su ogni dolore, tranne quello dell’aborto
Nell’Italia in cui scatta la corsa di politici e celebrità per “rompere il silenzio”, “raccontare il dolore” e formulare leggi a tema endometriosi o vulvodinia (e si organizzano Festival del Ciclo Mestruale per “rompere i tabù” e abbattere “le disuguaglianze e le discriminazioni” in tema di salute femminile e sessuale), accostare parole quali “dolore”, “complicazioni”, “difficoltà personali, familiari, socio-economiche o lavorative” a un tema di carne, sangue e corpo come l’aborto è da scomunica.
Della stagione dei Pasolini, Testori, Bobbio e Muraro, che con la loro libertà e onestà intellettuale costringevano il paese a confrontarsi sull’aborto come su una “ferita aperta”, non sono rimasti che i social network e una retorica scontata e fondata sulla libera scelta e il grumo di cellule: «Ma come si fa a parlare di grumo di cellule nell’anno 2022? Come si fa a parlare di aborto senza chiedersi perché le donne oggi – non 40 anni fa – abortiscono? Questa scontatezza è inaccettabile perché colpisce soprattutto le donne e la loro salute: sono troppe le ragazze che interrompono una gravidanza convinte che l’aborto sia una passeggiata, che si possa tornare indietro, che non ci sarà dolore e che quello non è un figlio. Se si volesse parlare di autodeterminazione le donne dovrebbero essere messe nella condizione di sapere cos’è un aborto, quali sono le conseguenze fisiche, psicologiche, e che esiste anche un’altra possibilità: una possibilità per loro, non contro di loro. Negare il dolore dell’aborto non è verità, è ideologia cruenta».
«Letta vuole l’educazione di Stato, noi la libertà educativa»
Dai bimbi in pancia a quelli sui banchi, abissale e sostanziale resta anche la differenza tra programmi di centrodestra e sinistra improntati a “parità scolastica e costo standard”: «Uno dei refrain di Letta durante la campagna elettorale è stato quello della scuola dell’infanzia obbligatoria: ebbene come sono certa che non si possa parlare di difesa della vita senza parlare di famiglia, luogo in cui la vita è accolta e custodita, sono altrettanto certa che non si possa parlare di educazione senza difendere il principio di libertà educativa: solo nei totalitarismi una famiglia è costretta ad appaltare l’educazione dei figli allo Stato. Questo significa liberare madri e padri dai condizionamenti esterni e consentire a tutti di scegliere tra scuola pubblica a gestione statale e scuola pubblica a gestione privata senza discriminazioni economiche e con pieno sostegno alle situazioni di fragilità e disabilità. Gli strumenti ci sono, a partire dal costo standard, una legge, la Berlinguer, mai pienamente attuata, anche: perché inventarsi la scuola dell’infanzia obbligatoria e non puntare alla libera scelta di asili diffusi e gratuiti?».
Altra cosa è l’emergenza educativa: su questo non c’è alcuna convergenza, «resta fermo il nostro impegno ad arginare l’ingresso di progetti ideologici nelle scuole, o iniziative come la carriera alias, e ad affrontare insieme ai genitori la piaga delle nuove dipendenze: non solo l’abuso di droghe, come la cannabis che la sinistra è desiderosa di legalizzare, ma quello da smartphone, social network, gaming e soprattutto la pornografia».
«Più figli e meno tasse: non è uno slogan»
Quanto alla famiglia, «più figli e meno tasse non è uno slogan: sostenere la famiglia, in quanto “pilastro della nostra vita sociale”, significa trattare con equità fiscale quel nucleo che ha sulle spalle la crescita, l’educazione e il mantenimento dell’Italia di ieri, oggi e domani. Anche consentendole di “strafare” con tanti figli». Nel dettaglio, il programma di Fdi prevede la progressiva introduzione del quoziente familiare, l’aumento dell’assegno unico universale, la riduzione dell’Iva sui prodotti per la prima infanzia, incentivi alle aziende che assumono neomamme, sostegno ai comuni per i nido gratuiti, aumento delle deduzioni per le spese sostenute dalle famiglie per fare fronte alle disabilità. «E valorizzare in ogni modo il contributo unico e creativo che le mamme portano nel mondo del lavoro attraverso tutti gli strumenti capaci di armonizzare professione e famiglia. Le nostre nonne si sono battute per entrare nel mondo del lavoro, oggi dobbiamo batterci per poter essere madri, professioniste o entrambe le cose senza che il mondo del lavoro ci ricatti».
«Vado al voto con Stefano e i bambini, come sposa e madre»
Se c’è una cosa che Ruiu s’impegna a portare in Parlamento «è uno sguardo alla famiglia: non si guarda mai a un lavoratore come a un padre, marito, agli studenti come a figli di una mamma e un papà che lavorano. Io dico sempre che al voto ci vado con Stefano e i bambini, come sposa e madre, non come Maria Rachele Ruiu e basta. E con tutte le persone libere all’opera per il bene comune che ho incontrato in questi anni: in quest’anno soprattutto, quando ho dovuto fare i conti con la possibilità di non essere indispensabile per i miei figli», conclude, “fresca” di operazione, chemio, radio, ma anche dell’amicizia di tanta, troppa gente che le ha dimostrato «che c’è davvero del buono in questo mondo, che ci si può occupare della cosa pubblica, costruendo una società migliore, davvero come la più alta forma di carità».
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