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Quale Gesù volete abbattere per primo, il bianco o il bakongo?

Eliminare tutte le immagini cristiane occidentali in quanto frutto di "appropriazione culturale" e suprematismo bianco: la tragica stupidità di una proposta "antirazzista"

Rodolfo Casadei
28/06/2020 - 2:00
Società
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Quando quindici anni fa, all’indomani della rivolta delle banlieue parigine, Alain Finkielkraut definì l’antirazzismo come il comunismo del XXI secolo molti se ne ebbero a male e alcuni lo denunciarono per istigazione all’odio razziale. Da quando uno di militanti più celebri del movimento Black Lives Matter (Blm), dopo settimane di blitz che in molti paesi si sono conclusi con l’abbattimento o la vandalizzazione di statue di personaggi considerati l’incarnazione dell’occidentalizzazione del mondo, ha lanciato l’idea di rimuovere tutte le immagini di Gesù Cristo e della Vergine Maria che non presentino una morfologia compatibile con quella degli ebrei di duemila anni fa, molti anche fra i più scettici si stanno convincendo che il filosofo francese abbia visto giusto e con buon anticipo.

Secondo Shaun King, scrittore e attivista dei diritti civili, le immagini sacre cristiane che presentano caratteristiche somatiche più propriamente europee dovrebbero essere tutte eliminate in quanto espressione di suprematismo bianco e manifestazioni di propaganda razzista. Addio Michelangelo, Caravaggio, Piero della Francesca, Giotto, Leonardo, Masaccio, Mantegna, Tiziano, Velazquez, El Greco, Bosch, maestri fiamminghi, eccetera. Ma anche addio Gauguin, Van Gogh, James Ensor, Salvador Dalì, Botero, Banksy, eccetera: tutta gente che si è prestata alla mistificazione di consegnarci un Gesù Cristo bianco e una Madonna pallida.

Viene subito in mente il parallelo con le Guardie rosse della Cina comunista che nel corso della Rivoluzione culturale (1966-1976) distrussero statue, dipinti, opere calligrafiche, documenti storici espressione di millenni di civiltà cinese. O le distruzioni di chiese e icone da parte dei comunisti sovietici negli anni Venti, quando dipingere icone era diventato un reato punito dal codice penale.

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Ma c’è una profonda differenza fra l’iconoclastia dei comunisti veri e propri e quella degli odierni razzialisti (chiamo così gli esponenti del movimento che, col pretesto della lotta al razzismo, vuole razzializzare la società e le categorie della politica): i primi distruggevano le opere d’arte e i documenti del passato perché essi avrebbero incarnato i rapporti feudali e l’alienazione religiosa, cioè due strumenti dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo.

Questa motivazione è condivisa solo in parte dai Blm, la cui iconoclastia ha un raggio molto più ampio: non si tratta solo di eliminare testimonianze estetiche che richiamano personaggi accusabili di colonialismo, schiavismo, razzismo e altre forme di rapporti iniqui fra gli esseri umani; c’è dell’altro: le opere d’arte prodotte in Occidente che traggono ispirazione da personaggi e situazioni non occidentali che non sono riprodotti come tali, ma con caratteristiche razziali e culturali europee, rappresentano un’indebita appropriazione di “beni” altrui tanto quanto il saccheggio degli schiavi o delle materie prime minerali e vegetali.

In quanto prodotti finiti frutto dell’appropriazione di beni simbolici altrui, le opere d’arte occidentali a soggetto religioso cristiano coincidono col colonialismo tanto quanto i tessuti di Manchester prodotti col cotone delle colonie britanniche in Africa e in India o il cioccolato di Bruxelles prodotto col cacao africano. L’Occidente è colpevole di aver europeizzato Gesù tanto quanto è colpevole di aver trasformato i pomodori amerindi nella pummarola napoletana orgoglio dell’Italia, il tè dell’Oriente in un simbolo del modo di vivere inglese, il petrolio delle lampade persiane nella benzina delle automobili sfornate dal fordismo che ha inventato l’aristocrazia operaia, eccetera.

Si chiama reato di appropriazione culturale e non l’ha inventato Shaun King, è in circolazione già da qualche anno. Mathieu Bock-Côté definisce il reato di appropriazione culturale come «l’utilizzo o lo sfruttamento da parte di una cultura dominante dei riferimenti culturali propri a una cultura dominata», definizione che darebbe la giusta collocazione a «un processo di sfruttamento simbolico propriamente neocoloniale». Le proteste contro le squadre americane di football e canadesi di hockey che portano nomi indigeni come i Washington Redskins o i McGill Redmen di Montreal o i Cleveland Indians sono cominciate nel 2014, e alcune di queste squadre hanno ceduto e cambiato nome (i McGill Redmen ora si chiamano McGill Team) oppure hanno rinunciato alla commercializzazione di prodotti col loro logo.

Nell’estate del 2018 il drammaturgo canadese Robert Lapage è stato attaccato da gruppi per i diritti civili perché la sua pièce teatrale SLAV era centrata su canti degli schiavi afroamericani, ma questi erano interpretati da cantanti bianchi vestiti da braccianti agricoli. Lapage ha dovuto chiedere scusa e impegnarsi a modificare le parti per vedere di nuovo il suo dramma sulle scene.

A Ottawa l’università ha sospeso i corsi di yoga, accusati da alcuni gruppi di appropriazione culturale perché nessuno degli insegnanti era orientale. E gli esempi si potrebbero moltiplicare con cronache da tutto il Nordamerica.

A Shaun King e ai suoi numerosi seguaci si può certamente rispondere che dimostrano di aver viaggiato poco nella loro vita. Se avessero visitato le chiese e i santuari cristiani dell’Africa o dell’Asia, o semplicemente attraversato il confine col Messico, avrebbero scoperto che in giro per il mondo esistono Gesù con fisionomia africana e Vergini Maria dai tratti meticci o dai tratti cinesi. Non hanno mai visto i presepi Yoruba del sud-ovest nigeriano o quelli della Tanzania, dove tutti i personaggi sono africani, non hanno visto la cinese Madonna di Sheshan o la messicana, dunque meticcia, Vergine di Guadalupe. Avrebbero così scoperto che quella che loro definiscono con sdegno appropriazione culturale si chiama, nell’universo cattolico, inculturazione: ogni popolo raffigura i personaggi della storia della Salvezza con le fattezze locali, a rappresentare l’universalità della Redenzione.

Il Gesù tedesco incoronato di spine dal naso dritto, il viso allungato e il sangue che risalta sulla carne bianca di Albrecht Dürer e il Gesù bakongo crocifisso con gli occhi grandi, il naso schiacciato e le labbra prominenti sono lo stesso Cristo nel momento del sacrificio di sé, fatto proprio da popoli e culture diversi fra loro. Se fossero coerenti con la loro logica, i Blm dovrebbero accusare di appropriazione culturale anche messicani, cinesi, giapponesi, africani, eccetera.

Ma c’è una cosa molto più importante da obiettare. Ed è che nel mondo che loro immaginano, dove gli spiritual li cantano solo gli afroamericani, lo yoga lo insegnano solo i maestri indiani e Shakespeare e Dante Alighieri van bene solo per i bianchi, le civiltà saranno piuttosto sterili e poco universali, saranno molto tribali e ripetitive. Glielo diciamo con cognizione di causa noi occidentali perché la nostra, come ha scritto Rémi Brague, è la civiltà della secondarietà: i romani hanno giudicato la filosofia dei greci e la religione degli ebrei, popoli sconfitti e sottomessi, superiori alle proprie, e le hanno assunte. Quella è stata la più felice appropriazione culturale della storia di cui siamo a conoscenza, perché ha gettato le basi della civiltà occidentale di cui siamo i figli: orgogliosi dei suoi splendori e consapevoli delle sue bassezze.

Ben prima di appropriarci della musica e delle materie prime africane, ci siamo appropriati del pensiero e dello spirito di greci ed ebrei, e quel che ne è venuto lo sanno tutti. Non lo avessimo fatto per non apparire sfruttatori culturali in aggiunta al fatto di essere i colonialisti politico-militari, oggi il mondo tutto intero sarebbe più povero. Come sarebbe più povero un mondo organizzato come un lager dove ogni gruppo sta dentro alla sua baracca e non si occupa di quello che fanno nelle altre.

@RodolfoCasadei

Tags: alain finkielkrautantirazzismobanlieueblack lives matterrazzismo
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