Può un imprenditore vivere in un paese con una pressione fiscale al 77 per cento?
Tax Freedom Day ancora lontano per le piccole imprese italiane. Se ieri i cittadini hanno potuto festeggiare il giorno della liberazione fiscale, dovranno, invece, attendere ancora circa tre mesi prima di esultare i titolari di negozi e gli artigiani con bottega come sarti, fruttivendoli e calzolai.
Uno studio della Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa (Cna) ha reso noti i dati sulla pressione fiscale per i piccoli imprenditori italiani: e ciò che è emerso è che le tasse per loro possono raggiungere valori da capogiro, fino al 77 per cento del reddito percepito; ciò significa, in pratica, che i piccoli possono impiegare fino a 280 giorni l’anno di lavoro per pagare il fisco. E solo a partire dal mese di settembre, dunque, per loro ci sarà la possibilità di lavorare effettivamente per se stessi.
SITUAZIONE COMPLESSA. A rendere vario e composito lo scenario ritratto nell’indagine condotta sui venti capoluoghi d’Italia più Bolzano della Cna “Città che vai, tasse che trovi” è il fatto che, mentre le tasse erariali (l’Irpef e i contributi versati alla cassa artigiani) sono uguali in tutta Italia, così non è per i tributi locali. L’Irap, l’Imu sugli immobili, la Tares sui rifiuti e le varie addizionali regionali e comunali, infatti, possono cambiare e di fatto cambiano da città a città. Soprattutto l’Imu, per cui, per esempio, per un negozio di cento metri quadri a Napoli si possono arrivare a versare 740 euro, contro i 2.830 pagati a Roma per lo stesso immobile.
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BOLOGNA CAPITALE DELLE TASSE. Il record di tasse spetta a Bologna dove la pressione fiscale raggiunge il 77,23 per cento, seguita da Roma con il 76,54 per cento del reddito d’impresa. Sempre Bologna è la città che ha subito il rincaro più celere e salato (quasi dieci punti percentuali) nell’ultimo anno. Relativamente più fortunati i negozianti e i piccoli imprenditori di Trieste, dove la pressione fiscale si arresta “soltanto” – si fa per dire – al 61,18 per cento del reddito, che è il valore più basso registrato. A Milano si supera di poco il 67 per cento (67,37), a Napoli si tocca il 74,61 e a Venezia il 68,96 per cento.
282 GIORNI DI LAVORO PER IL FISCO. Ciò significa – tanto per rendere l’idea – che a Milano si impiegano 246 giorni per pagare le tasse, fino al 3 settembre, a Venezia, 252 e a Napoli 272 giorni. Lontanissima la liberazione fiscale per Roma e Bologna che dovranno aspettare rispettivamente 279 e 282 giorni prima che i loro artigiani possano guadagnare i frutti del duro lavoro: i loro Tax Freedom Day, infatti, sono addirittura fissati in calendario al giorno 6 e al giorno 9 di ottobre. Un’eternità, insomma. Nonché una terribile ingiustizia.
SENZA RESPIRO. E’ FINITA. «Non hai respiro. Solo scadenze e bollette», dice Angela Moles a Repubblica che da trent’anni lavora nella moda a Bologna. «Non c’è il tempo per riprendersi. Ogni mese una tassa. Ma come posso pianificare così? Come pensare a investire e migliorare la qualità del mio prodotto?». Facile capire, dunque, perché «allora sei costretto a usare i voucher se vuoi più collaboratori», incentivando quel tipo di precariato tanto denunciato sui giornali e dai governi. Poi, «sei costretto a fare lo slalom tra le offerte per tagliare i costi delle utenze. Non sono sorpresa che Bologna sia in testa». Ma «non era così trent’anni fa».
Una drammatica involuzione confermata da Ivan Malavasi, presidente di Cna, che aggiunge: «Abbiamo salvato il Paese ma io muoio. Questo mi dicono gli imprenditori, hai voglia a parlare di default». E «i dati dello studio raccontano una cosa sola: stiamo sparendo, non abbiamo più risorse per vivere. Se un artigiano deve attendere settembre per guadagnare per sé e la famiglia è finita». E al premier Enrico Letta ricorda: «Il governo non ha più tempo per dire cosa farà. Ha un tempo solo: fare».
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2 commenti
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quando sinistra, democrazia cristiana e preti italiani ripetono che lo stato sociale non si tocca, con tale “stato sociale” che arriva fino a tagliare l’erba dei condomini, perchè chi vi abita ha i soldi per il suv ma non vuole darli per chiamare i tagliaerbe le conseguenze eccole. ci sono settori in cui la presenza dello stato è fondamentale, ma sono pochi. se si desse più spazio alla sussidiarietà…invece no! deve pensarci lo stato!
Se rimarremo nell’eurozona e non ci sganceremo dalle imposizioni della troika, sarà difficile poter ridurre la pressione fiscale, assisteremo a continue manovre e manovrine , tagli e taglietti,e il debito pubblico continuerà comunque a salire, i vari governi Prodi, Berlusconi e Monti .degli ultimi anni lo dimostrano.