Perché il Giappone torna all’energia nucleare

Di Leone Grotti
18 Ottobre 2015
È ripartito il secondo reattore dei 52 spenti nel 2011, dopo l'incidente di Fukushima. Un terzo è già pronto. Così si abbattono le emissioni di gas serra e si risparmia sulla bolletta
epa04878905 An undated picture provided by Kyushu Electric Power Company on 10 August 2015 shows the Sendai Nuclear Power Plant in Satsumasendai, Kagoshima Prefecture, south-western Japan. Kyushu Electric Power Company on 10 August officially announced it would restart a reactor at his Sendai Nuclear Power Station on 11 August, the first reactor to come back online in Japan since the nuclear disaster at Fukushima. It would be the first nuclear plant to restart under stricter safety regulations, which were implemented following the accident in March 2011. EPA/KYUSHU ELECTRIC POWER COMPANY/HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

Il secondo reattore nucleare del Giappone è ripartito venerdì. Anche questo, come il primo riacceso in agosto dopo l’incidente di Fukushima del 2011, fa parte della centrale di Sendai e si trova a Satsumasendai, nel dipartimento di Kagoshima, nel sud-est del paese. Ora, su 52 reattori nucleari, solo due sono in funzione.

POCHE PROTESTE. Nel 2014, dopo tre anni di fermo totale, il governo giapponese ha annunciato di voler tornare all’atomo. Nuove misure di sicurezza sono state approvate e solo i reattori che le soddisferanno potranno essere riaccesi. Quando il primo è tornato in funzione, migliaia di persone in tutto il paese hanno protestato, oggi invece solo una settantina di giapponesi hanno manifestato la loro «inquietudine persistente».
In realtà, a Satsumasendai la stragrande maggioranza dei 100 mila abitanti è favorevole al ritorno del nucleare. Lo stesso consiglio comunale, a ottobre dell’anno scorso, ha approvato la riaccensione con 19 voti su 26. Tutta l’economia della città infatti si basa sulla centrale, grazie alla quale il Comune riceve miliardi di yen in sussidi e agevolazioni. Ecco perché anche il secondo reattore è ripartito senza proteste.

[pubblicita_articolo]PRONTO IL TERZO REATTORE. Tokyo è a conoscenza dell’importanza strategica dell’atomo per la sua economia. Senza, il Giappone dovrebbe spendere per gli ottimisti 34 miliardi di dollari in più all’anno per soddisfare il proprio fabbisogno energetico, 68 secondo le stime più pesanti. È un conto che i nipponici non possono permettersi di pagare.
Un terzo reattore dovrebbe quindi ripartire già l’anno prossimo: si tratta del numero 3 della centrale di Ikata, gestita dalla Shikoku Electric Power Co. Le autorità della città, nella prefettura sud-occidentale giapponese di Ehime, hanno già acconsentito all’operazione.

ESIGENZE AMBIENTALI. C’è anche un altro motivo per cui il Giappone vuole ricominciare a sfruttare l’energia nucleare ed è rappresentato dall’impegno che il paese si è preso in vista della conferenza sul clima che si terrà a dicembre a Parigi (COP21). Per sostituire l’atomo, il Giappone ha importato e utilizzato maggiori quantità di carbone, gas naturale e petrolio, aumentando solo nel 2012 le proprie emissioni di gas serra del 4 per cento. In vista di Parigi, il governo di Tokyo ha dichiarato di voler tagliare entro il 2030 le emissioni di gas serra del 26 per cento rispetto ai livelli del 2013.

ENERGIA PULITA. Gli ambientalisti hanno protestato all’annuncio, perché vorrebbero un taglio delle emissioni del 20 per cento entro il 2020 e dell’80 entro il 2050. Per il primo ministro Shinzo Abe però questo è impossibile, visto che solamente per tagliarle del 26 per cento entro il 2030 il Giappone avrà bisogno di generare con l’energia nucleare il 20-22 per cento dell’elettricità. L’atomo infatti è una delle energie più pulite che si conoscano, nonostante l’opposizione di gran parte degli ambientalisti.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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1 commento

  1. Menelik

    OK, allora diciamo che i Giapponesi non contribuiscono se non in minor parte rispetto alla media, a gonfiare i forzieri dell’isis e dei loro foraggiatori, Arabia Saudita e Quatar in testa, e danno un contributo non irrilevante all’aumento della CO2 da combustibili fossili, a prescindere dalla reale portata dell’effetto serra di origine antropica.

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