Non è stata la difesa dello spazio aereo nazionale a motivare l’abbattimento di un jet militare russo da parte della Turchia martedì mattina. Già in passato Ankara aveva denunciato sconfinamenti dei caccia di Mosca, ma difficilmente la necessità di porre fine alla disinvoltura e invadenza dell’aviazione russa può essere invocata come ragione principale dell’abbattimento. Mentre i turchi affermano che l’aereo è stato avvisato per dieci volte prima di essere attaccato, Washington fa sapere che esso è stato abbattuto solo pochi secondi dopo che era entrato nello spazio aereo turco (gli avvisi dunque sarebbero stati lanciati mentre il velivolo ancora si stava avvicinando al confine), e Mosca nega che lo sconfinamento sia mai avvenuto. Comunque siano andate le cose, ci sono almeno tre ragioni che spiegano l’azzardata iniziativa turca meglio che come un’esasperata risposta a ripetute provocazioni.
Va anzitutto notato che da tempo i jet russi attaccano le postazioni delle Brigate turcomanne siriane, un gruppo ribelle composto da membri della minoranza turcofona in Siria (circa 100 mila persone che parlano una forma antica della lingua turca), e che le località abitate da questa minoranza hanno subìto le conseguenze dell’intervento russo a fianco delle truppe di Bashar el Assad. Proprio negli ultimi tre giorni l’aviazione russa ha concentrato il fuoco sulla zona montagnosa vicina al confine con la Turchia controllata dai ribelli turcomanni, a sostegno di operazioni di terra condotte dall’esercito siriano. Settimana scorsa l’ambasciatore russo era stato convocato dalle autorità turche per una nota di protesta contro i bombardamenti russi nelle zone dove si trovano villaggi turcomanni, e il governo turco aveva chiesto per questa settimana una convocazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu su questo argomento. L’abbattimento del Sukhoi va dunque interpretata come una rappresaglia turca per le azioni militari supportate dai russi contro una popolazione che la Turchia intende proteggere e contro un gruppo ribelle evidentemente appoggiato da Ankara.
La seconda ragione che potrebbe spiegare l’attacco turco è la necessità di scongiurare il riavvicinamento fra Occidente e Russia sul dossier siriano, e in particolare l’alleanza militare di fatto fra Francia e Russia che si è andata delineando dopo gli attentati di Parigi. Costringere la Nato a prendere le parti della Turchia nella controversia che ora la oppone a Putin è una mossa abile per allargare di nuovo il cuneo fra le due parti. Ogni avvicinamento è infatti dannoso per gli obiettivi geopolitici che la Turchia ha in Siria, ovvero l’allargamento della sua sfera di influenza sui territori appartenuti all’Impero Ottomano.
Il terzo motivo potrebbe essere la speranza di provocare una reazione russa contro interessi turchi, meglio ancora se contro strutture militari. In quel caso Ankara potrebbe invocare l’articolo 4 del trattato istitutivo della Nato (consultazioni in seguito ad attacco o minaccia di attacco ai danni di un membro dell’alleanza) o l’articolo 5 (richiesta di assistenza militare a causa di un attacco subìto), e ottenere quell’intervento della Nato che va chiedendo da quasi quattro anni, funzionale nei suoi disegni alla caduta del regime di Damasco e alla sua sostituzione con un governo islamista di marca sunnita, infeudato alla Turchia.
La Russia non ha alcuna intenzione di cadere in una trappola del genere, e le prime reazioni fanno pensare che la risposta seguirà un’altra strada. Mentre Putin definiva l’accaduto «una pugnalata alle spalle da parte dei complici dei terroristi», Russia Oggi insisteva nell’informare che l’aereo era stato colpito da terra. Si può interpretare il tutto nei seguenti termini: Mosca ha perfettamente capito da dove è arrivato l’attacco e per quali motivi, ma non cadrà nella trappola di innescare un’escalation con Ankara. Molto più probabilmente concentrerà la rappresaglia sui turcomanni di Siria, trasmettendo in questo modo alla Turchia un messaggio molto chiaro.