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PayPal colpisce ancora, chiusi i conti di chi difende la libertà di parola

Anche l'editorialista Toby Young e la Free Speech Union finiscono nella "no-buy list" della big tech a causa del proprio "orientamento ideologico". Il loro peccato? Battersi contro cancel culture e dogmi woke

Caterina Giojelli
23/09/2022 - 6:23
Società
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Dan Schulman, ceo di PayPal
Dan Schulman, ceo di PayPal (foto Ansa)

Pochi giorni fa Toby Young, associate editor dello Spectator nonché fondatore della Free Speech Union, riceve una email da PayPal: la big tech che gestisce i trasferimenti online di denaro lo informa di avere avviato la chiusura del suo account. Motivo? Violazione della Acceptable Use Policy. Young si legge tutto il documento senza capire quale, tra i numerosi “peccati” giudicati inaccettabili abbia commesso. «Se hai denaro nel tuo account lo tratterremo per un massimo di 180 giorni». Per Young si tratta di una seccatura, ha un saldo di 600 sterline e usa l’account per ricevere i compensi delle collaborazioni occasionali con altre testate, ma non gli sembra la fine del mondo.

Le “no-buy list” di PayPal

In capo a pochi minuti la cosa si fa però seria: Paypal invia lo stesso messaggio al Daily Sceptic, sito di notizie gestito dall’editorialista da due anni e mezzo, e alla Free Speech Union, attivissima organizzazione da lui fondata nel 2020 per difendere la libertà di espressione e le persone travolte dalla cancel culture. Per capirci un quarto delle entrate dei sostenitori del Daily Sceptic arrivano con PayPal e un terzo dei 9.500 membri della Free Speech Union paga le quote tramite PayPal: «Come potevano tutti e tre gli account essere colpevoli di “violare” la stessa policy a pochi minuti l’uno dall’altro?».

Young scrive ai dirigenti della big tech britannici e americani per avere spiegazioni: non ottiene alcuna risposta. Ma la conosce. Come avevamo già raccontato su Tempi, è dalla vittoria di Trump che le big tech della Silicon Valley hanno iniziato un percorso illiberale volto «a limitare il free speech in modo che non potesse ripetersi un evento simile». Il virgolettato è di David Sacks, già fondatore e ormai ex membro della cosiddetta “Paypal mafia” e tra i primi finanziatori di Airbnb, Facebook, Slack, SpaceX, Twitter e Uber.

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Le Big Tech a caccia di odiatori

Dopo aver bloccato un sito di crowdfunding cristiano che raccoglieva fondi per portare gente a Washington ad “assaltare il Campidoglio”, PayPal ha annunciato che si sarebbe avvalso della collaborazione dell’Anti-Defamation League per scovare e chiudere gli account “estremisti”: benissimo, «non è assolutamente ragionevole assicurarsi che malintenzionati non finanzino l’odio attraverso queste piattaforme?», commentava Sacks, ebreo e grande estimatore del lavoro dell’Adf contro l’antisemitismo. Non fosse che, ha raccontato lo stesso Sacks a Common Sense, «l’Adl è cambiata. Come il Southern Poverty Law Center (anch’esso assoldato da PayPal per combattere l’odio, ndr), l’organizzazione ha ampliato il suo portfolio dall’antisemitismo (o razzismo nel caso dell’Splc) fino ad annoverare tutto ciò che ritiene “odio” o “estremismo” in generale».

La nuova Adl si è opposta alla nomina alla Corte Suprema di Brett Kavanaugh a causa della sua «ostilità alla libertà riproduttiva», all’ordine esecutivo emesso da Trump per vietare la formazione della teoria critica della razza, ha chiesto a Fox News di licenziare Tucker Carlson accusato (decisamente a sproposito) di rilanciare le peggiori teorie suprematiste e complottiste in America. L’elenco degli odiatori nel mirino dell’Adl e Splc è passato dal Ku Klux Klan ad annoverare qualunque organizzazione sposi «opinioni socialmente conservatrici», come il Family Research Council, o l’Alliance Defending Freedom, bollata come «gruppo d’odio anti Lgbt».

Dal ban al debanking

Complice la ridefinizione in salsa woke di termini quali “razzismo”, “segregazione” e “supremazia bianca” ad opera dei giornali liberal che hanno iniziato a usarli «per descrivere qualsiasi sostegno a qualsiasi politica che può portare a risultati disparati», da iperboli retoriche buone per dibattiti accademici le sovracategorizzazioni sono ora «diventate operative grazie alle big tech». Non c’è niente di illecito nell’esprime opinioni impopolari, tuttavia le “no-buy list” di PayPal si sono spinte ben oltre le pressioni di una amministrazione Biden per stanare e cacciare dalle piattaforme americane chiunque esprima dissenso, inasprendo la perdita del diritto di parola con l’interdizione dall’attività economica online.

Trump se ne è andato, il risentimento che ha sfruttato o per farsi eleggere – è la tesi di Sacks che ha accusato i suoi successori di gettare benzina sul “populismo” americano – viene invece rinfocolato da «questa empia alleanza di tecnologia e governo uniti per vietare la “disinformazione” e “l’odio”, che loro – e solo loro – possono definire». Il guru digital non si riferisce solo al ban di Trump dai principali social network o alla censura di notizie come quella riguardante i documenti contenuti nel computer di Hunter Biden (lo scoop del New York Post sui suoi affari in Ucraina è stato infatti «etichettato dalle principali piattaforme social come disinformazione e poi censurato»), ma al fenomeno illiberale del debanking, ovvero «l’impossibilità di accedere a un servizio finanziario (quindi accedere al proprio conto corrente o avere la possibilità di fare un’operazione o pagare delle persone) a causa del proprio orientamento ideologico».

Toby Young e Colin Wright, colpevoli di non essere woke

Vedi il caso Canada, segnato dal blocco dei conti correnti di chi sosteneva la protesta contro le restrizioni anticovid e che ha investito retroattivamente anche chi aveva finanziato i manifestanti prima che la disobbedienza civile diventasse illegale. E vedi il caso di Toby Young, che in seguito alla cancellazione del suo account ha scoperto che la chiusura dei conti PayPal sta colpendo numerose organizzazioni e individui con opinioni politiche dissidenti «in particolare sulle tre questioni su cui non è consentito essere scettici: la politica di blocco e altre restrizioni Covid, i vaccini mRNA , e l'”emergenza climatica”».

Il Daily Sceptic ha pubblicato spesso articoli su questi argomenti e la Free Speech Union pare essere caduta in un altro tabù: «Difendere le persone che hanno avuto problemi con i dipartimenti delle risorse umane per essersi rifiutate di dichiarare i loro pronomi di genere. PayPal, come la maggior parte delle società Big Tech, si è schierata con gli attivisti per i diritti trans su questo tema. Un giornalista di nome Colin Wright, un ex accademico con un dottorato in biologia e un critico schietto dell’idea che il sesso sia un costrutto sociale, ha perso il suo account a giugno».

Wright è stato cancellato da PayPal e da Etsy con l’accusa di aver messo in vendita merce che portava stampata la frase “defender of reality” o “reality’s last stand”. Dagli stessi – per capirci – che hanno messo al bando la vendita di articoli con lo slogan “I love JK Rowling” per incitamento all’odio, mentre quella di tazze e magliette con la scritta “Fuck Terfs”, “Shut the fuck up Terf” e altri, irriferibili, slogan contro le cosiddette “trans-exclusionary radical femminist” (dicesi “terf” una donna che pensa che donne si nasce e il sesso biologico è reale, una come J. K. Rowling, da cancellare), resta pienamente consentita.

Tags: censuraDonald Trumpfree speechliberta di parolawoke
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