
Dal Papa un invito operativo sulla lotta alla droga: «Il male si vince insieme»

«Le droghe e le dipendenze sono una prigione invisibile […] ma siamo tutti chiamati alla libertà. […] Guardiamoci attorno. E leggiamo nei volti l’uno dell’altro una parola che mai tradisce: insieme. Il male si vince insieme. La gioia si trova insieme. L’ingiustizia si combatte insieme».
Questo è il messaggio che papa Leone XIV ha lanciato lo scorso 26 giugno nel corso dell’udienza presso il Cortile di San Damaso organizzata dal Dipartimento nazionale contro le droghe e le altre dipendenze, con a capo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, a cui hanno partecipato le realtà del paese che operano nel settore della prevenzione, della cura e del reinserimento sociale nel campo delle dipendenze patologiche, tra cui Pars.
Un messaggio che ci ha incoraggiati, ma che ci ha anche lasciato molti spunti di riflessione per poter proseguire nella lotta quotidiana contro chi lucra sulla vita delle persone, perché la tossicodipendenza non è solo un problema sanitario ma una sfida culturale e umana. «Rialzarsi», ha detto il Papa, «è una questione di vita o di morte»! Ricordo sempre quando più di dieci anni fa accogliemmo una giovane ragazza che in Assemblea di Scuola di Comunità disse: «Ogni giorno in Comunità la scelta è tra la vita e la morte». Oggi quella giovane donna è madre di tre figli.
Contro la droga una lotta piena di ostacoli
Ma qual è oggi la reale situazione del sistema di prevenzione e cura? Il governo, come ricordato da Mantovano, «ha scelto di lavorare insieme: comunità, enti del Terzo Settore, società scientifiche, medici, operatori sanitari, servizi pubblici per le dipendenze, regioni, enti territoriali, governo nazionale». Un primo passo certo, ma non ancora sufficiente per arginare gli enormi problemi che sono sotto gli occhi di tutti e che la cronaca quotidiana ci sbatte in faccia ogni giorno: la tossicodipendenza tocca sia adulti che minori, aumentano le nuove dipendenze e con esse i problemi psichiatrici, la percentuale di delinquenzialità tocca il 70 per cento degli utenti. A tutto ciò si aggiunge la carenza di operatori socio-sanitari in tutto il territorio nazionale.
C’è poi la questione burocratica, che tocca prima di tutto le comunità di recupero e che rischia di creare nuove forme di “riduzione del danno” che non guardano alla dignità dei singoli ma cronicizzano la dipendenza, moltiplicando lo stupido pensiero del “posso fare ciò che voglio”, aumentando il rischio di episodi di violenza. Don Antonio Mazzi, in una recente intervista al Corriere della Sera, ha spiegato bene cosa vuol dire combattere ogni giorno sia contro la droga che contro la burocrazia:
«I miei posti in comunità rimangono liberi perché qua si inventano ogni giorno una nuova regola, i governanti, di volta in volta, riescono nell’impresa di appesantire una burocrazia già pesantissima di suo, e allora creano regole che valgono più delle persone, ma che restringono le porte delle comunità quando invece noi dobbiamo allargarle, abbiamo il dovere, l’obbligo di allargarle, c’è la necessità, stante le richieste, di allargarle».
Accessi liberi alle comunità e un dipartimento unico
Queste barriere normative e politiche rischiano di togliere alle comunità il loro senso profondo: la creazione di un terreno quotidiano dove imparare a scindere bene e male, di un presidio in cui accogliere persone che potrebbero cambiar vita grazie ad un incontro vivo e ad un’esperienza che, seppure limitata, ha nei tanti anni dimostrato amore verso il prossimo e dedizione totale.
Forse è venuto il momento di pensare a una vera riforma del sistema, che segua le indicazioni di unità che anche il Santo Padre ha voluto dare. Occorre immaginare nuove modalità con le quali i servizi pubblici gestiscano gli ingressi verso le strutture e le realtà del Terzo Settore. Da tempo chiediamo che gli accessi alle comunità siano liberi su tutto il territorio nazionale. È tempo, inoltre, che si crei un dipartimento unico che contenga al suo interno psichiatria, neuropsichiatria infantile, Sert e servizi privati accreditati. Le discipline che compongono il percorso della prevenzione e della cura (questione educativa, psicologia e aspetto medico farmacologico) devono poter dialogare costantemente tra loro. Se non lo fanno rischiano di divenire alleate con il male che la vita drogastica porta con sé.
Superare le vecchie logiche lobbistiche
Confermando che, anche da parte delle realtà comunitarie, vi è la piena disponibilità a correggersi, diventa ormai imprescindibile la questione di una riforma strutturale del sistema che permetta di risolvere il problema dell’assenza di personale qualificato, di rispondere alle nuove esigenze che il mondo ci pone di fronte non più reagendo in maniera isterica ma programmando e rilanciando nuove idee e proposte per il futuro.
Alla base c’è un’idea semplice: guardare le persone accolte non come a «spettatori» ma come a «protagonisti». È proprio così che saremo in grado di rispondere all’appello del Santo Padre a «moltiplicare i luoghi di guarigione, di incontro e di educazione» e a combattere INSIEME questa battaglia.
Quello del Papa non è solo un giudizio di ordine morale, ma anche laico ed operativo, che vale per il Terzo Settore ma anche per i servizi pubblici, con l’invito a superare vecchi ragionamento lobbistici per dare spazio a nuovi modelli di intervento in cui alla base ci sia l’umiltà di misurarsi con la realtà che ci circonda.
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José Berdini, autore di questo articolo, è responsabile delle comunità terapeutiche per tossicodipendenti gestite dalla Cooperativa sociale Pars
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