Le tragedie umane e i disastri nei centri abitati nelle terre liguri e toscane di Monterosso e Aulla, sono lì, davanti a noi come monito, l’ennesimo, per intervenire sulla criticità e fragilità di buona parte del nostro territorio. Anche se ci sono sospetti su un apertura sconsiderata della diga sopra Aulla, l’incuria del territorio è al centro delle analisi per spiegare ciò che è accaduto nelle Cinque Terre.
«E’ certo che il volume delle precipitazioni è stato notevolissimo, mettendo in difficoltà un territorio fragile, per colpa in larga parte nostra, e che non riesce ad assorbirne le conseguenze». Inizia così la sua analisi Paolo Togni, direttore della Scuola Superiore di Territorio, Ambiente e Management all’Università di Perugia, in collegamento con Radio Tempi, «naturalmente il fenomeno delle grandi piogge è incontrollabile, ma sicuramente mitigabile, in quanto possibile contenerne gli effetti, su questo fronte si è fatto molto poco».
Per quanto riguarda Monterosso e i centri abitati circostanti, registriamo una grave dichiarazione del capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli, che parla espressamente di «un mancato rispetto del territorio, il conseguente abbandono e la costruzione di case in aree a rischio»
Il prefetto Gabrielli ha perfettamente ragione. Purtroppo le autorizzazioni a costruire in aree golenali sono quasi la regola piuttosto che l’eccezione, in questo paese. Vorrei esplicitare alcuni problemi, ancora non risolti: non sono sufficientemente accurate le previsioni meteorologiche, manca la cura dei boschi, manca la manutenzione dei corsi d’acqua. E’ vero che è aumentata la cementificazione degli alvei, e questo è un problema, ma è più grave che normative sostanzialmente irresponsabili impediscano di fare la manutenzione dei corsi d’acqua, creando dighe naturali, che una volta distrutte dagli eventi atmosferici diventano pericolosissime per i paesi a valle. Ci sono inoltre problemi dovuti alla mancata prevenzione e alla messa in sicurezza del territorio. Oltre all’inqualificabile perdita di decine di vite umane, i danni alle cose hanno un valore di circa quattro miliardi di euro all’anno. Per mettere in sicurezza l’intero territorio nazionale occorrerebbe una spesa tra i 40 e 50 miliardi di euro che, ragionevolmente, dovrebbero essere spesi in lasso di tempo di almeno 10 anni.
C’è quindi una precisa responsabilità dell’amministrazione politica?
I governi che in questi anni si sono susseguiti, vuoi per ristrettezze economiche, vuoi per una non sufficiente cultura della prevenzione, hanno chiuso gli occhi e hanno tirato avanti.
Oltre al problema delle risorse, accumulatisi negli anni, forse esiste anche un problema culturale: per esempio il ruolo dei Verdi, che si sono sempre opposti a iniziative spontanee di pulizia del territorio
E’ vero anche questo, però siamo tra Scilla e Cariddi: da una parte c’è questo problema, dall’altra c’era una preoccupazione legittima dei Verdi per ovviare al decadimento dei letti dei corsi d’acqua per eccessivi asporti di ghiaia che servivano poi per costruire abitazioni. Con il risultato che per impedire la speculazione si è raggiunto l’eccesso opposto, con l’incuria generalizzata dei corsi d’acqua.
Come potremo prevenire il prossimo disastro? Innalzando i valori di pericolosità in un piano di prevenzione aggiornato?
E’ un argomento delicato. Quando avviene un disastro di queste dimensioni viene considerata la situazione di un territorio ampio, aldilà del centro abitato colpito. Dovrebbe esistere un’autorità di distretto idrografico che si occupi della programmazione degli interventi. Però, fatta la programmazione, sorgono parallelamente due questioni: le risorse economiche, che anche in questo momento difficile sarebbe doveroso trovare. Tempo fa proposi un “Prestito volontario nazionale” che servisse per finanziare tali iniziative, ma al ministero fecero orecchie da mercante. Il secondo punto è non lasciare tutta la responsabilità agli enti locali, spesso inadeguati a gestire le risorse assegnate, ma pensare seriamente a un soggetto nazionale per la realizzazione degli interventi.
Possibili soluzioni al problema?
Anche noi dovremmo sperimentare ciò che accade ormai da circa vent’anni in Israele: l’inseminazione delle nuvole fuori dalla raggio dei centri abitati. Molti si meraviglieranno, ma gli israeliani usano questo sistema per implementare le risorse idriche, noi potremmo usarle per provocare piogge in mare aperto, non aspettando che il violento e prolungato fenomeno colpisca la terraferma.