Cosa insegna la vicenda Monterosso: «Il lavoro non è solo il posto di lavoro»

Di Emanuele Boffi
23 Gennaio 2019
«Ciò che sta accadendo a Bergamo ci mostra la vera natura delle cooperative sociali». Intervista a Giuseppe Guerini, presidente di Confcooperative

C’è una vicenda che sta accadendo in questi giorni a Bergamo che, secondo Giuseppe Guerini, ha da dirci qualcosa che va al di là di «quel che si vede a prima vista. Questa è una vicenda emblematica che ci fa capire la vera natura delle cooperative sociali e che il “lavoro” non è solo il “posto di lavoro”, ma l’appartenenza a una comunità».
Guerini, presidente della locale Confcooperative, conosce bene la realtà della Monterosso e sa quanto bene ha operato in questi anni al servizio del don Orione. Ma ora, dopo oltre trent’anni, la cooperativa guidata dall’egiziano Esam Abd El Monim dovrà passare la mano in favore della Quadrifoglio di Pinerolo.

Guerini, perché il don Orione ha deciso questo cambio?
Sinceramente, non l’ho compreso neppure io. Non sono state comunicate altre motivazioni se non quelle di “voler cambiare” dopo trent’anni. È tutto legittimo, ma resta molto da chiarire. Soprattutto, io credo che non si possa non tenere in considerazione quello che tanti lavoratori della Monterosso hanno fatto in questi giorni.

Molti di loro, da giorni, protestano davanti all’entrata del don Orione.
Sì, e la cosa sorprendente è che scendono in strada, sebbene la Quadrifoglio abbia già detto che li riassumerà tutti.

Loro dicono di voler lavorare con Esam, che per loro è come «un fratello maggiore».
Guardi, conosco molte cooperative e molte realtà di questo tipo, ma un attaccamento del genere l’ho visto poche volte. Questo non è un fatto secondario, anzi ci mostra la vera natura di una cooperativa sociale che è un soggetto che genera comunità e del bene per il territorio. Questa sintonia tra Esam e i suoi lavoratori non deve essere data per scontata. Lì c’è dentro il valore del lavoro che è più grande dei “posti di lavoro”.

Cosa intende?
Spesso si ragiona solo secondo una logica commerciale o, mi passi il termine, “sindacale”. L’importanza è preservare il posto, il resto non conta. La vicenda della Monterosso ci racconta un’altra storia ed è la storia di persone che sono legate tra di loro da uno spirito di appartenenza e di comunità che “passa” attraverso il mestiere che fanno insieme.

In fondo, avrebbero potuto accontentarsi di mantenere il posto, perché protestare, perché schierarsi così apertamente dalla parte di Esam?
Sa qual è il termine che ricorre più spesso nei loro discorsi per definire i rapporti tra di loro?

Me lo dica.
“Famiglia”, parola significativa. Dicono: “Noi siamo come una famiglia”. E tenga conto che sono persone di estrazione e provenienza diversissima, eppure Esam ha saputo metterle insieme, dare loro una casa comune, farli sentire partecipi e protagonisti della propria vita. Hanno la percezione di non essere un numero e di non essere trattati solo come dei “fattori produttivi”.

Ieri è uscito sull’Eco di Bergamo un articolo a sua firma in cui lei scriveva che «troppe vicende ci hanno ormai dimostrato che sono moltissimi i casi per i quali i cambi di gestione sono funzionali alla riduzione del costo del lavoro e dei diritti dei lavoratori».
Sì, ho scritto che troppo spesso i lavoratori delle cooperative sembrano solo forza lavoro che «appartiene all’appalto». Accade soprattutto nel trasporto e nella logistica. I lavoratori rimangono, ma cambia il gestore. Spesso questo avviene solo per ridurre il costo del lavoro, magari per non riconoscere qualche scatto d’anzianità.

Come finirà la vicenda della Monterosso?
Mi pare che la posizione del don Orione sia ormai chiara. Vorrei dire a quelle persone che oggi manifestano in strada che la loro azione non è stata inutile. Ha costretto tutti a considerare questo cambio anche sotto il profilo dei rapporti umani, dei rapporti tra le persone. È una battaglia che porterà i suoi frutti e io spero che ci costringa a rivedere alcuni punti della normativa sul lavoro.

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