Nove storie di ebrei in terra marchigiana. Un manuale contro il nemico invisibile
Articolo tratto dal numero di dicembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Scrive il giusto Vittorio Sgarbi nella prefazione: siamo di fronte a un «libro dotto, intriso di conoscenza e non solo di cultura ebraica, Il viaggio e l’ardimento di Vittorio Robiati Bendaud è un viatico per itinerari prima filosofici che geografici, in una Italia su misura, da Soncino a Senigallia». Un libro “strano”, felicemente inclassificabile, in cui traspare di pagina in pagina l’intento dell’autore che, come scrive sempre Sgarbi, è nobile e alto: questo è «un manuale per difendersi. Da che cosa? Dall’assurdo: dalla rabbia degli uomini, dal nemico invisibile più che dal nemico visibile». L’assurdo è dimenticare, far cadere nell’oblio: ricordare serve a preservare, a salvare per salvarci. Esiste compito più grande?
Bendaud sceglie così di riconsegnare alla memoria dei contemporanei le storie (quasi) sconosciute di stampatori, studiosi, commercianti che nel loro peregrinare hanno incrociato la terra marchigiana. Tra le altre, vi sono le vicende dell’attempato rabbino Immanuel da Roma, detto Manoello Giudeo, contemporaneo di Dante e suo estimatore, quella di Estellina Conat, prima stampatrice ebrea, del dotto tipografo Ghershòn Soncino, di Amato Lusitano, studioso di botanica, che ci ricorda le persecuzioni subìte dai «marrani» per mano cristiana, c’è rav Mosheh Basola e c’è rav Giuseppe Laras, così caro all’autore di cui fu guida e maestro. Sono tutti personaggi storici, riconsegnati a noi tramite l’artificio di un’immaginazione che non scade mai nell’evasione estetica, ma guida il lettore a immedesimarsi in quelle figure, nelle loro vicende, nei loro luoghi.
Gioia e turbamento
Qui sta, per chi scrive, il valore del volume, riuscire a condurci per mano dentro un tempo e uno spazio, le amate Marche, senza però mai perdersi nella divagazione fantasiosa, ma sempre richiamandoci a sentire e provare quegli stessi sentimenti che i protagonisti di ogni capitolo hanno dovuto provare e sentire: ora la gioia, ora l’angoscia, ora il tripudio, ora il turbamento. E poiché nulla in vita è puro e tutto vi si trova spurio, il lettore s’imbatterà anche in pagine dure – come quelle delle persecuzioni cristiane –, ma anche in pagine in cui il rapporto fra cristiani ed ebrei è stato “salvato” da alcuni giusti (splendide le storie di Teresa e delle campane della cattedrale di Ancona).
Ecco, dunque, trovato il fil rouge dell’opera che ci preserva dall’assurdo: chi salva una storia, salva una vita. Innanzitutto la sua.
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