
«Non esiste più un posto sicuro in tutto il Libano»

«Qui non ci sono miliziani di Hezbollah. Aïtou è un villaggio prevalentemente cristiano». È soprattutto per questo che non si spiega le ragioni di un simile «massacro» padre Bernard Ibrahim, parroco maronita del piccolo villaggio dell’estremo nord del Libano, un’area di montagna a maggioranza cristiana a circa 100 km dalla capitale Beirut finora risparmiata dai raid dell’aviazione israeliana. «Israele ci ha colpiti perché vuole dividere tutti i libanesi», dichiara il sacerdote in un’intervista a Tempi.
Nel raid morti 23 sfollati sciiti
Lunedì, in un bombardamento, Israele ha bersagliato i dintorni di una casa dov’erano ospitate da appena due settimane 28 persone scappate dal sud del paese. Gli sciiti provenivano da Aïtaroun, un villaggio situato al confine con Israele, in una delle aree più colpite dalla guerra tra lo Stato ebraico e Hezbollah.
Nel raid ad Aïtou sono morte 23 persone, tra cui 12 donne e due bambini. Non è ancora chiaro perché Israele abbia colpito una zona del Libano così lontana dal sud, dove i miliziani di Hezbollah sono concentrati, ma sembra che il raid avesse come obiettivo un’automobile che trasportava soldi e aiuti per gli sfollati. Secondo alcune fonti, l’auto apparteneva a membri di Hezbollah.
«Non ci sono posti sicuri in Libano»
Gli abitanti del villaggio sono rimasti scioccati. «È dall’inizio della guerra che abbiamo paura», continua il parroco maronita della chiesa dei Santi Sergio e Bacco. «Ora però sappiamo che non esiste più un posto sicuro in tutto il Libano. Quello che sta accadendo è ingiustificabile».
Nel villaggio di Aïtou i cristiani accolgono attualmente gli sciiti sfollati dalla guerra in una decina di case. «Ora molti sono spaventati», prosegue padre Ibrahim. «Alcuni hanno chiesto agli sfollati di spostarsi, ma non so se alla fine se ne andranno. Spero di no».
Il parroco maronita è convinto che «questo attacco non cambierà niente. Noi cristiani dobbiamo dimostrare solidarietà a tutti libanesi. Non cederemo all’odio e alla manipolazione, che non portano a nulla».
«Qui non c’è Hezbollah»
Potrebbe essere proprio questo, secondo il sacerdote, l’obiettivo di un bombardamento così inusuale: «Non penso che tra gli sfollati ci fossero dei comandanti di Hezbollah», prosegue. «Siamo troppo lontani dal confine, dove si combatte. Nel nostro villaggio non ci sono terrorismo e fanatismo. Ecco perché penso che questo sia un bombardamento politico e non contro Hezbollah».
Padre Ibrahim si spiega meglio: «L’unico obiettivo di questo massacro, perché non ci sono altre parole per descriverlo, è dividere i libanesi e spingere i cristiani a non accogliere più gli sciiti. Ma non tutti gli sciiti sono miliziani, non tutti fanno parte di Hezbollah. Io mi batterò perché la solidarietà dei cristiani non venga meno».
«Prego perché il Libano resti unito»
Il rischio è che attacchi come questo facciano scivolare il Libano in una nuova guerra civile, come quella che ha sconvolto il paese dal 1975 al 1990, con la popolazione divisa lungo linee confessionali. «Noi libanesi abbiamo già sofferto tanto per questo», continua il parroco maronita di Aïtou. «Il Libano ha sofferto tante guerre e sappiamo che il progetto di fratturare il paese in base alla religione non è ancora finito. Ma non accadrà neanche questa volta».
Il conflitto tra Israele e Hezbollah ha già causato, secondo il ministro della Salute del Libano, 2.309 vittime e 10.782 feriti. Il paese è sull’orlo dell’implosione, con 1,2 milioni di sfollati, cioè il 20 per cento della popolazione circa.
Padre Ibrahim è preoccupato, ma non disperato: «Noi cristiani preghiamo perché tutti i responsabili di questa guerra capiscano che con le armi non si può ottenere la pace. Spero anche che tutti i libanesi restino uniti».
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