
Il Libano è sull’orlo della guerra civile

Le intenzioni strategiche di Israele nei riguardi del Libano non potrebbero essere più chiare a due settimane dall’inizio dell’invasione di terra del sud del paese da parte delle truppe di Tel Aviv e quattro giorni dopo il loro primo attacco a una base dell’Unifil, seguito da altri: il governo Netanyahu ha deciso di occupare i trenta chilometri di territorio libanese che vanno dalla “blue line”, confine provvisorio fra i due paesi, al fiume Litani.
Si tornerebbe a una situazione simile (ma peggiorata per la parte libanese, ovvero per Hezbollah) a quella precedente il maggio-giugno 2000, lasso di tempo in cui le forze israeliane e la milizia libanese che le fiancheggiava si ritirarono dal paese ottemperando alla risoluzione numero 425 del 1978 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Le forze israeliane stazionavano in Libano dal 1982, quando erano entrate nel paese dei cedri per smantellare le basi dell’Olp presenti in tutto il paese, Beirut compresa (dalla quale Yasser Arafat fu lasciato partire in esilio in Tunisia), ma all’inizio del 1985 si erano concentrate nel sud del paese, in una “fascia di sicurezza” lungo il confine con Israele molto più ristretta di quella che probabilmente verrà creata in questa occasione.
L’obiettivo strategico di Israele
Le operazioni militari contro le strutture di Hezbollah, le richieste di evacuazione di villaggi e di una capitale di provincia che stanno addirittura a nord del fiume Litani, il numero dei fanti israeliani su territorio libanese ormai prossimo alle 20 mila unità e soprattutto le azioni aggressive contro basi Unifil nei pressi della frontiera, precedute e accompagnate da richieste di un completo ritiro di Unifil, comprese cioè le basi francesi, spagnole, malesi e indonesiane nei pressi del fiume Litani, lasciano immaginare che stavolta Israele voglia procurarsi un territorio cuscinetto ben più ampio che in passato.
La motivazione ufficiale dell’iniziativa è di aumentare il grado di sicurezza degli abitanti della Galilea settentrionale, esposti ai lanci di razzi di Hezbollah (9 mila fra il 7 ottobre dell’anno scorso e il 1° ottobre di quest’anno) che hanno costretto 60 mila di loro ad abbandonare le proprie case, ma l’obiettivo strategico è in realtà molto più ambizioso: infliggere a Hezbollah una sconfitta militare tale da costringerlo al ritiro da tutto il Libano meridionale, e tale perciò da provocare conseguenze politiche a livello degli equilibri di potere interni libanesi radicalmente sfavorevoli al partito sciita.
Questa trama trapelava chiaramente dall’invito di Netanyahu al popolo libanese di martedì scorso: «Avete la possibilità di salvare il Libano prima che cada nell’abisso di una lunga guerra che porterà alle distruzioni e alle sofferenze che vediamo a Gaza», ha dichiarato alla tivù il premier israeliano. «Dico a te, popolo del Libano: libera il tuo paese da Hezbollah così che la guerra possa finire».

La situazione del Libano
Certamente un ridimensionamento politico-militare di Hezbollah porterebbe ad un esaurimento della guerra fra la formazione sciita e lo stato ebraico, ma quello che la dichiarazione non esplicita (e di cui Netanyahu è sicuramente consapevole) è che il depotenziamento di Hezbollah sulla scena libanese a questo punto può avvenire solo sostituendo una guerra con un’altra: alle operazioni militari israeliane succederebbe (o si sovrapporrebbe) una nuova guerra civile fra le fazioni libanesi.
Hezbollah è, per conto di Teheran, il dominus di quello stato disfunzionale che da anni è il Libano e il principale responsabile della sua paralisi istituzionale: da due anni il paese non ha un capo dello Stato, è retto da un governo provvisorio in carica dal settembre 2021 perché dopo le elezioni del maggio 2022 non è stato possibile formare un nuovo governo sulla base dei risultati elettorali, e l’inchiesta giudiziaria sull’esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020 non procede a causa dell’ostruzionismo di Hezbollah, che avrebbe grosse responsabilità nell’accaduto di cui rendere conto.
Cosa farà l’Iran
Da settimane il leader del partito di opposizione cristiano nel parlamento libanese, il maronita Samir Geagea capo storico delle Forze Libanesi, denuncia che Hezbollah sta facendo gli interessi dell’Iran anziché quelli del popolo libanese e invoca un soprassalto nazionale che porti alla restaurazione delle istituzioni. Non più tardi del 12 ottobre ha riunito i deputati dell’opposizione (cristiani, sunniti e drusi) e qualche esponente sciita non affiliato a Hezbollah o ad Amal per formulare un appello alla «adozione di una posizione nazionale unitaria che sfocerebbe nell’elezione di un presidente della Repubblica che applicherebbe la costituzione e si impegnerebbe ad adempiere le risoluzioni Onu 1559, 1680 e 1701, in modo che il potere militare sia unicamente nelle mani dell’esercito nazionale libanese».
Anche questa dichiarazione prelude allo scoppio di una nuova guerra civile libanese, perché l’Iran non permetterà mai il disarmo pacifico di Hezbollah nelle mani dell’esercito nazionale, e appoggerà tutti coloro all’interno del partito che non intendono rinunciare alla linea della “resistenza”.
A Israele ne deriverebbe un doppio vantaggio: Hezbollah impegnato in una nuova guerra civile libanese dovrebbe sospendere le sue azioni di guerra contro lo stato ebraico per concentrarsi sul fronte interno, oppure si troverebbe a lottare su due fronti coi connessi svantaggi, e lo stesso dovrebbe fare l’Iran: impegnarsi per la sopravvivenza politico-militare di Hezbollah nel contesto libanese piuttosto che manovrarlo per assestare colpi a Israele.

Scenario siriano
Il fiancheggiamento si presenterebbe molto più difficile che in passato, quando Iran ed Hezbollah potevano contare sull’influenza della Siria negli affari libanesi, culminata nella presenza di 30 mila soldati siriani in Libano fino al 2005, quando furono ritirati e i compiti che loro avevano svolto fino a quel momento furono appaltati a Hezbollah. Oggi la Siria e le sue forze armate sono l’ombra di ciò che furono a causa della perdurante guerra civile iniziata nel 2011 e che, benché di fatto sospesa, ha comportato la perdita del controllo di un terzo del territorio nazionale da parte delle autorità centrali. In una nuova guerra fra libanesi, la Siria potrebbe fare poco di più che fungere da corridoio di transito per armi e aiuti iraniani destinati a Hezbollah.
Un altro aspetto di un rinnovato conflitto intralibanese sarebbe la ripresa delle tensioni e delle contrapposizioni fra paesi sunniti e paesi sciiti che si registrarono durante gran parte della guerra civile siriana, quando i paesi del Golfo appoggiavano le formazioni antigovernative sunnite, comprese quelle jihadiste specialiste in atti terroristici, mentre Iran ed Hezbollah appoggiavano i governativi di Bashir el Assad. In Libano si ripeterebbe lo scenario di intromissioni straniere contrapposte già visto in Siria. Anche questo risultato non è affatto disprezzabile agli occhi degli strateghi israeliani. I campanelli di allarme a Teheran suonano dunque non solo per le incognite dell’annunciata ma finora ritardata rappresaglia israeliana per l’attacco del 1° ottobre, ma per la brutta piega che stanno prendendo le prospettive regionali.
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