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Natale a Pulka, tra i cristiani perseguitati da Boko Haram

Ogni notte Naomi rivive l'incubo di essere rapita, Charles quello di nascondersi nella boscaglia. Per loro e per tutti i cattolici nigeriani in fuga dagli jihadisti, padre Christopher rischia ogni giorno la vita

Caterina Giojelli
20/12/2021 - 6:27
Esteri
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Quanti giorni durò il cammino dei cristiani verso il Camerun? Naomi non li aveva contati, di quell’estenuante fuga dai jihadisti nigeriani ricorda solo una fatica disumana e la paura: «Avevamo i piedi gonfi e pieni di vesciche, era davvero troppo. Mia sorella era stata catturata da Boko Haram, ma aveva un bambino in braccio ed è stata l’unica ragione per cui l’hanno lasciata andare. Non era figlio suo, ce l’aveva tra le braccia solo in quel momento, ma le ha salvato la vita. Molte altre persone, come mia madre, sono state uccise».

Naomi vive e rivive sempre lo stesso incubo, ogni singola notte, appena cala il buio sulle tende degli oltre 30mila sfollati nigeriani a Pulka. Lo stesso incubo vissuto da migliaia di rifugiate come lei: donne rapite, costrette a sposare un jihadista ed ad assistere all’uccisione di un proprio familiare. Anche Charles, un papà di 33 anni, è intrappolato nei ricordi dei giorni insanguinati da Boko Haram: «I terroristi attaccavano di notte, uscivamo dalla città non appena cominciava a calare il buio e ci nascondevamo nella boscaglia. Spesso sogno ancora di nascondermi».

In fuga da Boko Haram

Naomi e Charles, come gli altri cristiani riparati nel campo Alpha a Pulka, uno dei 20 campi profughi sparsi nello stato di Borno, vicino al confine col Camerun, sono la ragione per cui padre Christopher rischia la vita ogni giorno. I terroristi «hanno provato a spaventarli e minacciarli, cercando di costringerli a convertirsi. Poi hanno cominciato a diventare più violenti. I sacerdoti hanno dovuto nascondersi sulle montagne, ma gli insorti di Boko Haram hanno continuato a molestare e perseguitare la gente cristiana», racconta ad Aid to the Church in Need (Acn) il sacerdote cattolico della diocesi di Maiduguri, capitale di Borno che dista 120 miglia da Pulka. «Dicevano ai cristiani che se si fossero convertiti nessuno avrebbe fatto loro del male. La situazione è diventata così difficile che tra il 2015 e il 2016 molte persone hanno iniziato a fare i bagagli e lasciare il Paese, attraversando la frontiera e cercando rifugio in Camerun».

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Scappavano da città, villaggi, il campo profughi di Minawao era arrivato a contare più di sessantamila rifugiati nigeriani. Finché, riconquistate le zone al confine, l’esercito li convinse a far ritorno in patria. Ma poco è cambiato da allora, «eravamo rifugiati in Camerun – ha raccontato Charles -, siamo tornati qui due anni fa. E siamo tornati a vivere nel pericolo». I cristiani non possono allontanarsi dal campo, «ci sono continui attacchi e alcune persone vengono uccise. Non è nemmeno facile per me raggiungere i fedeli», conferma padre Christopher, costretto a vivere in una casa abbandonata da quando Boko Haram ha distrutto la chiesa e la canonica di Pulka.

Natale tra i profughi di Pulka

«Andare e venire è sempre un rischio, ma per me è importante fare tutto il possibile per aiutare queste persone», persone che chiedono un aiuto a restare saldi nella virtù più difficile e cara ai cristiani nigeriani: la speranza. «La vita in Camerun era così dura che pensavamo di averla persa per sempre. Padre Christopher ci ha ridato coraggio. È un vero padre per tutti noi e sta cercando di colmare con la sua presenza il vuoto lasciato dai nostri familiari assassinati. Si prende cura di noi come se fossimo la sua famiglia. Capiamo che è Dio ad aiutarci attraverso di lui, attraverso chi non ci ha dimenticato».

Anche nel momento più doloroso. E a Pulka l’ora più dolorosa per i cattolici è quella del Natale perché «la sofferenza è parte di noi cristiani», dice Charles, un padre «benedetto con quattro figli» e che senza fede, assicura, non avrebbe potuto sopportare la mancanza di senso di tutto il dolore, suo e della sua gente, né celebrare la certezza della salvezza del Bambino che nasce. Natale una volta era gioia, canto, famiglie che si riunivano, «poi sono iniziati gli attacchi, non potevamo nemmeno mettere piede fuori di casa dopo il tramonto. Finché divenne troppo pericoloso celebrarlo» ricorda Naomi. Che oggi non ha più una madre e una casa ma è tornata ad avere speranza, «ci servono cibo, tende, vestiti, medicine, soldi per tornare all’università». Ci sono circa 14 mila cattolici a Pulka, Acn sta lavorando a progetti per realizzare un pozzo, ricostruire la parrocchia, aiutare i catechisti dei campi profughi.

La più grande tomba dei cristiani

La sicurezza nello Stato, lo abbiamo scritto tante volte, continua ad essere pressoché inesistente. La Nigeria è il paese africano, dove ogni anno muore il maggior numero di cristiani al mondo, vittime di sequestri, devastazioni, massacri ad opera di Boko Haram ma anche degli estremi fulani e banditi collusi con i jihadisti. «Siamo stati torturati e minacciati durante la prigionia. Ero così scioccato da non riuscire neanche a pregare», raccontava solo pochi giorni fa ad Acn padre Bako Francis Awesuh, il sacerdote di Gadanaji rapito, torturato e scampato alla morte per un soffio (e un ingente riscatto pagato da famiglia e parrocchiani). La violenza è in aumento in tutto paese e  incomprensibile resta la decisione del governo degli Stati Uniti di espungere la Nigeria dalla lista nera dei paesi che violano di più la libertà religiosa.

Foto Ansa

Tags: Boko HaramCristiani PerseguitatiNigeriapastori fulani
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