Nessuno in Israele si sente più al sicuro. La guerra totale si avvicina
Il missile che ha ucciso dodici ragazzi drusi e ne ha feriti almeno venti in un campo di calcio a Majdal Shams, nel Golan, rischia di essere la ennesima goccia che fa traboccare il vaso. Ed è un vaso pieno di nitroglicerina. Secondo gli israeliani non ci sono dubbi: è un razzo ad alto potenziale, un Falaq-1 di fabbricazione iraniana, che porta 50 chili di esplosivo, lanciato da una base di Hezbollah nel Sud del Libano. E la rappresaglia non si è fatta attendere. I raid israeliani hanno colpito postazioni della milizia filoiraniana in 12 villaggi del Libano.
Benjamin Netanyahu rientra in anticipo dal suo viaggio negli Stati Uniti per presiedere il gabinetto di guerra. Israele si prepara a nuovi scenari di guerra. Che riguardano non solo Gaza ma soprattutto il fronte Nord. Il confine con il Libano è un incubo per lo Stato ebraico. Dall’Iran arriva un avvertimento: «Qualsiasi azione sconsiderata», dice il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Nasser Kanaani, «porterà ad instabilità, insicurezza e guerra in tutta la regione». E per regione l’Iran intende tutto il fronte allargato, che va dal Libano alla Siria, all’Iraq, allo Yemen, passando da Gaza e Cisgiordania. Ovunque l’Iran ha le sue milizie alleate, sempre più armate.
Il vertice a Roma per una tregua a Gaza
Una tregua a Gaza potrebbe raffreddare la situazione, ma finora nulla si è mosso, nulla che faccia sperare il meglio, o il meno peggio. A Roma riunione super blindata del capo del Mossad David Barnea, del capo della Cia, William Burns, del premier del Qatar, Mohammed bin Abdelrahman al Thani, e il capo del Mukhabarat, l’intelligence egiziana, Abbas Kamel. Il fatto stesso che si sappiano i nomi dei partecipanti alla riunione è significativo della importanza che i paesi che stanno trattando per conto di Hamas (e dell’Iran) attribuiscono al meeting.
All’esame la controproposta israeliana: la condizione perché proseguano i colloqui per la liberazione degli ostaggi è un ferreo controllo (non è esplicitato da parte di chi) sugli spostamenti dei leader di Hamas nella Striscia di Gaza e il loro ritorno al Nord. I familiari degli ostaggi accusano il premier israeliano Netanyahu di non voler in realtà raggiungere un accordo per il cessate il fuoco, mentre specularmente Hamas non sembra intenzionata a recedere dalle sue richieste, in primis il ritiro delle forze armate israeliane.
«Israele risponderà al massacro»
Posizioni ancora molto lontane, sembra, nonostante l’ottimismo degli americani che alla vigilia del viaggio di Netanyahu avevano annunciato che si era agli “ultimi metri” del percorso verso la tregua, ma gli ultimi metri sono i più difficili. E i passi della road map sono scanditi da raid, bombardamenti e lanci di missili. L’ultimo attacco nel Nord di Israele, che ha colpito un villaggio druso, suona come un chiaro messaggio, benché Hezbollah neghi ogni responsabilità. E il messaggio è: abbiamo colpito i drusi, che si ostinano a restare nei territori occupati come il Golan, e ad essere alleati di Israele; finora abbiamo colpito obiettivi mirati, militari, o zone deserte, ora il fronte cambia.
Hezbollah – Iran’s frontline outpost in Lebanon – carried out a massacre in Majdal Shams yesterday: the murder of innocent children and teenagers while they were playing football.
Hezbollah, the long arm of Iran, directed its fire at a civilian population. Hezbollah does not… pic.twitter.com/wlfYAufUpH
— Oren Marmorstein (@OrenMarmorstein) July 28, 2024
Il portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Oren Marmorstein avverte: «Israele eserciterà il suo diritto alla autodifesa e risponderà al massacro», e l’obiettivo è dichiarato: l’Iran. «Il mondo deve attribuire piena responsabilità all’Iran per le azioni di Hezbollah, Hamas e Houthi», dice il funzionario. «Questo è l’ultimo minuto per una soluzione diplomatica, l’unico modo che il mondo ha per evitare una guerra che sarebbe catastrofica è costringere Hezbollah a ritirarsi a nord del fiume Litani».
“Catastrofica” non solo per il Libano, che è sull’orlo di una guerra interna: i cristiani delle Forze libanesi accusano Hezbollah di mettere a repentaglio l’intero paese. Non sono certo armati come la milizia sciita, ma nelle loro roccaforti sul Monte Libano e a Beirut Est dispongono di armi leggere. E si dicono pronti all’azione se il “Partito di Dio” non si ritirerà lasciando le postazioni all’esercito regolare.
Le mosse di Cina, Russia, paesi arabi, Stati Uniti
Altri attori si dispiegano nello scenario: la Cina ha compattato intorno a sé il fronte palestinese, ospitando l’incontro tra l’Olp e le fazioni e Hamas, che si sono accordate per un futuro governo a Gaza guidato dall’Olp sotto l’egida di Pechino. Un fatto senza precedenti. La Russia avverte: impossibile distruggere completamente Hamas, trovate un accordo. I paesi arabi cercano una difficile mediazione per mettere fuori gioco l’Iran sciita avvertito come il maggior pericolo per le petropotenze del Golfo. Anche Donald Trump dichiara: con me presidente l’attacco di Majdal Shams nel Golan non sarebbe mai avvenuto. E mostra i muscoli già gonfi nella campagna elettorale accusando il presidente Joe Biden e Kamala Harris di debolezza.
Il terrore degli ebrei e quello di Netanyahu
Il mondo intero guarda con il fiato sospeso. Israele è diviso e sempre più preoccupato. È venuta meno, in nove mesi di guerra, la più lunga mai sostenuta dallo Stato ebraico, la sensazione di sicurezza e la fiducia nella vittoria. L’editorialista del Jerusalem Post Seth Frantzman, uno dei giornalisti israeliani più attenti e moderati nei toni, avverte:
«Il massacro nel Golan è l’ultima tragica prova che la politica israeliana di controllare e gestire contemporaneamente i conflitti sui diversi fronti, Gaza, Libano, Cisgiordania, si è rivelata sbagliata e ha portato a conseguenze inaspettate. I nemici di Israele invece di indebolirsi si sono rafforzati. La strada verso l’inferno è lastricata di buone intenzioni, e la buona intenzione di Israele, quella di mantenere i conflitti sui confini lasciando vivere in pace i suoi cittadini e mettere al sicuro il paese, non ha avuto successo. Anzi ha prodotto l’effetto contrario. E Israele sa che ha molto più da perdere dei suoi nemici. L’Iran ne ha approfittato, Hezbollah e Houthi continuano ad attaccare».
I miliziani yemeniti sono riusciti per la prima volta a colpire Tel Aviv, e l’“errore umano” con il quale la contraerea ha spiegato la falla nella difesa non rassicura certo gli israeliani, mentre l’esercito è bloccato a Gaza dove Hamas continua a combattere casa per casa. Nessuna famiglia in Israele si sente ormai al sicuro, e Netanyahu sa che su questo verrà giudicato perché la ragione di esistere dello Stato ebraico è proprio la sicurezza per ogni ebreo nel mondo.
Tensioni tra governo e ultraortodossi
La guerra non si fermerà presto, a meno che le potenze mondiali scelgano di intervenire, ma ognuno gioca per sé e guarda ai propri interessi. Il governo israeliano ha approvato all’unanimità l’estensione del servizio militare obbligatorio per donne e uomini da 2 a 3 anni in modo da incrementare le forze dell’Idf. La decisione ha inasprito le tensioni sull’obbligo del servizio militare degli ultraortodossi non ancora in vigore.
Un’altra grana, e non di poco conto, per il premier Netanyahu: il suo governo si regge sul voto determinante degli estremisti religiosi. Il che potrebbe portare il gabinetto di guerra a decidere azioni ancora più drastiche. Tutte le grandi guerre sono cominciate con azioni e controazioni apparentemente “proporzionate” e limitate. Apparentemente.
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