A seguito dello scambio di fuoco degli ultimi giorni tra Israele e Hamas, il presidente Morsi ha dichiarato che non permetterà «l’aggressione del popolo palestinese». È una minaccia?
Il primo problema di Morsi non è legato alla Palestina ma ad Al Qaeda. Al momento, Morsi è in una situazione delicata. Il Sinai infatti, che confina con Israele, è percorso da una quantità di gruppi terroristici che attaccano Israele ma anche l’esercito egiziano. Uno di questi attacchi ha visto 8 soldati egiziani uccisi. Questi gruppi di Al Qaeda sono pericolosi sia per Israele sia per l’Egitto. E Morsi se ne rende conto. Non a caso al tempo di Mubarak la battaglia contro gli estremisti era molto violenta e ora Morsi si ritrova con lo stesso problema. Hamas, però, è il secondo problema di Morsi.
Cioè?
Hamas confina con l’Egitto ma la recente e clamorosa visita dell’emiro del Qatar nella Striscia di Gaza, che aiuterà Hamas con centinaia di milioni di dollari, ha creato una concorrenza con l’Egitto. Il Qatar ha premiato Hamas per avere tranciato i rapporti con la Siria e l’Iran. Fino a ieri l’Egitto è stato il mediatore di tutte le situazione più drammatiche tra Israele e Palestina ma ora si trova in un regime di concorrenza. Anche Hamas, che prima si era buttato nelle braccia dell’Egitto, ora può scegliere. In questi giorni la pioggia di missili tra Hamas e Israele sembra vedere una tregua, anche se non ufficiale, proprio grazie all’intervento dell’Egitto. Ma il ruolo di mediatore di Morsi è destinato a fallire.
Perché?
Come si vede nel video, i Fratelli Musulmani sono fortemente caratterizzati da atteggiamenti anti-semiti, e quindi anti-israeliani. Morsi sa che può conquistare il consenso della sua gente, dei musulmani che l’hanno eletto, con atteggiamento come questo. Però d’altra parte sa che gli aiuti americani saranno condizionali alla sua fedeltà al Trattato di pace con Israele. Morsi vuole modificarlo, l’ha fatto dire a questo o a quello tante volte, ma per ora l’unico gesto che ha fatto è accrescere la presenza egiziana nel Sinai. Però Israele è attento, ci sono accordi precisi e c’è una forza di interposizione internazionale nel Sinai. È chiaro che questo allungarsi dell’Egitto può diventare motivo di problematicità.
Perché l’Egitto ha bisogno dei soldi americani?
Gli Stati Uniti finanziano fortemente l’Egitto. L’altro giorno, però, un finanziamento di ulteriori due milioni è stato bloccato al congresso americano. Se, infatti, Morsi si dimostra ostile verso Israele, se distrugge gli equilibri, se perseguita le donne con norme che le opprimono, se perseguita le minoranze religiose come i copti, non otterrà più i soldi americani. E questo sarebbe un dramma perché l’Egitto è sull’orlo di una catastrofe umanitaria, di una carestia. Il paese è in fortissima crisi economica. C’è quindi da pensare che Morsi starà attento, almeno per ora. Però non dimentichiamo che i Fratelli Musulmani sono astuti e non hanno mai rinunciato al loro punto di vista. Io mi ricordo bene che a Piazza Tahrir non si sono presentati fino a quando non sono stati sicuri di potere imporre il loro predominio.
Il 22 gennaio in Israele ci saranno le elezioni. Cosa succederà?
Io credo che tutto resterà come è adesso. Si prospetta una vittoria dei moderati perché in questo momento la sicurezza è decisiva per Israele: l’Iran va avanti con il suo progetto nucleare e si fa sempre più aggressivo e tutti i paesi attorno a Israele sono guidati dai Fratelli Musulmani. È chiaro poi che comunque finisca la guerra civile in Siria, Israele non otterrà vantaggi. È indicativo che Assad stia cercando di incendiare il Libano, dove c’è la presenza di Hezbollah. Per questo, nonostante io creda che la sinistra riuscirà ad affermarsi, perché ci sono problemi sociali in Israele, vedremo comunque una vittoria di Netanyahu.