Mondiali Under 20, impresa dell’Iraq. L’epopea dei “figli della guerra” arrivati alle semifinali

Di Emmanuele Michela
12 Luglio 2013
Avevano le divise contate, ma sul campo hanno sorpreso tutti. Caroselli per le strade di Baghdad. Ecco cosa c'è dietro l'exploit dell'Iraq U-20 in Turchia

Quando due settimane fa l’Iraq recuperava due reti all’Inghilterra nell’esordio al Mondiale Under 20 strappando un impensabile pareggio nel quarto d’ora finale di un match surreale, si diceva che era già stato un risultato super, tanto sudato quanto fortunoso. Da una parte c’erano i figli delle academies più prestigiose della Premier League, dall’altra una generazione che è cresciuta calcisticamente nei dintorni di Baghdad, luogo che non deve avere offerto chissà quali ghiotte possibilità sportive negli ultimi anni. Avevano addirittura le divise contate, gli iracheni: la federazione aveva invitato i suoi calciatori a non regalarle al pubblico a fine partita. Ma da quel 2-2 i ragazzi di Shakir hanno fatto strada, e in un Mondiale dominato da ventenni già noti al panorama calcistico europeo, sono riusciti a infilarsi anche loro, vincendo il girone e arrivando fino alla semifinale. Hanno portato in piazza a festeggiare alcuni tifosi dopo la vittoria ai quarti contro la Corea. Solo prima della finale si sono fermati: i rigori hanno dato ragione all’Uruguay, lasciando ai mediorientali la consolazione di essere l’unica squadra a non aver mai perso una partita di questo Mondiale. E confermando il valore di una realtà sportiva sorprendente per freschezza e risultati, viste le difficoltà di partenza.

OLIMPIADI E COPPA ASIA. Perché il calcio, in Iraq, non è affatto un oggetto sconosciuto: un campionato locale c’è, e la nazionale maggiore di casa, lo scorso anno allenata nientemeno che da Zico, qualche decennio fa viveva la sua “Golden age” riuscendo perfino a presentarsi ai Mondiali nel 1986. Ma è stato nel nuovo millenio, nonostante la guerra, che sono arrivate le più belle soddisfazioni: nel 2004 la selezione olimpica arrivò quarta ad Atene, scalzata dal podio dall’Italia di Gilardino, mentre nel 2007 c’è stato l’exploit in Coppa Asia, con la vittoria del trofeo ai danni dell’Arabia Saudita. E adesso l’impresa della nazionale Under 20 in Turchia.

BOICOTTAGGI E TRAGEDIE. Non sono mancati ovviamente neanche i momenti di tensione per il calcio iracheno, asprezze spesso legate alle vicende del paese. Negli anni Novanta, con Saddam, la nazionale fu bannata da diverse competizioni internazionali. E per arrivare ai giorni nostri, è ancora fresca la notizia della tragica morte di Mohammed Abbas al-Jabouri, allenatore del Karbala. Appena prima di un match a Baghdad è finito vittima di un attacco di un’unità antiterrorismo. Anche 7 calciatori sono stati feriti. La dinamica dell’accaduto è poco chiara: tutto è iniziato con un litigio all’ingresso dello stadio, poi sono saltate fuori le armi. Abbas era tornato due anni fa dall’Olanda all’Iraq per aiutare lo sviluppo del calcio nel suo paese.

FIGLI DELLA GUERRA. Avrebbe potuto esserci anche Ali Yaseen, estremo difensore della squadra, assente però perché convocato in Turchia come terzo portiere della nazionale Under 20. Non ha ancora giocato un minuto al Mondiale, ma grazie alla convocazione è riuscito a scampare a quella strage. L’avventura della nazionale irachena ai Mondiali è andata avanti nonostante la notizia della tragedia, uno shock anche per loro, quei ragazzi soprannominati da tutti “figli della guerra”. Sono nati dopo l’invasione del Kuwait e quando gli Stati Uniti attaccarono per la seconda volta Saddam avevano tra gli 8 e i 10 anni. La violenza la conoscono, con l’angoscia sono abituati a convivere. E secondo qualcuno è forse questo il segreto di tanta forza dimostrata sui campi della Turchia: «Quando una persona ha fame di successo, allora combatterà sempre per qualcosa di più, e darà di più, specie in confronto a chi ha sempre tutto a portata di mano», è il commento di Hassanin Mubarak, giornalista di Iraqsport. «Molti di questi calciatori arrivano da un contesto povero, e non c’è da sorprendersi se molti dei più grandi sportivi al mondo sono arrivati dalle regioni più indigenti del mondo, come le favelas di Rio, le bidonville di Buenos Aires o le slum di Al-Sadr City, Baghdad».

@LeleMichela

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