La preghiera del mattino

Col Mattarella bis e la politica in macerie Draghi è più forte, dicono. Dicono davvero?

Di Lodovico Festa
04 Febbraio 2022
Rassegna ragionata dal web su: il Parlamento e la sovranità popolare ancora frustrati dal Mattarella bis, che cosa si muove nel centrodestra europeo e molto altro ancora
Sergio Mattarella e Mario Draghi
Sergio Mattarella con Mario Draghi ieri all'altare della patria (foto Ansa)

Su Fanpage si riporta il discorso del giuramento di Sergio Mattarella di fronte alle Camere riunite, in questo discorso si dice tra l’altro: «Per questo è cruciale il ruolo del Parlamento, come luogo della partecipazione». Ah! Già, ecco che cosa mi ero dimenticato – si deve essere detto il presidente rieletto scrivendo o forse solo leggendo il suo discorso – negli ultimi sette anni, anche perché quel distratto di Ugo Zampetti non me lo ricordava mai: «Il cruciale ruolo del Parlamento come luogo della partecipazione».

Su Atlantico quotidiano Franco Carinci scrive: «Esaurita l’euforia per la conferma del presidente della Repubblica, che verrà ricordata non come l’“eccezione” ma come la “regola” Mattarella, il quale comunque resta formalmente dotato di un potere, quello dello scioglimento delle Camere, il cui impegno a non esercitarlo è stato la conditio sine qua non alla sua permanenza al Quirinale». Quei velenosi critici di Atlantico quotidiano non tengono conto dei tempi della politica: nel prossimo settennato Mattarella si concentrerà su quella centralità del Parlamento su cui si era un po’ distratto e giura che si occuperà anche di una riforma della giustizia, che nel suo ruolo di presidente del Csm si era ugualmente scordato. Se lo rieleggono, poi, nel 2029, avrà tempo di applicare anche la prima parte di quel noioso articolo 1 che recita: «La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Insomma non ci saranno solo “i limiti” si vedrà anche un po’ di sovranità popolare. Basta aspettare un momento.

Su Formiche Roberto Arditti scrive: «Insomma quello che oggi applaude Mattarella è un Parlamento frammentato e impotente, nel quale l’attività prevalente è lo scatto fotografico ai fini del profilo Instagram, altro che il centro della vita repubblicana». Chissà se Arditti, che era molto favorevole alla rielezione di Mattarella, era stato informato che la cornice dentro la quale «questo Parlamento frammentato e impotente, nel quale l’attività prevalente è lo scatto fotografico ai fini del profilo Instagram», era stata largamente disegnata proprio da quel presidente che lui ha voluto fosse rieletto.

Su Formiche Mauro Calise dice: «L’idea del Partito repubblicano non è certo originale. Ma ogni volta che Salvini è in difficoltà si inventa l’ipotesi del partito unico tentando di inglobare i forzisti. Rispetto al passato, però, a vantare una posizione privilegiata questa volta sono proprio gli azzurri di Silvio Berlusconi». Il problema sarebbe quello di regalare un atlante al leader della Lega, detto anche la “parola più veloce del West”, per spiegargli che l’Italia si trova in Europa, non in America. Una volta fatta questa scoperta, dovrebbe poi concentrarsi sui fenomeni che stanno avvenendo nell’ala più moderata della destra europee. Il Partito popolare spagnolo non disdegna un’alleanza con Vox; in Francia un cattolico conservatore come Vincent Bolloré usa un conservatore radicale come Éric Zemmour per aprire la strada a una donna di destra che possa battere Emmanuel Macron (Valérie Pécresse); presidente del Parlamento europeo, invece della solita imbrogliona merkelliana tipo Ursula von der Leyen, è stata eletta la tosta Roberta Metsola. In Germania l’ala di buon senso dell’AfD rompe con gli estremisti e di fatto raccoglie il segnale dell’elezione di un duro conservatore atlantista (Friedrich Merz) alla guida della Cdu. Insomma la richiesta salviniana che il Ppe si presenti alternativo ai socialisti si sta realizzando. E allora anche lui dovrebbe svegliarsi.

Su Affaritaliani si raccolgono queste parole di Matteo Salvini: «Con i referendum che grazie a Lega e Radicali ci saranno in primavera. Avanti con la riforma della giustizia, la riforma del Csm e lo stop alle correnti, per restituire credibilità alla magistratura». Ecco un’ottima ripartenza d’iniziativa politica, aiutata dall’unica apertura – quella sulla giustizia – meno retorica del discorso del giuramento di Sergio Mattarella. Ora bisogna studiare bene come gestirlo, questo referendum (sempre che si faccia e Giuliano Amato non s’inventi un qualche pasticcio), con toni riformisti, non demagogici, e con una visione complessiva, capace di rassicurare la società italiana sul fronte della lotta alla corruzione, alle nuove ondate di violenza urbana e alla potentissima criminalità organizzata.

Su Dagospia si riporta un intervista su Tpi di Riccardo Barenghi a Rino Formica che dice: «Non nutro un’ostilità personale verso il premier, ma se fosse stato eletto, avremmo rischiato di smentire nei fatti l’essenza della democrazia, che è pluralità, equilibrio e divisione dei poteri sotto la guida del presidente della Repubblica, da una parte, e della Corte costituzionale (oggi presieduta da uno serio e bravo come Giuliano Amato) dall’altra, che vigila sulla costituzionalità degli atti legislativi». Che tristezza ascoltare una persona di rara intelligenza che, sconfitta dalla storia (in larga misura ingiustamente e comunque è un’osservazione da parte chi è stato dalla sua supersconfitto), sa solo proporre che “il morto afferri il vivo”, senza aiutare l’Itala a trovare una via di uscita.

Su Linkiesta Francesco Cundari scrive: «Un futuro possibile cui fa da specchio il successo di un Festival di Sanremo altrettanto capace di tenere insieme il monologo antirazzista di Lorena Cesarini e le pesanti ironie anti-politicamente corretto di Checco Zalone (lo so, lo so che esiste l’espressione “politicamente scorretto”, ma il suo abuso l’ha ormai trasformata, di fatto, in un insulto, e non c’è modo di salvarla: forse tra cento anni tornerà utilizzabile), la denuncia della xenofobia e dell’odio online da un lato, dall’altro l’imitazione del trans brasiliano, con abbondanza di allusioni e battute triviali. Del resto, non era proprio Checco Zalone a cantare che “la Prima Repubblica non si scorda mai”?». Cundari ha una vera e propria divertentissima alzata d’ingegno comparando il Festival della canzone allo scenario politico nazionale. Ma qual è la principale differenza tra Sanremo e Roma? Che nella riviera ligure di Ponente c’è ancora qualche forma di sovranità popolare, sia pure nelle forme e nei limiti dei regolamenti festivalieri.

Su Fanpage Adriano Bondi scrive: «Sergio Mattarella si è posto su un livello diverso, del tutto coerentemente con la sua conduzione al Colle e con la sua indole. È stato il discorso di un servitore delle istituzioni, di chi sa di essere diventato il faro di milioni di italiani e unico punto di riferimento per chi intende la politica nella sua accezione più nobile. Il discorso di chi non si è sottratto alla chiamata, in un momento in cui “il prolungarsi di uno stato di profonda incertezza politica e di tensioni” sembrava poter mettere a rischio la tenuta di una nazione scossa dalla pandemia e da una crisi sistemica con pochi precedenti. Si può obiettare che questo sia stato il miglior epilogo possibile (e chi scrive è convinto che siamo in presenza del trionfo dello stato d’emergenza, del fallimento più gigantesco di una classe politica indecorosa, incapace di esprimere leadership di livello o di costruire le condizioni per la crescita del paese). Si possono dibattere le scelte del primo settennato, inclusa la gestione dell’ultima crisi politica, che ha acuito problemi poi puntualmente rilevati nel suo discorso odierno (la mortificazione del Parlamento, le tensioni sociali, la crescente disuguaglianza, la fine dello slancio riformatore). Meno si può discutere della statura di un presidente che ancora una volta si rivela un esempio di compostezza e dedizione». Nella gara per chi esprime il più servile encomio a Mattarella, Bondi guadagna parecchi punti, anche perché infiora nelle prime righe “l’encomio” con un codardo oltraggio a Giorgio Napolitano.

In una lettera a Dagospia si scrive: «Il dilettantismo della attuale classe politica non si è visto solo nella elezione del presidente, ma ancora di più dall’aver considerato da subito Conte, uno appena affacciato alla politica dopo un casting, come un grande leader politico che mancava… alla sinistra!». Mentre il professionismo di Emmanuel Macron si coglie nell’aver rifilato al Pd uno come Enrico Letta, che neanche per errore riuscirà a dare una base per una qualche autonoma scelta nazionale, sia pur naturalmente in una perfetta cornice europeista.

Su Formiche Andrea De Petris scrive: «L’elezione diretta del presidente della Repubblica italiano confermerebbe quindi il sospetto presente in molti elettori dell’inutilità del sistema partitico, delegittimandone ulteriormente la centralità che pure il dettato costituzionale prevede». Dopo 11 anni di commissariamento dei partiti, molti di questi malfidenti elettori sarebbero confermati nella convinzione dell’inutilità del sistema partitico? Ma guarda te che cosa vanno a pensare! Ma non hanno letto la Costituzione?

Su Dagospia si riporta un’intervista del sito del Tempo nella quale Andrea Scanzi dice: «Se ai 5 stelle togli anche Conte non rimane niente». Un niente dice che se togli un niente al niente, non rimane niente. Ecco una perfetta esibizione di nichilismo.

Sugli Stati generali Umberto Cherubini raccoglie questa dichiarazione di Pier Ferdinando Casini: «Abbiamo visto quando la politica viene rimpiazzata cosa succede: è successo con la supplenza giudiziaria e, di recente, con poteri esterni». Chissà se Casini dopo aver rilasciato questa dichiarazione contro i poteri forti (lasciamo perdere le considerazioni di routine e condivisibili sulla magistratura), salutato il giornalista che l’ha intervistato, sia corso in bagno a ridere come un matto per la sua sparata. Non essendo Giuseppe Conte e avendo una qualche idea di che cosa sia l’abc della politica, il nostro Casini è impossibile che creda a certe parole che gli sono attribuite nella frase riportata.

Sul Post si scrive: «L’Unione Europea, dunque, si trova nel mezzo della peggiore crisi energetica degli ultimi decenni divisa sulla questione del nucleare, e con la produzione in declino, in un contesto in cui in buona parte del resto del mondo la produzione di energia nucleare è destinata ad aumentare nei prossimi anni». Non c’è questione che sia risolvibile con formule retoriche su cui l’Unione non abbia una posizione decisa. Su tante delle altre, l’Unione diventa rapidamente Divisione europea: senza neanche quell’arbitro che si chiama popolo sovrano e senza quelle regole che si chiamano Costituzione.

Su First online Antonio Duva scrive: «Una matassa davvero difficile da sbrogliare. Tuttavia, la sfida per il Quirinale ha logorato le leadership di quasi tutte le forze politiche e ha innescato divisioni interne in alcuni casi laceranti. Ne deriva che il presidente del Consiglio oggi è più forte e dispone di maggiori possibilità di imporre un andamento più incisivo e spedito all’azione di governo, rispetto a quanto accaduto negli ultimi mesi». Come diceva Tacito delle conquiste territoriali dei romani: «Desertum fecerunt et pacem appellaverunt». Hanno trasformato la politica in un ammasso di macerie e la chiamano stabilità nonché centralità di Mario Draghi (quest’ultima valutazione è particolarmente campata in aria).

Su Affaritaliani si scrive: «Berlusconi è pronto a cedere Il Giornale all’imprenditore Antonio Angelucci». Ma come mai, dopo che il quotidiano già di Indro Montanelli aveva condotto una così convincente campagna per portarlo al Quirinale?

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