«Mare Nostrum è costata molto ma ha anche salvato più di 30 mila vite umane. Ovvio che questa non è la risposta definitiva al problema dei disperati che salgono sui barconi né è la migliore che si potesse dare». Padre Mussie Zerai sa quel che dice quando parla di barconi, profughi e salvataggi in mare. Sacerdote cattolico che vive tra Roma e Svizzera, è soprannominato “l’angelo dei profughi”, perché chi sale sugli scafi nella speranza di raggiungere l’Europa come prima cosa chiama lui per chiedere aiuto quando i bastimenti rischiano di affondare. Essendo di nazionalità eritrea, come la maggior parte di coloro che sbarcano sulle nostre coste (sono 16 mila quelli arrivati dall’inizio dell’anno, seguiti da siriani, cittadini del Mali e del Gambia), sa perché centinaia e centinaia di giovani rischiano la vita pur di arrivare nel nostro paese e conosce anche un modo migliore «per impiegare le risorse destinate a Mare Nostrum e alla sicurezza in Libia».
Padre Zerai, cosa spinge tanti eritrei a rischiare la vita pur di venire in Europa?
In Eritrea manca qualsiasi tipo di libertà. Ai giovani viene rubato il futuro perché li si obbliga a intraprendere un servizio militare infinito, che è diventato di fatto una schiavitù legalizzata.
Si spieghi meglio.
In Eritrea per colpa del regime non c’è libertà di stampa, di movimento, di organizzarsi in associazioni o movimenti o partiti politici, non c’è libertà di niente. Puoi solo aderire all’unico partito che sorregge il regime, è vietato anche pensarla diversamente, non c’è libertà di espressione o di dissenso. Neanche di coscienza.
Perché scelgono i barconi che salpano dalla Libia?
Non li scelgono: non è possibile lasciare il paese legalmente perché il regime non rilascia passaporti o visti. La gente è costretta a scappare ma anche durante la fuga verso il Sudan o l’Etiopia rischia la vita. In passato tanti sono stati uccisi al confine e se non muoiono per mano dei militari, muoiono di fame o di sete o sbranati da animali feroci. Una volta arrivati in Sudan, poi, c’è il pericolo di essere rapiti dai trafficanti di esseri umani: esistono bande in combutta con alcuni poliziotti corrotti che li sequestrano per chiedere riscatti. Se superano questi pericoli devono attraversare il deserto della Libia, un’altra enorme insidia, e non farsi prendere dai militari libici. Tanti muoiono nel deserto. I barconi sono solo l’ultima fatica.
Perché il regime permette che scappino così tante persone?
Perché ci guadagna. Ogni cittadino eritreo che vive al di fuori dei confini nazionali, e che per un qualunque motivo ha a che fare con l’ambasciata, come per avere un certificato, è costretto prima a pagare il 2 per cento del suo stipendio al regime, anche se è disoccupato. C’è dell’altro: spesso ad organizzare il viaggio dall’Eritrea sono proprio membri del regime corrotto, che accompagnano fuori i profughi anche con le auto di Stato. È un vero affare per loro.
Quando si avvicinano all’Italia sui barconi, poi, chiamano lei.
Sì. L’unica cosa che posso fare per chi mi chiama è avvertire la Guardia costiera italiana, come successo anche ieri e l’altro ieri, per evitare che i barconi affondino. Cerco di dare loro una mano, anche una volta sbarcati, ma di solito queste persone non vogliono restare in Italia: tentano di proseguire il loro cammino verso il nord Europa.
L’Italia ha varato l’operazione Mare Nostrum nell’ottobre scorso. Molti però sono critici sulla sua efficacia.
Mare Nostrum è costata molto, è vero, ma ha anche salvato più di 30 mila vite umane. Ovvio che non è la risposta migliore che si potesse dare. È da molto tempo infatti che noi chiediamo di attuare una soluzione migliore.
Quale?
Aprire un corridoio umanitario per le persone che richiedono asilo. Chi arriva da noi, infatti, cerca di ottenere lo status di rifugiato. Perché allora non risparmiamo loro le avversità e il rischio di morire organizzando convogli umanitari con la responsabilità della comunità europea per smistare i richiedenti asilo in tutta Europa? Questo corridoio potrebbe partire in Sudan o in Etiopia o anche in Libia attraverso le ambasciate, dove esaminare le richieste di asilo. Così si impedirebbe che tutto il peso dei rifugiati ricada sull’Italia e gli altri paesi del Mediterraneo e si permetterebbe a queste persone di non rischiare la vita. Spenderemmo meno soldi e avremmo più sicurezza: per noi e per i profughi.
I vescovi eritrei hanno da poco pubblicato una lettera pastorale il cui succo è che non ci sarebbe bisogno di emigrare se si vivesse in un paese decente.
È chiaro che la soluzione migliore per tutti i rifugiati sarebbe la possibilità di vivere in pace e tranquillità nel proprio paese d’origine. Questo è il sogno di tutti ma finché non si avvera ci devono essere soluzioni intermedie. Noi speriamo che la comunità internazionale aiuti l’Eritrea a mettere fine allo stato di guerra con l’Etiopia per il problema dei confini. Quando si risolverà questo punto, speriamo che il regime cambi qualcosa.