Mafia capitale, i penalisti denunciano pubblicazione atti segretati
Cinquanta imputati, centinaia di testimoni (250 quelli nell’elenco attuale in mano ai difensori di Massimo Carminati) e un calendario di quattro udienze alla settimana. I numeri del dibattimento mafia capitale, che dovrebbe iniziare il 9 novembre, sono quelli di un maxiprocesso. Che al margine vanta già anche un record, inedito per la storia giudiziaria italiana: l’esposto presentato dalla Camera penale di Roma verso 78 giornalisti e 18 direttori per 296 articoli stampa in cui si sarebbe violato l’articolo 114 del codice di procedura penale.
I penalisti contestano ai cronisti di aver riportato intercettazioni o atti coperti dal segreto istruttorio, dal momento che quelle intercettazioni erano parte del fascicolo del pubblico ministero all’epoca (in teoria) coperto da segreto istruttorio. L’esposto nasce da una semplice norma di legge che è perennemente, quotidianamente e totalmente trasgredita, al punto che gran parte dell’opinione pubblica forse ne ignora l’esistenza, appunto l’articolo 114.
Dopo l’esposto, vari giornalisti hanno accusato gli avvocati romani sui social network ma anche in interviste televisive. È accaduto ad esempio lo scorso venerdì 23 ottobre, durante la trasmissione di approfondimento del Tg2 “Punti di vista”, che aveva come ospiti il giornalista e scrittore Carlo Bonini, de La Repubblica, e il collega de L’espresso Lirio Abbate. In studio, oltre ai due giornalisti ospiti, c’erano solo i due conduttori, Maurizio Martinelli e l’inviato del Tg2 Francesco Vitale. Non vi era alcun avvocato penalista, né chi potesse dar vita ad un pur minuscolo contraddittorio.
«GLI AVVOCATI DIMOSTRANO CHE LA MAFIA C’È». «Gli avvocati le cose che facevano Buzzi e Carminati le sapevano, gli stessi avvocati che oggi hanno comportamenti vagamente intimidatori alla vigilia di questo processo. Chi aveva dei dubbi sul fatto che questo fosse un processo di mafia, con il comportamento dell’Unione camere penali oggi non ne ha più», ha denunciato Lirio Abbate, che per primo ha scritto sull’Espresso dell’inchiesta “mafia capitale”, nell’articolo intitolato “I quattro re di Roma” poi divenuto anche un libro (per Chiarelettere). Per Abate, quello dei penalisti romani è un atto intimidatorio «perché i giornalisti hanno solo riportato parti di indagini che erano note anche agli avvocati degli indagati. I penalisti di Roma sono andati a prendere un piccolo articolo, che dice che non possono essere pubblicati per intero quegli atti e ci segnalano alla procura e all’ordine dei giornalisti».
«FREGHIAMOCENE». Per Bonini (co-autore di Suburra, il romanzo che ricostruiva le vicende al centro dell’indagine): «Questa gazzarra strumentale, direi quasi disperata, degli avvocati cos’altro dovrebbe dimostrare, se non che Roma non è adatta a celebrare un processo per mafia di questo genere? Mi sembra di tornare ai tempi dei processi per la strage di piazza Fontana». Bonini ha proseguito: «Trovo curiosa una cosa, che prima o poi qualcuno della camera penale dovrebbe spiegarmi. Se i cronisti fanno giornalismo su atti giudiziari depositati violano il segreto istruttorio, non si capisce come, ma diciamo sono a “rimorchio” della procura. Se invece scrivono prima degli atti un libro o un articolo sono accusabili di essere “veggenti”. Ma i giornalisti quando dovrebbero scrivere allora?». La risposta è stata del conduttore, Maurizio Martinelli: «Semplicemente dovremmo fregarcene», alla faccia del codice di procedura penale.
La camera penale di Roma negli ultimi giorni ha raccolto una lunga serie di commenti, anche attraverso i social network, contro l’esposto presentato dagli avvocati. «È solo un piccolo antipasto di ciò che il clan mafioso di Carminati riserverà a chi si avvicina a questo processo. I cani sono stati sciolti, ma non ci fanno paura. Sappiatelo», ha scritto ad esempio – e tra tanti altri commenti di tenore simile – Abbate sul proprio profilo Facebook.
«CLIMA DA REGIME AUTORITARIO». «La violenza, l’offensività e la gravità di tali espressioni sono pari all’intolleranza che le connotano» ha replicato con una nota la camera penale di Roma, autrice dell’esposto: «Ma di fronte a questa campagna di pretestuosa e calunniosa disinformazione in atto è necessario precisare che le iniziative della camera penale sono state assunte in difesa della legalità, dei diritti fondamenti delle persone imputate e non ultimo della dignità del diritto della difesa. È dunque un volgare insulto legarle a secondi fini, o addirittura allo scopo di favorire non solo gli imputati del processo ma la supposta associazione mafiosa».
Secondo i penalisti romani, questa falsa accusa «avviene solo nei paesi autoritari, dove si identificano gli avvocati, e persino le associazioni che li rappresentano tutti, con i reati di cui sono accusati gli imputati. Le dichiarazioni infamanti fatte dai giornalisti in questione sono intrise di grottesche enormità e di vere e proprie falsità», dal momento che non è vero che le iniziative della camera penale coincidono con quelle dei singoli difensori del processo mafia capitale. Sembrerebbe ovvio a tutti che non tutto l’insieme dei penalisti possa essere identificato con i delitti degli imputati – chiunque essi siano – ma evidentemente in una fetta sempre più larga di opinione pubblica così non è più.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]«UNA VIOLAZIONE DECENNALE DELLA LEGGE». I penalisti hanno voluto chiarire ulteriormente le ragioni del loro esposto: «Si tratta di un’iniziativa che alcuni giornalisti attribuiscono “al collegio difensivo” erroneamente, perché è un’iniziativa deliberata molti mesi fa, ben prima della fase del dibattimento e depositata dal presidente e da un socio che non sono interessati professionalmente alla vicenda “mafia capitale”. L’esposto è stato qualificato come un aggressione alla libertà di stampa o come strumento intimidatorio. Ma costituirebbe “un’intimidazione” degna della mafia chiedere all’Ordine dei giornalisti – come avviene con l’esposto – di vigilare sulle violazioni di legge commesse dai propri appartenenti? Non va dimenticato che i penalisti denunciano da decenni la violazione dell’articolo 114 del codice di procedura penale, ed è chiaro che il caso “mafia capitale” sia stato utilizzato come esempio di violazione della legalità processuale assolutamente generalizzato».
I penalisti romani hanno ricordato che un clima come quello attuale lo si è già vissuto in passato all’epoca del terrorismo politico e poi di Tangentopoli, e che loro hanno sempre cercato di combatterlo: «Ma c’è un limite che in questo caso è stato travalicato. Quello della calunnia gratuita. Dire che quello che fa la Camera penale dimostra l’esistenza della mafia significa accusare tutti gli avvocati di agire nell’interesse organico dell’associazione mafiosa, la cui esistenza è oggetto del processo che si deve ancora aprire».
Foto Ansa
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