Ma è proprio vero che in Piemonte un asilo pubblico non può essere aperto se c’è l’opposizione degli istituti privati locali? È vero, come sostiene il Fatto quotidiano, che nella Regione governata da Sergio Chiamparino «una scuola pubblica non deve essere aperta» se «può far diminuire gli studenti e le sezioni di quella privata»?
Le domande sono relative a un caso scoppiato qualche giorno fa. Ne ha parlato per prima la Stampa. Il quotidiano torinese aveva dato la notizia di un asilo nel piccolo paese di Bibiana, provincia di Torino, finanziato per più di 1 milione di euro da Regione Piemonte, Unione Europea e Comune, costretto a non aprire i battenti. A congelarne l’apertura è stato un parere della Fism (Federazione italiana scuole materne). La sigla che riunisce molte scuole cattoliche paritarie si è espressa negativamente sul nuovo istituto, in base a una norma regionale del 2013 che limita la proliferazione di istituti pubblici laddove la copertura dell’offerta formativa sia già ampiamente assicurata.
A spiegare il senso della norma a tempi.it è l’autore del testo incriminato, l’ex assessore all’Istruzione del Piemonte, Giampiero Leo (Ncd). «Partiamo da una premessa – esordisce Leo – le paritarie, secondo la Costituzione, non sono istituti privati ma scuole che svolgono un servizio pubblico». «Da più di dieci anni – prosegue l’ex assessore – la Carta sancisce che l’istruzione pubblica in Italia poggia su due pilastri: scuole di Stato e scuole paritarie. Ogni Regione, con la sua diversa sensibilità politica, ha messo in pratica questa parità giuridica che porta la firma del centrosinistra e di Luigi Berlinguer. In Piemonte lo abbiamo fatto prima con il buono scuola basato sulle fasce di reddito, poi con l’emendamento di cui tanto si parla oggi». L’obiettivo della norma, spiega Leo a tempi.it è «impedire che le due gambe del servizio pubblico si sgambettino a vicenda o che svolgano un servizio inefficiente, causando sprechi di denaro pubblico».
La regola vale per tutti gli istituti pubblici: statali e paritari. Se l’apertura di un asilo pubblico costringe alla chiusura di una classe di un altro asilo pubblico, allora non si deve aprire, a maggior ragione nel caso in cui l’eventuale apertura costituisse una spesa maggiore e un minor risparmio rispetto alla valorizzazione delle strutture esistenti, come nel caso della scuola statale nel Comune di Bibiana. Nel paesino ci sono 100 bambini. Bastava a coprire il bisogno la scuola paritaria locale. Soprattutto in questi tempi di spending review, che senso ha spendere soldi per un nuovo asilo pubblico, a mezzo servizio, mettendo in crisi un altro istituto pubblico già esistente da decenni e perfettamente funzionante?
Un motivo potrebbero essere il costo delle rette, per esempio. A Bibiana molte famiglie potrebbero risparmiare rivolgendosi al nuovo asilo statale.
Il costo reale di uno studente nell’asilo di Stato è maggiore. Non c’è un risparmio ma un aumento della spesa e delle tasse. Sì, è vero, alcune famiglie risparmierebbero 500 euro all’anno, pagando le rette 100 euro al mese anziché 150. Tuttavia lo Stato si troverebbe a pagare migliaia di euro in più. Ogni studente iscritto alle scuole paritarie, infatti, costa ai contribuenti 500 euro, mentre ogni studente delle statali 6 mila. È evidente che per la collettività non c’è alcun risparmio nel trasferimento degli alunni da una scuola paritaria ad una statale, ma un aumento di spesa che è quasi dieci volte più grande di quanto risparmiano alcune famiglie. Cosa accadrebbe se tutti i comuni facessero lo stesso?
La singola famiglia di Bibiana, però, risparmierebbe 500 euro all’anno. Non pochi.
Capisco che è facile per i politici locali agitare slogan ideologici contro le paritarie e promettere risparmi alle famiglie, però si deve fare i conti con la realtà. Un comune come Bibiana potrebbe usare quei soldi per far risparmiare ai suoi cittadini la stessa cifra, senza sprechi di risorse, senza costruire una nuova struttura e senza mettere a rischio i posti di lavoro di un altro asilo pubblico.
Come?
Valorizzando l’esistente, cioè l’istituto paritario. Basta un semplice calcolo: il Comune ha versato 300 mila euro per la costruzione dell’asilo statale, anche se quello paritario aveva posti disponibili. La restante parte, 1 milione e 200 mila euro, è stata finanziata dalla Regione e con i fondi europei. Il risultato di questo investimento quale sarebbe? L’asilo paritario viene costretto a chiudere una classe e quello statale a svolgere un lavoro a mezzo servizio. Se invece, per ipotesi, la giunta avesse utilizzato quei finanziamenti per calmierare le rette della scuola paritaria, le famiglie di Bibiana avrebbero risparmiato gli stessi 500 euro all’anno almeno per i prossimi vent’anni, senza alcun costo aggiuntivo per lo Stato e per il territorio.
Però perché dare un potere di veto agli istituti paritari sull’apertura di nuove scuole?
A decidere dell’apertura di nuove sezioni o istituti, ci sono Regione e ministero dell’Istruzione. La scelta di inserire anche la voce degli istituti paritari è più che logica. Il nostro sistema dell’istruzione si chiama “sistema integrato”. Che integrazione ci sarebbe se a decidere dell’istruzione pubblica fossero solo Regione e ministero? Si può fare l’esempio delle società partecipate: non è solo lo Stato ad avere voce in capitolo.
Quindi lei crede che il suo emendamento non vada modificato?
La ragionevolezza della norma è evidente. Non è un caso che a Bologna il sindaco Virginio Merola (Pd) abbia combattuto contro il “referendum Rodotà” che invocava l’azzeramento dei finanziamenti alle paritarie: per i comuni le paritarie sono un risparmio. Credo che il Pd anche in Piemonte capirà la ragionevolezza dell’emendamento.