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L’ultimo saluto degli armeni a Dadivank: «Gli azeri ci cacciano»

A centinaia hanno fatto visita al famoso monastero situato a Kalbajar, che domani diventerà terra azera. I sacerdoti: «Noi resteremo qui»

Leone Grotti
14/11/2020 - 2:00
Esteri
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dadivank monastero armenia

«Siamo venuti qui per un ultimo addio». Parla così alla France Press uno delle centinaia di armeni che in questi giorni hanno visitato l’antico monastero di Dadivank, gioiello di pietra grigia edificato a partire dal IX secolo e situato nella regione montuosa di Kalbajar, la prima del Nagorno Karabakh che sarà ceduta all’Azerbaigian a partire da domani, a causa della sconfitta nel recente conflitto tra gli azeri e l’Armenia.

Lunedì l’Armenia, dopo sei settimane di guerra contro l’Azerbaigian sostenuto dalla Turchia, è stata costretta a riconoscere la sconfitta e a firmare un «accordo estremamente doloroso» che impone la cessione di ampie porzioni di territorio del Nagorno Karabakh al controllo degli azeri.

«QUESTA È LA TERRA DEI NOSTRI PADRI»

Dadivank è uno dei complessi religiosi di cui la Chiesa apostolica armena va più fiera. Il monastero che fu fondato da san Dad, uno dei discepoli dell’apostolo Giuda Taddeo, è stato distrutto una prima volta dai turchi selgiuchidi nel 1145 e poi ricostruito. Nel 2007 sotto l’altare della chiesa principale è stata scoperta la tomba del santo. «Non posso credere che non potrò più venire qui», piange un altro armeno. «Questa è la terra dei nostri padri e dei nostri nonni. Queste pietre sono qui da 800 anni».

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Quando è circolata la notizia che la terra dove si trova il monastero sarebbe stata restituita domani, una lunga processione di armeni ha cominciato a far visita a Dadivank. Venerdì sono stati celebrati in tutta fretta 12 battesimi. L’Azerbaigian ha promesso che non toccherà il monastero, né rovinerà le sue croci e i suoi affreschi carichi di storia. Ma gli armeni non si fidano: «Dobbiamo pregare perché il monastero sia protetto».

A guardia del monastero e delle sue preziose khachkar, le tradizionali croci di pietra patrimonio culturale degli armeni che gli azeri distrussero a migliaia negli anni Novanta, resteranno i sacerdoti di Dadivank. «Non gli permetteremo di toccare il nostro monastero», ha dichiarato ad Al Jazeera il sacerdote responsabile del complesso, padre Hovhannes. Una delle sue immagini ha fatto il giro del mondo: il 27 settembre, quando è iniziato il recente conflitto, ha pubblicato una foto nella quale teneva il crocifisso in una mano e un fucile nell’altro, sotto la didascalia: «Fede e potere».

Faith & Power! #StopAzerbaijaniAgression #StopAliyev #KarabakhNow #NKpeace #NKstrong #ArtsakhStrong #ՀԱՂԹԵԼՈՒԵՆՔ pic.twitter.com/ql9cZkpYdu

— Armenia 🇦🇲 (@armenia) September 27, 2020

«CACCIATI DI CASA COME BESTIE»

L’accordo firmato da Armenia, Azerbaigian e Russia non stabilisce se gli abitanti delle regioni che passano sotto il controllo azero possono restare nelle loro case o meno. Nella regione di Kalbajar, però, dove abitano circa 3.000 armeni, in tanti hanno già fatto le valigie per trasferirsi a Erevan. Altri ancora, come si può vedere in questo video della Bbc, hanno bruciato la propria casa per impedire che gli azeri se ne impossessino. «Nella guerra degli anni Novanta gli azeri hanno ucciso mia sorella e mio fratello. In questa guerra hanno ucciso uno dei miei 10 figli. Ora mi tolgono anche la mia casa. Ancora non gli basta? Ci obbligano ad andarcene, come se fossimo bestiame», racconta piena di angoscia Karine Chakhalyan, 54 anni.

Il governo azero continua a ripetere che gli armeni non saranno discriminati, ma la popolazione non ha dimenticato il caso del tenente Ramil Safarov, ufficiale dell’esercito azero che massacrò a colpi di ascia un collega armeno nel sonno mentre entrambi partecipavano a un’esercitazione congiunta della Nato nel 2004. Non solo il delitto fu perdonato dal dittatore Ilham Aliyev, ricorda lo Spectator, ma oggi Safarov è considerato in patria un eroe nazionale.

Nonostante il clima di tensione e paura, padre Hovhannes ha deciso che insieme agli altri preti del monastero non andrà da nessuna parte: «Non so che cosa accadrà ora. Ma io resterò nella mia parrocchia. Io resterò nella mia chiesa».

@LeoneGrotti

Tags: armeniaazerbaigianCristiani Perseguitatilibertà religiosanagorno karabakh
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