Lo smantellamento dell’Ilva è la prova che è impossibile governare l’Italia senza riformare la giustizia

Di Luigi Amicone
09 Febbraio 2014
In due anni di folle conflitto tra politica e magistrati sono stati distrutti posti di lavoro e asset strategici per l’Italia. Intanto un’azienda privata è stata trasformata per decreto Letta in azienda parastatale

ilva-tempi-copertinaDal 1960 al 1995 l’Iri-Italsider-Ilva ha prodotto centinaia di milioni di tonnellate di acciaio. E disastri ambientali di Stato. Impuniti. L’Ilva acquisita e gestita dagli antipatici e arroganti Riva (almeno così dicono di loro) ha prodotto altrettanto acciaio. Ma diversamente da quanto aveva fatto in precedenza il “pubblico”, tra il 1995 e il 2011 il “privato” ha investito a Taranto 4 miliardi e mezzo di euro per l’aggiornamento tecnologico, di cui 1,5 per la salvaguardia dell’ambiente (dati documentati dall’ex prefetto ed ex presidente dell’Ilva Bruno Ferrante, presentati al “tavolo di lavoro” istituzionale nei primi giorni di sequestro giudiziario dell’Ilva, 17 agosto 2012, allorché insieme al vertice dell’azienda ben due ministri di governo si recarono a Taranto e il procuratore capo della città non ritenne opportuno neppure incontrarli).

Nessuno pensa che l’acciaieria più grande d’Europa non abbia dato il suo bel contributo a inquinare Taranto. Ma è tutto da dimostrare che il devastante quadro epidemiologico esibito dalla procura in sede di incidente probatorio e martellato da un circuito mediatico che ha incredibilmente rinunciato a ogni esercizio di intelligenza, critica e inchiesta indipendente, sia addebitabile alla sola Ilva degli anni 1995-2011.

Comunque sia, saranno processi e sentenze a stabilire responsabilità. Non il “dagli all’untore” che si è scatenato nell’ultimo biennio. C’è chi, approfittando della debolezza infinita della politica, ha cercato all’Ilva un capro espiatorio per fare di Taranto la capitale della deindustrializzazione e dell’assistenzialismo italiani? Meglio vivere di risarcimenti e sussidi statali piuttosto che di lavoro? Chissà. Però i fatti sono quelli che abbiamo raccontato nell’ultimo numero di Tempi.

Oggi, febbraio 2014, dopo due anni di folle conflitto istituzionale tra poteri dello Stato che avrebbero dovuto collaborare per trovare soluzioni invece che produrre caos, distruzione di posti di lavoro e fatale aggressione a un asset strategico per l’Italia, l’Ilva è un’azienda privata trasformata per decreto Letta in azienda parastatale. Un’azienda che, secondo le richieste del commissario Bondi che il parlamento si accinge ad approvare, dovrebbe essere ricapitalizzata con i soldi dei contribuenti e con i soldi dei Riva (oltre 1,2 miliardi di euro) bloccati dalla procura di Milano su tutt’altra partita. Ovvero soldi dei Riva messi sotto “sequestro cautelativo” per supposta (e non ancora sentenziata) evasione fiscale, ma che verrebbero utilizzati per finanziare la capitalizzazione di un’azienda dalla quale i Riva sono stati messi alla porta.

Non occorre essere principi del foro per dubitare che un siffatto “mostro giuridico” possa tenere all’esame di corti penali e civili. Non bastando tutto ciò, sugli impianti Ilva di Taranto vige a tutt’oggi una procedura di asfissiante “controllo di legalità”, con periti giudiziari, Carabinieri, Guardia di finanza che vanno e vengono, impegnati a registrare e a prendere provvedimenti ad ogni benché minima violazione delle procedure di lavoro e di risanamento ambientale stabilite.

Come si fa a lavorare in condizioni così? Chi si arrischierebbe a gestire sul serio un’impresa così? Quale banca o quale investitore metterebbe soldi in un’azienda così?

@LuigiAmicone

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5 commenti

  1. luigi lupo

    Il tuttologo Amicone, nella sua veste di esperto di giustizia, attribuisce i guai dell’Ilva esclusivamente ai magistrati. Dunque una mattina si sono svegliati e vedendo le ciminiere hanno detto, meglio far chiudere tutto così respiriamo aria buona e chissenefrega dell’acciao e dei posti di lavoro, loro mica vivono assieme agli operai.
    E i Riva hanno delle colpe? il tuttologo ci lascia con il dubbio che anche loro, come un noto il truffatore fiscale, siano delle vittime.

  2. blues188

    C’è una sola ed unica riforma per la Giustizia, unica valida tra tutte le altre panacee: i giudici devono essere eletti dal popolo. Invece lo Stato continua ad assumere (guarda caso sempre dallo stesso territorio..) con concorsi che sono ridicoli ed effettuati poco seriamente. Assunzioni che vengono fatte e sono basate su titoli di studi, i quali (sempre dal solito territorio) vengono regalati con tanta generosità (tanto poi lo Stato li assume). In tal modo si entra in un posto di lavoro per il quale non si deve rendere conto a nessuno. E tanti giudici non hanno voglia di lavorare, quando non sono obnubilati dall’ideologia. Nessuno chiede loro un minimo di efficienza, perché esiste questa mentalità dell’accettare senza critiche chi arriva dal Sud. Se invece, come proposto, si dovesse rendere conto alla popolazione, sicuramente le cose andrebbero meglio e non vedremmo gente che sta in galera preventiva per anni, salvo poi essere riconosciuti innocenti (quando lo sono). Non vedremmo uscire di galera delinquenti incalliti con lunghissimi percorsi delinquenziali.

    1. pallo

      che buffoni che siete … la situazione dell’Ilva è molto complessa e frutto di anni e anni di “pasticci” !!

      Ma una cosa è sicura, la politica ha sempre accuratamente evitato di occuparsene se non per scambio voti e favori, naturalmente negli ultimi 20 anni di governo del vostro “amicone” SB e dei “fenomeni” della sinistra si è fatto ancora meno.

      Come al solito in Italia alla fine è la magistratura che agisce magari sbagliando ma agisce visto che la politica se ne lava sempre le mani !!!

    2. mario

      Blues, lei è un ignorante razzista.
      Spero che il suo commento sia un fake che insozza il sito di Tempi

    3. luigi lupo

      Prendiamo un magistrato a caso, la Boccassini.

      Berlusconi lo sappiamo tutti cosa ne pensa della Ilda la rossa.

      Quando ha coordinato le indagini sui mafiosi in Lombardia, il ministro Maroni, dopo la retata che aveva portato a numerosi arresti, alla sera era in televisione a pavoneggiarsi, senza avere il coraggio di nominarla.

      Blues, anche per la Boccassini vale che non hanno voglia di lavorare? Tenga presente che si è occupata di Berlusconi e dei mafiosi non in anni diversi ma nello stesso periodo.

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