Riviera di Ponente, dicembre. Quando venendo da Novara l’A26 sbuca in Liguria il cielo è di un grigio compatto, una coltre opaca che il mare riflette in un freddo colore acciaio. Anche la striscia d’asfalto che va verso Ventimiglia è grigia e opaca, stranamente solitaria in un pomeriggio feriale. In questa luce appare spenta anche la vegetazione sulle colline, e giù nei paesi rivieraschi ti immagini, sulle spiagge, le fila di cabine deserte e gli stabilimenti sbarrati – nel silenzio solo lo sbattere secco di un cavo contro il pennone che d’estate regge la bandiera.
L’autostrada prosegue larga e vuota: Finale Ligure, Alassio, Imperia. Sono passate le tre del pomeriggio, e se fosse sereno il sole l’avrei quasi di fronte, già calante, a Ovest. Ma, verso Sanremo, cos’è, forse un impercettibile gioco di venti in quota? Il cielo improvvisamente si muove in una gamma cangiante di grigi, dal piombo a un bianco luminescente che annuncia quasi, ma non ancora, il sole. Da Nord convergono grosse nuvole cariche di pioggia, o forse di un oscuro furore: si muovono sghembe, a falcate minacciose, ma pare incontrino a respingerle un muro invisibile di aria più dolce, il tiepido respiro del Mediterraneo.
Le nuvole dal Nord, gonfie di freddo e di vento, si affollano, si affastellano sul limite del mare come falangi di un esercito che non si possa tollerare sconfitto. Ma il fiato pacifico del Mediterraneo resiste, e qui e là crepe di luce, bagliori radiosi indicano lo scontrarsi delle correnti; l’incalzare delle corazzate nere e l’agile soffio di vento, dal mare, che ne scompone il fronte cieco. E che gran cielo c’è ora, sopra il confine; come nella inquieta attesa del volgere di una incerta battaglia.
Verso Nizza, a una curva dell’autostrada, il sole infine buca la cortina di piombo con i suoi raggi. Lui, non si vede ancora, ma anche le nuvole più dense da quelle lame di luce sono trasfigurate, in uno sciabolio di argenti; come se spade di arcangeli guerrieri si incrociassero qui sopra.
E io accosto e mi fermo, solo per guardare questo cielo. Che mi commuove molto di più di un serafico azzurro. Lo scontro silenzioso mi riguarda: ripiegarsi in sè o combattere, resistere o lasciarsi andare, e anche sperare o pigramente, con leggerezza quasi, disperare, non è affar nostro, di tutti i giorni?
Come in uno specchio, in un pomeriggio di dicembre, appena oltre il confine, lo spingersi e l’affrontarsi del Mediterraneo e dell’inverno, per loro natura nemici. Il tramonto cala in uno strenuo riverbero di sole. Poi è la notte, e gli eserciti accampati sprofondano nel buio. Resta nell’aria solo un vento irrequieto, come una scolta di guardia alle fortezze opache lassù – in questo fiero cielo da battaglia.
02/2013