L’emergenza educativa è sparita? Nel frattempo sono sparite le paritarie
Articolo tratto dal numero di febbraio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Quindici anni fa veniva diffuso nel nostro paese un appello intitolato “Se ci fosse una educazione del popolo tutti starebbero meglio”. Era firmato da molte personalità importanti del mondo culturale e sociale italiano: c’erano Giancarlo Cesana, Luigi Amicone, Renato Farina e Luisa Ribolzi – che trovate in questo numero di Tempi – Pupi Avati, Giuseppe Guzzetti, Stefano Zamagni, Giorgio Vittadini e direttori di giornali come Maurizio Belpietro, Giuliano Ferrara, Ferruccio De Bortoli. Ecco cosa c’era scritto.
«L’Italia è attraversata da una grande emergenza. Non è innanzitutto quella politica e neppure quella economica – a cui tutti, dalla destra alla sinistra, legano la possibilità di “ripresa” del Paese –, ma qualcosa da cui dipendono anche la politica e l’economia. Si chiama “educazione”. Riguarda ciascuno di noi, ad ogni età, perché attraverso l’educazione si costruisce la persona, e quindi la società.
Non è solo un problema di istruzione o di avviamento al lavoro. Sta accadendo una cosa che non era mai accaduta prima: è in crisi la capacità di una generazione di adulti di educare i propri figli. Per anni dai nuovi pulpiti – scuole e università, giornali e televisioni – si è predicato che la libertà è assenza di legami e di storia, che si può diventare grandi senza appartenere a niente e a nessuno, seguendo semplicemente il proprio gusto o piacere.
È diventato normale pensare che tutto è uguale, che nulla in fondo ha valore se non i soldi, il potere e la posizione sociale. Si vive come se la verità non esistesse, come se il desiderio di felicità di cui è fatto il cuore dell’uomo fosse destinato a rimanere senza risposta. È stata negata la realtà, la speranza di un significato positivo della vita, e per questo rischia di crescere una generazione di ragazzi che si sentono orfani, senza padri e senza maestri, costretti a camminare come sulle sabbie mobili, bloccati di fronte alla vita, annoiati e a volte violenti, comunque in balia delle mode e del potere. Ma la loro noia è figlia della nostra, la loro incertezza è figlia di una cultura che ha sistematicamente demolito le condizioni e i luoghi stessi dell’educazione: la famiglia, la scuola, la Chiesa.
Educare, cioè introdurre alla realtà e al suo significato, mettendo a frutto il patrimonio che viene dalla nostra tradizione culturale, è possibile e necessario, ed è una responsabilità di tutti. Occorrono maestri, e ce ne sono, che consegnino questa tradizione alla libertà dei ragazzi, che li accompagnino in una verifica piena di ragioni, che insegnino loro a stimare ed amare se stessi e le cose. Perché l’educazione comporta un rischio ed è sempre un rapporto tra due libertà. È la strada sintetizzata in un libro cruciale, nato dall’intelligenza e dall’esperienza educativa di don Luigi Giussani: Il rischio educativo.
Tutti parlano di capitale umano e di educazione, ci sembra fondamentale farlo a partire da una risposta concreta, praticata, possibile, viva. Non è solo una questione di scuola o di addetti ai lavori: lanciamo un appello a tutti, a chiunque abbia a cuore il bene del nostro popolo. Ne va del nostro futuro».
Quindici anni dopo, questa “emergenza educativa” è forse sparita? Ad essere sparite, in realtà, sono molte scuole paritarie, nate e sostenute da chi avvertiva quell’urgenza.
Ma se sono scomparse non è solo perché erano fatte male (anche) o perché lo Stato le ha danneggiate (anche, e alla grande) o perché non c’è nessuna politica che le tuteli (quanti articoli abbiamo scritto su questo?). Se sono in difficoltà è anche perché quell’urgenza s’è fatta intermittente e oggi riecheggia solo nei dibattiti tra esperti.
Da quando in qua l’educazione è affare degli specialisti? Se lo dovessimo dire con uno slogan, lo diremmo così: “Meno convegni sul costo standard, più popolo”.
È da un popolo che sente l’emergenza educativa che nascono scuole libere; da quelle “perfette” ci caviamo le medaglie per la classifica Eduscopio. Se questo popolo non torna a farsi sentire, la fine è segnata: si chiama scuolabrodo.
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