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Erano uomini normali, come tutti gli altri, i ventuno martiri copti assassinati il 15 febbraio 2015 sulla spiaggia di Sirte dai tagliagole dello Stato islamico. Erano padri, mariti, fratelli, figli come chiunque altro. Sedici di loro erano nati e vissuti tutta la loro vita in un vicolo dello stesso villaggio, El-Or, nell’Alto Egitto. Lavoravano i campi nelle povere jellabiya grigie. Avevano fede, certo, ma come dice il loro vescovo, era la stessa di tutti gli altri. Amavano le proprie famiglie e per sbarcare il lunario avevano deciso di andare in Libia a lavorare e qui erano stati rapiti dai jihadisti e giustiziati a favore di telecamera.
Il loro martirologio ufficiale è tanto scarno e banale quanto le informazioni sulla loro vita. Magued? «Onesto». Ezzat? «Gentile». Malak? «Pregava». Luka? «Pacifico». Mina? «Silenzioso». Perfino i miracoli che vengono loro attribuiti dalle famiglie di El-Or non hanno nulla di spettacolare: una frattura s...
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