La preghiera del mattino
Le tragedie dei migranti interessano solo se utili in chiave anti Meloni
Sulla Nuova Bussola quotidiana Anna Bono scrive: «La nave era partita da Tobruk, Libia, diretta verso le coste italiane. Era stata avvistata in acque internazionali da un aereo di Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Le autorità greche si erano quindi messe più volte in contatto con l’imbarcazione via satellite offrendo aiuto che però è stato rifiutato. Poi, alcune ore dopo l’ultimo contatto, qualcuno dalla nave ha chiamato la guardia costiera greca e ha detto che il motore dell’imbarcazione non funzionava bene. Alarm Phone, l’Ong che dal 2014 fornisce assistenza agli emigranti illegali che attraversano il Mediterraneo, sostiene di aver saputo da alcuni passeggeri che il capitano aveva lasciato la nave a bordo di una piccola barca. Infine, verso le 2 di notte, l’imbarcazione ha incominciato a oscillare e poi si è ribaltata, affondando in pochi minuti. “Noi vogliamo andare in Italia” è stata la riposta a tutte le offerte di aiuto. “Era una barca da pesca piena zeppa di gente. Hanno rifiutato la nostra assistenza perché volevano andare in Italia”, ha dichiarato ai mass media il portavoce della guardia costiera greca, Nikos Alexiou, “siamo rimasti vicino a loro per aiutarli in caso di necessità, ma hanno sempre rifiutato”. Alarm Phone, che invece accusa di negligenza la guardia costiera, ritiene che in effetti gli emigranti temevano di avere a che fare con le autorità greche, consapevoli delle “orribili e sistematiche pratiche di respingimento del paese”».
L’ultima strage di migranti nei pressi del Peloponneso ci ricorda come il soccorso a chi è in pericolo in mare sia un dovere a cui nessuno può e deve sottrarsi, ed è giusto dunque chiedere alle autorità greche di rendere conto del loro comportamento durante questa recente tremenda tragedia. Non va scordata, però, come la principale responsabilità di quel che è avvenuto sia delle organizzazioni schiavistiche che con ricchi profitti trasportano disperati dalle coste sud a quelle europee del Mediterraneo: organizzazioni schiavistiche con le quali le pur lodevoli organizzazioni di volontariato in soccorso dei migranti tengono rapporti poco trasparenti.
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Su Formiche Francesco De Palo scrive: «Sul dossier Tunisia gli Stati Uniti condividono la preoccupazione di Italia e Ue, al contempo apprezzano il lavoro svolto fino a questo momento da Giorgia Meloni. Le parole del segretario di Stato Usa Antony Blinken, impegnato nel vertice con il ministro degli Esteri Antonio Tajani, offrono una spinta al viaggio strutturato di domenica scorsa a Tunisi e aggiungono un altro elemento al dibattito in seno al Fondo monetario internazionale per la concessione della tranche di prestiti che impedisca il default del paese».
Il fronte dell’isteria antimeloniana così solerte in larghe aree della nostra stampa, ha scritto che Giorgia Meloni non ha concluso niente in Tunisia. Poi quando la premier italiana è andata a Tunisi con Ursula von der Leyen e Mark Rutte ha tuonato sul mezzo insuccesso. Alla fine quando a sostegno della Meloni è arrivato anche il segretario di Stato americano, hanno finito per stare zitti.
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Su Huffington Post Italia Pierluigi Battista scrive: «Non capisco perché Luigi Manconi, che ne scrive su Repubblica, omette il nome della Cina tra i paesi autoritari con cui è problematico intrattenere scambi commerciali ed economici. Non capisco perché non si debba essere coerenti, quando si parla di diritti umani calpestati. Ora si sottolineano, giustamente, le nefandezze del regime della Tunisia. Solo ora, e non è difficile capire il motivo».
È un peccato che anche una persona così intelligentemente aperta come Manconi non riesca a resistere alla mobilitazione antimeloniana e a quel gioco, opportunamente censurato da Battista, nel quale uno Stato diventa così autoritario da obbligarci a evitare ogni rapporto solo quando ha una qualche relazione con il nuovo governo italiano. Dietro a questo atteggiamento, oltre al fondamentale isterismo antimeloniano, vi sono anche elaborazioni poco meditate sia sulla fine del mondo westfaliano (con la convinzione, cioè, che l’ordine globale non debba tener conto degli Stati così come sono e non come si vorrebbe che fossero), sia sull’idea che ormai tutto si riduca alla lotta del mondo democratico contro quello autoritario: questa seconda è un’impostazione più ragionevole che non tiene conto però del fatto che certe interpretazioni unilateraliste delle relazioni internazionali spingono democrazie come quelle brasiliana e sudafricana a coordinarsi in senso anti “occidentale”.
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Sugli Stati generali Jacopo Tondelli scrive: «Pochi giorni fa è naufragata al largo di Pylos, nel Peloponneso, una barca malconcia sulla quale viaggiavano stipati 750 migranti. Il passare delle ore annulla le speranze, i morti sono diverse centinaia, probabilmente 600. La più grande strage di migranti nel Mediterraneo è già finita in archivio, sul banco degli imputati stavolta c’è la Guardia costiera greca, e quindi ci interessa anche meno del solito. Alla prossima riunione europea si dirà “mai più” e si penserà, in realtà, “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Ad avercene uno, si intende».
A una persona sensibile e intelligente come Jacopo Tondelli non è sfuggita una certa indifferenza verso la strage avvenuta al largo di Pylos da parte di tutti coloro che si erano indignati qualche mese fa per la tragedia di Cutro. Dietro simili atteggiamenti si può leggere la voglia di strumentalizzare qualsiasi avvenimento contro Giorgia Meloni, voglia che si accompagna alla noia per quel che non riguarda la sacra lotta all’inquilina di Palazzo Chigi. A destra non mancano posizioni rozze, talvolta con anche qualche tentazione razzista, però è difficile sottovalutare il lavoro fatto da Palazzo Chigi con Ursula von der Leyen, Olaf Scholz, Emmanuel Macron e Antony Blinken per trovare soluzioni. In questo momento internazionale sarebbe utile e auspicabile che la sinistra all’opposizione (o almeno una parte di essa) fosse puntuale e non demagogica, e insieme pienamente impegnata sulle scelte chiaramente d’interesse nazionale. Alla fine un buon sistema politico ha bisogno per funzionare anche di una buona opposizione.
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