Con le sentenze n. 300 e 301 del 2003, la Corte costituzionale si è pronunciata in materia di fondazioni bancarie in seguito a un ricorso delle Regioni e del Tar Lazio contro l’articolo 11 della legge finanziaria per il 2002. In sintesi, l’art. 11 introduce per le fondazioni: l’obbligio di esercitare la propria attività esclusivamente all’interno di una serie di settori “ammessi”, il cui elenco è modificabile dal ministro del Tesoro; l’obbilgo di comporre i propri organi di indirizzo con una “prevalente e qualificata rappresentanza degli enti locali”; ulteriori norme volte ad impedire conflitti d’interessi tra la qualifica di membro del direttivo di una fondazione e di amministratore in aziende bancarie, finanziarie o assicurative, ridefinendo anche per le fondazioni la nozione di partecipazione di controllo su tali aziende. L’effetto pratico del pronunciamento della Corte è la vittoria su tutta la linea delle fondazioni bancarie: salta la prevalenza degli enti locali nella composizione degli organi; salta il potere di delegificazione del ministro del Tesoro sui settori ammessi; salta l’estensione del concetto di controllo e dunque l’estensione del conflitto d’interessi; saltano i poteri del ministro sulla composizione degli organi di indirizzo. Ma l’effetto culturale è ancora più rilevante: il pronunciamento delle Corte rappresenta una grande affermazione della “libertà sociale”. Oltre a ribadire la natura privata delle fondazioni bancarie, per la prima volta cita espressamente il principio della sussidiarietà orizzontale (art. 118 della Costituzione) come principio regolatore della materia. Banche e fondazioni hanno storicamente un punto in comune: entrambi sono soggetti decisivi per lo sviluppo economico del Paese. Convergenza di scopo che però non può tradursi in forma di proprietà di società bancarie da parte delle fondazioni. L’attuale crisi dell’economia italiana dimostra che le privatizzazioni delle banche e la dismissione delle quote di proprietà da parte delle fondazioni ha concentrato il potere sulle aziende di credito nelle mani un sempre più ristretto numero di azionisti. Con effetti positivi sulla concorrenzialità, ma a volte disastrosi sugli assetti di governance proprietaria. In questo senso le fondazioni, concentrando la propria attività sui settori di valore sociale aggiunto (es. formazione, public utilities), potrebbero essere la soluzione all’esigenza delle banche di tornare ad essere espressione di interessi collettivi e “popolari”.
Dall’intervento di Andrea Simoncini, docente di Diritto Costituzionale, Università di Macerata.