
La fecondità degli immigrati e altre mezze bugie che non fermeranno la morte demografica del nostro paese
Lo sapevate che in Italia gli ultranovantacinquenni sono circa 100 mila, ma nel 2065 saranno la bellezza di 1 milione e 258 mila? Che la popolazione residente in Italia non supererà mai i 62,1 milioni, dopodiché scenderà fino a essere, nel 2065, la stessa di oggi, cioè 59,4 milioni, ma con la differenza che oggi meno di 1 cittadino su 10 è straniero, mentre nel futuro lo sarà 1 su 5? Lo sapevate che la famosa alta fecondità degli immigrati è un mito, considerato che nell’arco di appena cinque anni il numero di figli per donna fra le straniere residenti in Italia è sceso da 2,5 a 2,1? Che da più di un decennio il numero degli over 65 ha superato quello degli under 20 e che nel 2027 gli ultraottantenni saranno più numerosi dei residenti italiani sotto i 10 anni di età? E che in dieci anni (fra il 2001 e il 2011) la classe d’età degli attuali 25-29enni italiani ha perso 30 mila unità a causa dell’emigrazione dei cervelli e delle braccia giovani?
Queste e altre poco incoraggianti cose ancora sapreste se aveste partecipato al piccolo incontro tenuto dal demografo Gian Carlo Blangiardo, ordinario di demografia all’Università di Milano-Bicocca, svoltosi durante l’ultimo Meeting di Rimini presso lo stand del Movimento per la Vita. Uno di quegli incontri di nicchia che sono una specialità della kermesse riminese, fuori dal programma ufficiale, ma ricchi e stimolanti come gli altri.
Quel pomeriggio Blangiardo ha parlato e mostrato powerpoint spiegando altre cose ancora. Ha puntualizzato che in Italia dagli anni Novanta il saldo naturale, cioè la differenza fra le nascite e i decessi, continua ad essere negativo, e l’afflusso di immigrati non ha cambiato il panorama, perché il numero di figli che mettono al mondo annualmente e va a sommarsi a quelli generati dagli italiani non è sufficiente a coprire il numero dei morti. La popolazione continua a crescere leggermente grazie all’immigrazione di adulti, ma fatalmente l’età media aumenta (non lo ha detto Blangiardo, ma secondo statistiche americane l’Italia è il terzo paese più anziano del mondo dopo il Giappone e la Germania). Ha esemplificato l’effetto che l’invecchiamento della popolazione avrà sulla sostenibilità finanziaria della spesa sociale evocando i 7 miliardi di euro che costerebbe il solo assegno di accompagnamento per il milione e 200 mila ultranovantacinquenni nel 2065.
Le affermazioni più forti hanno riguardato il contributo degli stranieri alla sostenibilità del welfare e del sistema pensionistico italiani, che secondo Blangiardo non rappresenta affatto la panacea che molti dicono ma solo un rinvio del problema che si presenterà aggravato, e la sottovalutazione dell’emigrazione giovanile, quando «si può stimare che la “perdita netta” di giovani italiani nell’arco del decennio 2001-2011 vada ben oltre le 100 mila unità». Per tutti questi motivi abbiamo voluto approfondire con Gian Carlo Blangiardo i vari argomenti.
Professore, pare di capire che il saldo migratorio, che in Italia è positivo dal 1991, non sia sufficiente a invertire l’invecchiamento della popolazione italiana. È così?
Sì, è così. Il fenomeno dell’immigrazione è rappresentato da immigrati che nella grandissima maggioranza arrivano qui già adulti. Trascorrono alcuni anni e vanno ad aumentare il numero degli anziani. Non fanno tutto il percorso, da bambino ad adolescente a giovane, poi ad adulto e infine ad anziano, che fa chi nasce in Italia. Danno una boccata di ossigeno al ringiovanimento della popolazione nel momento in cui arrivano, ma poi, col passar del tempo se la riprendono quando diventano a loro volta anziani.
Si dice che gli immigrati hanno un tasso di natalità più alto degli italiani, mettono al mondo più bambini, e questo dovrebbe contribuire al ringiovanimento della nostra popolazione più del semplice arrivo di immigrati. Lei però afferma che la loro fertilità diminuisce rapidamente quando sono in Italia? In che misura, e perché?
Gli immigrati danno un contributo in termini di natalità che è importante, ma che non rappresenta una soluzione miracolosa ai nostri problemi. I nati da donne straniere sono cresciuti rapidamente dagli anni Novanta ad oggi, da 10 mila sono passati ai circa 80 mila attuali. Si sono stabilizzati attorno a questa cifra annua, magari cresceranno un po’ in futuro ma solo perché crescerà la popolazione straniera totale. Una volta esaurita la fase dei grandi ricongiungimenti familiari al seguito delle sanatorie che li permettevano, gli immigrati piuttosto rapidamente sono passati da livelli di fecondità largamente superiori alla soglia di ricambio generazionale a livelli che permettono appena il ricambio generazionale. Nelle grandi città italiane, dove è più difficile gestire la presenza di figli, l’indice di fecondità della popolazione straniera è largamente al di sotto del tasso di ricambio generazionale. Questo avviene per il semplice motivo che le coppie straniere incontrano le stesse difficoltà che incontrano le coppie italiane ad avere figli, e spesso in forma ancora più esasperata.
Ma è vero che la loro la fecondità è di 2,1 figli per donna mentre fra gli italiani è 1,4?
È 1,3 per le italiane per l’esattezza, e 2,1 per le donne straniere. Però non bisogna dimenticare che appena cinque anni fa per queste ultime era 2,5. Nell’arco di poco tempo c’è stata una consistente riduzione. In certe realtà locali il dato è inferiore ai 2 figli per donna anche fra gli stranieri: Milano, Roma, Napoli, Palermo. Il disagio di essere genitore in emigrazione è un qualcosa di chiaramente tangibile.
Il saldo naturale in Italia attualmente è negativo, e lo è da più di vent’anni nonostante l’apporto di nascite degli stranieri. Quando tornerà – se mai tornerà – ad essere positivo?
La domanda mi dà l’opportunità di ricordare che il 2013 è stato un anno record nella storia della demografia dell’Italia unita: non c’è mai stato un anno con un numero di nascite così basso. In tutto sono state 513 mila. E la proiezione dei dati dei primi tre mesi del 2014 promette un quasi 10 per cento in meno per il dato finale di quest’anno.
Quindi il saldo naturale continuerà a restare negativo e sarà compensato solo dall’immigrazione?
Sicuramente, per un motivo molto semplice. Essendo una nazione sempre più vecchia, non solo le nascite non crescono, ma le morti aumentano. Il numero totale dei morti, che oggi è di circa 600 mila all’anno, è destinato in futuro, a causa della struttura della popolazione, a salire a 700-750 mila.
La popolazione residente in Francia è di poco superiore a quella italiana, eppure lì i nati sono 750 mila all’anno, anziché 500 mila come da noi. Perché c’è questa differenza del 50 per cento?
Perché i francesi prendono sul serio la demografia. È un’eredità storica, derivante dalla necessità di affrontare ad armi pari la Germania con cui si trovavano sempre in conflitto. Comunque sia, hanno sempre fatto più attenzione di noi alle dinamiche demografiche e, dove necessario, agli interventi a favore della natalità, per raddrizzare certe tendenze. La Francia è solita prendere misure economiche, che costano, per sostenere la natalità. Laicamente, non si preoccupa se le coppie sono sposate o no, ma fornisce supporti economici perché vengano messi al mondo dei figli. Loro eliminano le cause che in Italia impediscono di far nascere i figli che si vorrebbero avere. Perché, non dimentichiamolo, in Italia le inchieste ci dicono che le donne vorrebbero 2,19 figli a testa, ma nella realtà ne hanno solo 1,3.
Lei sostiene che non saranno gli stranieri a risolvere il problema pensionistico italiano, ma in un certo lasso di tempo diventeranno parte del problema. Su che dati si basa?
Chi dice “abbiamo rinunciato a 100 mila bambini ma abbiamo imbarcato 100 mila immigrati e alla fine il totale quadra”, non ha capito come funziona la demografia. La sostenibilità del welfare dipende dal rapporto fra anziani e attivi. Quanto più si sbilancia verso gli anziani, tanto maggiore sarà la quota di Pil che va a finire in pensioni, nella sanità, eccetera. La fetta di welfare che vanno a mangiarsi gli anziani va a raddoppiare. È sbagliato fare la divisione fra quanti sono oggi gli stranieri che lavorano e quelli che sono in pensione, per concludere che il carico è bassissimo e tutto va bene: bisogna ragionare guardando al futuro. Devo mettere in conto che quelli che oggi sono lavoratori, alla fine saranno soggetti che beneficeranno delle prestazioni pensionistiche e sanitarie. Se noi prendiamo in considerazione gli anni di vita futura della popolazione, che per l’Italia sono 2,4 miliardi, e calcoliamo quanti di questi anni saranno spesi in formazione, quanti lavorando e quanti a carico del sistema, scopriamo che l’“indice di carico” degli immigrati, cioè la loro pressione sul welfare nel corso di tutta la vita, è identica a quella degli italiani. Non abbassano il valore complessivo, danno solo una boccata d’ossigeno per un certo numero di anni, che poi pagheremo successivamente. Ci sono modelli matematici che dimostrano che c’è un beneficio di una ventina d’anni per la sostenibilità del welfare. Se io, in teoria, tolgo di mezzo 200 mila nascite e ci metto 200 mila immigrati trentenni, succede che il carico per una ventina di anni si abbassa, poi nel momento in cui la popolazione diventa stazionaria, il carico è più alto di quello che sarebbe stato senza l’arrivo degli immigrati al posto dei nati.
Come influisce la crisi demografica sull’economia?
Non sono un economista, ma è intuitivo che una popolazione che cresce è una popolazione che esprime una domanda di beni, quella domanda che oggi non c’è e tutti invocano. Se fossimo una popolazione in aumento, come accadeva negli anni del miracolo economico, avremmo una spinta alla crescita economica attraverso una serie di consumi che permettono alla popolazione di crescere e andare avanti. Nel momento in cui la popolazione invecchia, l’economia ne risente perché l’anziano fa manutenzione, non fa investimento. Allora si spera di fare una compensazione attraverso gli immigrati e i loro consumi. Ma è gente con redditi che viaggiano attorno agli 800 euro mensili, una parte dei quali mandano ai paesi di origine: non hanno tanta disponibilità al consumo. Quando si dice “gli immigrati contribuiscono un tot al Pil”, io resto un attimo scettico, perché mi chiedo come facciano con 800 euro al mese a dare questi grandi contributi al Pil, al gettito fiscale, eccetera. Mi sembrano discorsi demagogici.
Anche i dati relativi ai giovani che lei ha presentato sono preoccupanti. Sembra che ci siano classi d’età che scompaiono.
Abbiamo due problemi. Il primo è che le persone che raggiungono l’età per essere definiti giovani provengono da coorti di nati che si sono via via ridotte. Il totale della popolazione giovane risente di una immissione di forze fresche che nel tempo è andata riducendosi. Il secondo, che viene poco considerato e molto sottovalutato, è l’emigrazione giovanile. Non è più quella delle valigie di cartone, di 100 o di 60 anni fa, ma un’emigrazione di giovani talenti che si spostano perché altrove ci sono condizioni per ottenere maggiore gratificazione da tanti punti di vista. Stiamo perdendo cervelli, non valorizziamo i nostri giovani e loro se ne vanno.
A Rimini lei ha detto che chiuso dentro a un cassetto della presidenza del Consiglio c’è un Piano per la Famiglia. Cosa c’è scritto in questo piano? E perché lei dice che alcuni suoi provvedimenti sono necessari ma impopolari?
Il Piano contiene tante cose. Fu steso da una commissione creata sotto il governo Berlusconi, ma si trattò di un progetto condiviso da tutti, c’erano dentro anche i sindacati. Si lavorò dal 2009 al 2012, ne facevo parte anch’io. Il documento è stato presentato dal ministro Riccardi e approvato dal Consiglio dei ministri al tempo del governo Monti. Poi l’hanno congelato ed è finita lì. Contiene proposte di natura economico-fiscale e altre a costo zero o quasi. Introdurre il fattore famiglia vorrebbe dire tirare fuori 16 miliardi di euro: se non ce li abbiamo, non si può fare. Però ci sono anche altre cose che sono più abbordabili: favorire le strutture per gli asili nido dei bambini, un clima culturale più favorevole alle famiglie che hanno figli, iniziative che rafforzino la compatibilità fra maternità e lavoro: ci sono misure che non costano molto e che varrebbe la pena di riconsiderare.
Articoli correlati
32 commenti
I commenti sono chiusi.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!
I bambini non portano niente di buono, infatti i paesi più prolifici sono anche tra i più poveri. Invece che per far aumentare i bambini in Italia ci sarebbe da impegnarsi con ogni mezzo di farne nascere di meno in Africa.
“I bambini non portano niente di buono”… E come diceva quel tale, i vecchi sono insopportabili, bisognerebbe ammazzarli quando nascono! Non so se si rende conto di quello che le è venuto spontaneo, Lena, ma è la frase più sciocca e più scioccante che mi sia capitato di leggere da molti, molti anni a questa parte,ma per cui non mi sento di complimentarmi con lei per questo record mondiale dall’epoca di Erode. Per evitarmi di compiangerla e evitarle di costringerla a riflettere sull’asserzione di globale idiozia da lei sparata sul conto dei bambini o nascituri in Italia e in Africa, la rimanderei all’asilo nido… Mi fermo all’asilo nido, ma lei non si lasci prendere dalla voglia di dire tutte le bambinate che le vengono in mente.
fin tanto che si tratta le persone come sudditi cosa si vuol creare di futuro, pure gli immigrati lo hanno capito.
Raider e Leo, ma state ancora a discutere voi due ? Comunque effettivamente basarsi su qualche episodio di illegalità mi pare poco per sparare a zero su un popolo come quello cinese che vanta una civiltà plurimillenaria e che ha avuto la disgrazia di essere bersaglio dell’avidità occidentale da qualche secolo. In paesi come l’Indonesia l’economia deve molto alla intraprendenza della comunità cinese che vanta una presenza di alcuni milioni di persone. Senza contare la presenza della Cina all’interno dei BRICS che speriamo diano un contributo forte alla de-dollarizzazione dell’economia mondiale.
A me ha sempre colpito delle comunità cinesi come, nonostante i frutti avvelenati dell’occidente che hanno infettato la Cina negli ultimi secoli (colonialismo, comunismo, capitalismo) e nonostante le conseguenti forti pressioni politiche e sociali subite nella madre patria, abbiano tutto sommato conservato un forte senso della famiglia “allargata” tipico della loro cultura confuciana.
Caro Alvise, capisco che lei, col suo magnifico nome veneziano, dati gli antichi legami col Catai, possa essere indotto a ritenere che io polemizzi con qualcuno che prende i dati, anzi, un dato, uno solo da me citato per portare un elemento concreto di riflessione e uscire dall’astrattezza e poi, scambia questo dato/campione o esempio eloquente per, nientemeno!, un’analisi; e anziché prendere l’esempio o il caso per quello che è, fa di esso una premessa per trarne conclusioni assurde, attribuendole a me! In tal modo, si può evitare di chiedere se, per restare a un esempio concreto, io ne so abbastanza, di Cina e cultura cinese, per fare un confronto con chi chi spara bestialità astronomiche a costo zero; e se, parlando con cognizione di causa, distinguo o confondo la Cina con l’immigrazione cinese e la cultura cinese con l’attuale proiezione globale di una Cina che non è vicina, sta condizionando l’economia mondiale come un qualunque Paese colonialista o potenza globale e insieme a altri, invade di prodotti (quasi sempre, di scarto, contraffatti, ovviamente, in peggio) i mercati internazionali e distrugge la nostra produzione industriale e agricola da quando quel tontolone (o furbacchione) di Clinton l’ammise nel G7 (allo scopo di farsi garantire il mastodontico debito americano: chiaro?).
Sulla situazione dei diritti umani, sullo sfruttamento delle manodopera, sulla repressione delle minoranze nazionali (Tibet) e religiose (dai Falun gong ai cristiani: per gli islamici il discorso è più complesso), sul rifiuto di mettere fine alle emissioni inquinanti, sull’aborto selettivo delle bambine (100 milioni di maschi cinesi che dovranno cercare conforto fra di loro o magari, in Occidente: e che faranno? Abortiranno anche in quel caso le femmine?): e mettiamoci pure il fatto che i cinesi, in effetti, razzisti lo sono davvero: nei loro musei di antropologia, i cinesi costituiscono un caso a sé dell’evoluzione umana, nulla a che spartire con l’Africa: lo sapeva? Mentre i loro generali pubblicano libri – best-seller da centinaia di milioni di copie – in cui teorizzano che, entro il 2030, la CIna supererà gli U.S.A. come super-potenza militare, essendo questo lo scopo di tutte le loro “aperture”: le basta?
Comunque la si pensi, la prego, Alvise, di non mettermi allo stesso livello di chi polemizza per partito preso e sulla base di un vittimismo risentito e vendicativo che non è la base migliore né per la pace nel mondo o in Italia o almeno, fra gli italiani, né per accogliere gente che sta facendo a pezzi la nostra economia: tutte cose che nulla hanno a che vedere con “qualche episodio di illegalità”, trattandosi di tendenze storiche e di scelte strategiche cui, in ossequio canino alle direttive Ue e onusiane, i nostri governanti, i nostri intellettuali, sistema del’informazione e industria culturale e dell’intrattenimento si piegano senza nemmeno obiettare.
Cito solo l’ultima frasee dell’intervista:
Però ci sono anche altre cose che sono più abbordabili: favorire le strutture per gli asili nido dei bambini, un clima culturale più favorevole alle famiglie che hanno figli, iniziative che rafforzino la compatibilità fra maternità e lavoro: ci sono misure che non costano molto e che varrebbe la pena di riconsiderare.
Tutte cose giuste, ma non più abbordabilidi altre, nel senso che sono tutte iniziative che costano, e che quindi non si sono fatte, non si fanno nè, temo, si faranno.
Una banalità, tanto per dirne una: in italia gli asili nido sono aperti dal 1 settembre al 31 luglio, quindi in qualche modo compatibili (ma non sempre) con impegni lavorativi dei genitori (tralascio discorsi sugli orari …). Ma già alla scuola materna i mesi di chiusura diventano due. Ed i genitori che lavoranbo? bè … si arringino. Ci si può sorprendere se una coppia , fatto un figlio, si guarda bene da fare il secondo?
E che mi avresti aggiunto, caro Topo-Nino ?
Ma che, te l’ha ordinato il medico di intervenire ?
O ti pagano un tanto a banalità ?
avrei aggiunto che anche le cose citate non sono affatto abbordabili, perché costano, e soldi non ce ne sono. O non se ne vogliono trovare. Ovvero, nessun intervento è gratis, e se non si trovano i soldi queste restano solo parole
La sfida alla globalizzazione (di cui la denatalità è una delle tante conseguenze nefaste) si potrà vincere assieme agli immigrati e non contro. Ma questo solo con una forte politica interna ed estera. Attualmente questo non è possibile essendo noi un Paese sotto occupazione gestito da dei maggiordomi parassiti.
“La sfida alla globalizzazione”… Se si è persa la sfida contro le frasi fatte, non si può sperare di vincere quella contro i fatti compiuti. Se si ritiene di poter combattere gli “effetti nefasti” della globalizzazione con l’immigrazione, che della globalizzazione è un effetto immediato e programmato (il sottosviluppo c’era anche prima: e notizia di qualche giorno fa, c’era più fame prima, nel Paesi del cosiddetto Terzo Mondo), è inutile, anzi, ipocrita prendersela “con i maggiordomi parassiti”, che la pensano e si esprimono esattamente allo stesso modo di chi li accusa di perdersi la “sfida in casa della globalizzazione.”
“Forte politica interna ed estera”… Ma da parte di chi, di un Paese che ha rinunciato alla sovranità politica ceduta una quota alla volta all’Ue in cambio dell’euro? Di un Paese che ha rinunciato alla sovranità sui propri confini e all’interno di essi? Un Paese in cui gli immigrati non hanno alcun motivo di integrarsi, essendo, questo, un Paese che invecchia rapidamente e in declino economico e produttivo, senza identità – che è frutto della storia, non di una Costituzione o un’altra -, mentre i sistemi di comunicazione e di trasporto in un mondo, giustappunto, globalizzato permettono agli immigrati di restare in contatto con le terre d’origine e la demografia segue un andamento inesorabile con un Paese sotto occupazione anche di un’immigrazione massiccia e crescente?
Ma che politica “forte”, estera o non estera, c’è da aspettarsi da un Paese che manda i suoi soldati in missioni di pace per conto dell’O.N.U. e quando non si fanno sfilare sotto il naso i missili che rafforzano gli hezbollah libanesi, incappano in incidenti che possono verificarsi anche nella difesa della legalità internazionale: dopodiché l’India pretende e ottiene dalle nostre autorità civili e militari due marò che saranno processati da un tribunale di quel Paese, mentre l’India rifiuta di consegnare alla giustizia i suoi soldati che, sotto l’egida dell’O.N.U., stupravano donne e bambine che erano chiamati a difendere: e malgrado questo, l’India trova italiani che, peggio dei maggiordomi che li governano, fanno il tifo per l’India?
Non facciamo finta che i problemi siano altri o di altri, dai “maggiordomi parassiti” in su e in giù. Il problema o se la cosa dà meno nell’occhio e altre parti delicate, uno dei problemi più seri è che c’è gente, tanti italiani che non amano il Paese che abbiamo conosciuto, chi ci ha abitato e lo ha fatto, nel bene e nel male, com’era fino a trenta anni fa. C’è gente che non sente di avere alcun obbligo, gratitudine, legame di memoria con gli italiani: e a cui non importa se l’Italia sarà popolata come una babele in cui comanderà o conterà di più chi avrà un’identità, una coscienza comune, politica, culturale, religiosa, perfino, forte o più forte. E non saremo noi, grazie a chi, come Leo, Filomena, Lena e tutti quelli che adorano il Pensiero Unico, la pensa e si esprime esattamente come i “maggiordomi parassiti”: e pensa che un ‘Italia senza italiani sarà più pacifica, evidentemente, più ricca, magari, più colta, naturalmente, più libera, soprattutto.
Visto che le piacciono da impazzire frasi fatte e luoghi comuni, per farle piacere le rispondo così :
“Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”
A riprova che non ha capito niente, ha risposto alle frasi fatte che le piacciono da matti con un’altra frase fatta che non ha alcuna relazione con l’argomento.
A riprova del fatto che lei ha capito meno di me (meno di niente quindi) non ha capito la frase fatta da me riportata ha molto a che vedere con l’argomentom non ha capito di essere funzionale alla globalizzazione e di nutrirsi di quel pensiero unico di cui le è figlio ed inconscio rappresentante.
Comunque non si preoccupi. Un piatto di riso alla cantonese per lei ci sarà sempre. Magari servito da quegli italiani che nel mio quartiere lavorano (felici) per la locale gastronomia cinese.
L’inconscio rappresentante del riso alla cantonese lo lascio fare a lei, che si ingozza di frasi fatte al servizio della globalizzazione che le piace più della gastronomia cinese, con tutte le contraffazioni, alimentari e non solo, che la Cina esporta in tutto il mondo insieme, come si sa, ai diritti dei lavoratori, sottopagati e sfruttati per un pugno di riso alla cantonese.
Il fatto che il proverbio fosse cinese non basta, era noto anche da prima della globalizzazione della mancanza di diritti con cui la Cina sta distruggendo la concorrenza in cambio di un piatto di riso come piace a lei, L’inconscio rappresentante del riso alla cantonese lo lascio fare a lei, che si ingozza di frasi fatte al servizio della globalizzazione che le piace più della gastronomia cinese, con tutte le contraffazioni, alimentari e non solo, che la Cina esporta in tutto il mondo insieme, ne sarà cosciente pure lei, Leo, ai diritti dei lavoratori, sottopagati e sfruttati per un pugno di riso alla cantonese.
La capisco sa ? Al riso alla cantonese è meglio il prosciutto che ha sugli occhi. Lo mangi, così potrà finalmente vedere le storture dell’occidente malato di cui lei è degno sottoprodotto e che ha corrotto mezzo mondo. Un tizio che si lamenta che non esiste più il buon mulino bianco di una volta e che, arrogandosi il diritto di misurare tutto e tutti con la propria stretta misura, si schifa del nuovo non cogliendone le potenzialità e la unicità. Con anti-globalizzatori come lei i globalizzatori possono dormire sonni tranquilli.
Che noia, ma prolificate voi. Invece di scrivere questi articoli, dedicatevi alla puericultura intensiva.
Io avrei prolificato volentieri, se avessi trovato una moglie con cui procreare. Purtroppo, non l’ho mai trovata.
Noia? Visto che lei combatte la noia dando non so se consigli o comandi tanto puerili – che, lo sta constatando, qualcuno che si prende cura di rimandarli di corsa dalla mammina che vuole disfarsene lo trovano -, potrebbe girare gli stessi consigli o ordini ai gay che, pensi un po’, vogliono procreare e ci mettono tutta l’intensività che fa al caso suo. Mentre rivolge inviti con tutto il garbo che ha e con tutta l’amabilità che non ha, le sfugge, buona o cattiva Lena, che lei si condanna a invecchiare annoiandosi da sola o con gente più vecchia, più annoiata e più sola di lei.
Le vedi tutte così le donne? Fatti un bell’esame di coscienza, va!
Questo vissuto che esprimi di disagio è tipico della nostra realtà italiana della provincia. In realtà all’estero alla presenza multietnicità nessuno ci fa più caso. Se vai per esempio a Londra, ma anche a Parigi sei circondato da persone provenienti da culture di tutti i tipi senza che questo tolga nulla alla specificità di ognuno, ma anzi costituisce elemento di arricchimento cultura, crocevia di culture diverse. E questo non da oggi ma da 30 anni a questa parte portando nelle grandi metropoli un clima di continuo fermento e stimolo alla crescita culturale.
I cambiamenti e le innovazioni specialmente nei luoghi chiusi in se stessi generano sempre la diffidenza che molto bene tu esprimi ma il futuro sarà sempre più multietnico ed è una sfida che dobbiamo accettare se non vogliamo isolarsi.
Filomena, la ritrovo sempre a suo agio con linguaggio e luoghi comuni che ammazzano sul nascere ogni senso critico: “il suo vissuto”, “specificità di ognuno”, “arricchimento di cultura”, “crocevia di culture diverse”, “fermento e stimolo alla crescita culturale”. Un tale assemblaggio e compostaggio di slogan toglie anche l voglia di rintuzzare uno per uno le cose cui lesi stessa, del resto, non dà retta: altrimenti, per es., lei si darebbe la pena di fare qualche esempio pratico di “arricchimento” e “crescita culturale” che vede solo lei. Io vedo sempre più donne velate dalla testa ai piedi, in giro; centomila imprese di cinesi sorte non si sa come, da noi, in cui voglio vedere quanti italiani saranno felici di lavorare, mentre l’ortofrutta sotto casa mia, dopo cinquantanni, ha chiuso, come ha chiuso un negozio di prodotti caseari e affettati tipici della mia Sicilia che tre ragazzi, dando fondo ai risparmi loro e dei loro cari, ha chiuso dopo sei mesi, soccombendo alle catene di supermercati Eurospin e Ldl (tedeschi: guarda caso) e Auchan e Carrefour (francesi: siamo terra di conquista) e ali loro prezzi stracciati e non le dico il bene che fanno a tavole e condotti gastrici le loro delikatessen con cui rimpiazzano i nostri con i loro formaggi e salumi, mentre in Sicilia stanno estirpando interi limoneti e aranceti perché, tanto, la Baviera e l’Assia e il Granducato del Lussemburgo hanno stabilito che occorre rimpiazzare il prodotto di casa nostra con quelli dell’Argentina, del Sudafrica e del Maghreb; laddove davanti ai centri commerciali stazionano giovanotti appena sbarcati e fuggiti dai centri d’identificazione che vogliono un euro per carrello e dopo che i soldi di Alfano finiranno e i nostri pure, non trovando a chi scroccare, che faranno, secondo lei? Sarebbe questa la “sfida” che lei riprende pari pari dalle labbra dolci come il miele – per lei; lo spero per lei – dei funzionari Ue?
Quale sarebbe, l'”arricchimento” che portano alla sua cultura, per esempio, le comunità islamiche che sfilano oggi, 21/9, contro l’Isis e come leggo sul “Corsera”, non trovano di meglio, nel dissociarsi dai loro correligionari un po’ scorbutici, che attaccarli in nome del rifiuto della “violenza della barbarie e delle crociate”? Non leggerà una sola volta il termine jihad, in questo sfoggio di cultura che fa il paio con le parole d’ordine che lei ripete a getto continuo: e che, le assicuro, lungi dal rassicurare chicchessia, confermano solo che l’opzione preferenziale, ideologica, pregiudiziale per una multietnicità che fagocita ogni pensierino debole per fare più spazio al Pensiero Unico, non fa che spianare la strada a chi, con la forza delle armi o del numero, del capitale sovranazionale, della macchina del consenso a stampa o multimediale, Internet compreso, promette di farci fare la stessa fine che vedo fare a giardini che dalle mie parti fiorivano da secoli. Nell'”isolamento”, si figuri, che a lei fa più paura che contemplate la prospettiva di un’Italia in cui gli italiani saranno una minoranza senza identità, senza storia, senza futuro e senza libertà.
@Raider
Lo scorso anno sono tornata a Londra dopo un paio d’anni e rispetto alla prima volta in cui ci sono stata, nel 1987 ho trovato una città veramente cosmopolita. Gli stranieri che risiedono in Gran Bretagna sono 7 milioni e mezzo su una popolazione totale di circa 56 milioni di persone; rappresentano dunque il 13 per cento. Ma il dato più significativo riguarda proprio Londra: i bianchi britannici (3,7 milioni) costituiscono il 45 % della popolazione, con un calo nettissimo rispetto al 58 % di soli dieci anni fa. Un milione e mezzo sono gli asiatici (18%), poco più di un milione (13%) gli afrocaraibici, circa un milione gli europei, con una presenza ampia di polacchi. Ai britannici rimane dunque la maggioranza relativa, ma l’insieme di tutti gli altri rappresenta quel caleidoscopio di popoli, di lingue e di religioni che oggi sembra l’anima più autentica di Londra. Infatti i dati confermano ciò che salta agli occhi, girando per la città, guardando le facce, ascoltando le voci. Le trasformazioni che emergono dal censimento sono anche altre: diminuiscono i matrimoni e il panorama delle religioni si evolve con il netto calo dei cristiani, il lieve aumento dei musulmani, la crescita dei non credenti.
La cosa che più mi ha colpita è che ci sono tanti italiani che ci lavorano e risiedono. Si trovano un sacco di ristoranti italiani che cucinano benissimo oltre che ristoranti di tutte le nazionalità. Qualche volta ti sembra di essere a casa ed è questo il bello.
Lei, Filomena, è impagabile, vale tanto oro quanto le sue parole non pesate: e lo sa, non posso nasconderle che mi è simpatica proprio per quella incoscienza, per quella irresponsabilità, per quella mancanza di senso della realtà che, del reato, la rendono così beatamente garrula.
Sono stato a Londra l’anno scorso: al solito eravamo un tribù di siciliani con torme di bambini al seguito: e almeno a differenza di Parigi, gli immigrati e i (rari) londinesi non si davano di gomito facendoci il verso “bombini, bombini”, vizio autoctono appreso con la naiveté dei nuovi arrivati da magrebhini e africani e ottentotti im-pariginati. Uno degli amici a Londra ci ha vissuto, a intervalli, per dieci anni, fra l’étà della Lady di Ferro e quella più soft di Blair: il giudizio è diametralmente opposto al suo. La pensano così i londinesi, se permette, bianchi, che lasciano Londra e l’Inghilterra, sempre meno british, proprio perché sanno che piace così a lei e a chi è della sua stessa strafottenza con gli ospiti e a casa loro. Una babele che è la versione degradata dell’omologazione culturale di pasolinana memoria.
Quindi: il cuscus, il pollo tandoori e Mc Donald: sarebbe questo? Si riferisce a questo, quando parla di ‘”arricchimento”, non alla desertificazione, per es., dell’agrumicoltura siciliana? E devono spostarsi in tanti per sentirsi a casa loro, cosa che la sua correttezza politica permetterà, si capisce, a tempo di record? E a che serve, in fondo, sentirsi a casa, beninteso, anche a casa tua, se si dispone di un così labile amor proprio? A lei Londra, ma che dico, il mondo piace così, Filomena: un mondo sempre più standardizzato, ma solo da noi, perché l’Africa, la Cina e l’India non si riempiono di italiani o svizzeri e filomene che cercano l’Italia a Uagadugu o Zurigo a Kinshasa. L’importante, certo, è che si sentano a casa loro gli immigrati. E tanto peggio per chi non è immigrato e tante grazie al senso di ospitalità suo e di quel quaquaraquà di Alfano.
perfetto raider, non fa una grinza. Grazie
Bisognerebbe chiederlo all’autista-donna del bus attaccata da decine di extracomunitari cosa ne pensa di questo ‘arricchimento culturale’…
basta camminare qualche ora in qualsiasi paese ( in città la cosa è talmente evidente in pochi minuti) per rendersi conto che quella che è in corso è una SOSTITUZIONE di popolazione. ci si sente circondati da persone che si percepiscono estranee alla nostra cultura ( a partire dai gusti alimentari ) e spesso ostili. in certi giorni ( ad esempio la domenica o in giorni di festa) sembra di vedere degli zombies che girano per le nostre strade, totalmente estranei a quello che vive il resto della popolazione. saranno pure MEZZE VERITA’ ma dovrebbero preoccupare. intanto, visto il CALO DEMOGRAFICO, alfano e c. ne hanno fatti entrare 120.000 .