
La Cop26, oggi al via, è già fallita (grazie alla Cina)

Oggi si apre a Glasgow la Cop26, la conferenza sul clima dell’Onu dove i leader mondiali cercheranno un accordo per mitigare i cambiamenti climatici. L’obiettivo è lo stesso degli accordi di Parigi del 2015: limitare il riscaldamento globale al 2100, rispetto all’inizio dell’era industriale, a 1,5 gradi. Secondo gli scienziati, per raggiungere questo risultato, gli Stati devono ridurre entro il 2030 le proprie emissioni di gas serra del 45% rispetto ai livelli del 2010. Non c’è però da tenere il fiato sospeso: a giudicare dagli Ndc ricevuti dall’Onu, cioè dalle promesse di riduzione delle emissioni fatte dai singoli Stati, l’obiettivo non può essere raggiunto.
Il problema principale sono i soldi
Nelle prossime due settimane, il dibattito tra i partecipanti verterà su cinque argomenti. Il nodo più importante riguarda i fondi che i paesi più ricchi metteranno a disposizione di quelli in via di sviluppo per intraprendere la transizione ecologica. Questi ultimi affermano di avere bisogno di 750 miliardi all’anno in sovvenzioni a fondo perduto. I paesi ricchi sono disposti a mettere sul piatto 100 miliardi, soprattutto sotto forma di prestiti, ma nel 2019 ne sono stati raccolti solo 80 e pochi di più nel 2020.
Il problema principale è dato dal fatto che la contribuzione è volontaria e nessuno ha stabilito quanto ogni paese deve prestare agli Stati più poveri. Non c’è consenso inoltre sul fatto se i fondi debbano essere spesi per progetti green o in infrastrutture per l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Mercato del carbonio, metano e promesse
Alla Cop26 si cercherà anche di fissare le regole per aprire un mercato del carbonio globale simile a quello in vigore nell’Unione Europea. Se verrà fissato un prezzo globale al carbonio, le aziende di tutto il mondo dovranno comprare un permesso inquinante per ogni tonnellata di CO2 rilasciata nell’aria. Anche in questo caso gli ostacoli da superare sono tanti: da un lato i paesi in via di sviluppo non vogliono pagare i permessi, dall’altro non è chiaro chi raccoglierà i proventi della tassa e chi deciderà come utilizzarli.
Il terzo capitolo riguarda la trasparenza e il rispetto degli impegni. Poiché gli accordi di Parigi sono volontari e non impongono alcun obbligo agli Stati, chiunque può fare promesse mirabolanti di riduzione della CO2 e non rispettarle senza ricevere sanzioni. Ecco perché gli Stati vogliono o imporre l’obbligo di mantenere le promesse fatte, un obiettivo considerato irraggiungibile, o almeno di prevedere un miglioramento annuale degli Ndc rispetto a quello quinquennale attuale.
Infine, i leader mondiali cercheranno di trovare un accordo alla Cop26 sulla limitazione dell’utilizzo del metano e sul taglio del 45% delle emissioni entro il 2030.
La Cop26 è già fallita
Come detto, la Cop26 è destinata a fallire. Anzi, è già fallita ancora prima di cominciare. Se anche infatti i leader mondiali trovassero un accordo su tutti i punti sopra elencati e se anche mettessero in pratica davvero ciò che hanno scritto su carta, i loro sforzi sarebbero vanificati dal comportamento di un singolo paese: la Cina, il cui leader Xi Jinping non a caso ha annunciato che non si presenterà a Glasgow.
La Cina è responsabile del 30% delle emissioni globali di CO2 e brucia più carbone di tutto il resto del mondo messo assieme. Non solo, secondo un nuovo studio inquina più di Usa, India, Russia e Giappone messi assieme. Siccome la delegazione cinese non voleva presentarsi a Glasgow a mani vuote, giovedì ha inviato uno stringato documento con le sue “nuove” promesse. Ha garantito che raggiungerà il picco delle emissioni entro il 2030, con la quota di combustibili non fossili che aumenterà al 25%, raggiungerà nel 2060 la neutralità carbonica, ridurrà le emissioni di CO2 per unità di Pil di oltre il 65% rispetto al livello del 2005 e porterà la capacità totale installata di energia eolica e solare a oltre 1,2 miliardi di kilowatt entro il 2030.
La Cina vanifica gli sforzi mondiali
Tutte queste promesse non rappresentano una novità visto che erano già state fatte da Xi Jinping nel 2020. E anche se la Cina le rispettasse, non sarebbe abbastanza per contenere a 1,5 gradi l’aumento della temperatura globale. Per raggiungere l’obiettivo, infatti, nel 2030 il mondo dovrebbe emettere “solo” 25 miliardi di tonnellate di C02, contro i 52 miliardi del 2019. La Cina da sola ne emette 14 miliardi e non prevede di ridurre questa cifra prima del 2030. In realtà, è altamente probabile che il dato aumenti nei prossimi nove anni: solo nella prima metà del 2021 il regime comunista ha approvato la costruzione di 24 nuove centrali a carbone.
Inoltre, per far fronte alla carenza di elettricità degli ultimi mesi, Xi Jinping ha ordinato di aumentare del 10 per cento la produzione di carbone. Per raggiungere davvero la neutralità climatica nel 2060, Pechino dovrebbe investire duemila miliardi di dollari all’anno per i prossimi 39 anni, secondo Ubs, e triplicare la velocità con cui introduce l’energia rinnovabile nel proprio paese, settore in cui è già leader mondiale. Come potrà farlo mantenendo allo stesso tempo gli obiettivi prefissati di crescita economica è un mistero.
Come dichiarato da John Kerry, delegato americano per le politiche climatiche, se la Cina non cambierà passo sarà «impossibile raggiungere i nostri obiettivi». Appunto.
Foto Ansa
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