La biblioteca del ghiaccio
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Il ghiaccio contiene numerose informazioni sulle variazioni del clima del passato, dell’ambiente e in particolare della composizione atmosferica: variazioni della temperatura, delle concentrazioni atmosferiche di gas serra, di emissioni di aerosol naturale (nuvole, nebbia, foschia) o di inquinanti di origine umana. Ma con l’aumento delle temperature di questi anni il countdown è iniziato. Se il cambiamento climatico proseguirà al ritmo attuale, i ghiacciai al di sotto dei 3.500 metri nelle Alpi e al di sotto dei 5.400 metri nelle Ande scompariranno entro la fine del XXI secolo e l’umanità perderà per sempre pagine uniche della storia del nostro ambiente.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Di fronte a questa situazione allarmante, un gruppo di scienziati italiani e francesi ha deciso di agire e ha lanciato nel 2015 il progetto Ice Memory. Al progetto iniziale franco-italiano, si sono successivamente uniti scienziati e ricercatori di tutto il mondo: americani, russi, cinesi, brasiliani, giapponesi, tedeschi. L’obiettivo principale è di costruire in Antartide la prima biblioteca mondiale dei ghiacciai minacciati dal cambiamento climatico. I primi carotaggi sono stati effettuati sul Monte Bianco nel 2016; seguirà il ghiacciaio dell’Illimani in Bolivia quest’anno, e poi a seguire almeno una decina di differenti ghiacciai del pianeta minacciati dal cambiamento climatico.
Dalle Alpi alle Ande
Cominciare dalle Alpi è stato necessario perché proprio qui i ghiacciai si ritirano più rapidamente. Sul Col du Dôme, a 4.300 metri sul Monte Bianco, gli scienziati hanno prelevato le prime tre carote di ghiaccio lunghe circa 130 metri. Di queste tre carote, una è stata già analizzata in laboratorio e rappresenta un vero e proprio archivio di dati disponibile per l’intera comunità scientifica internazionale. Le perforazioni infatti hanno rivelato il potenziale eccezionale di questo sito per ricostruire l’evoluzione del clima e dell’atmosfera su scala europea, mostrando, ad esempio, un aumento netto delle emissioni di anidride solforosa tra il 1925 e il 1980 nella zona delle Alpi.
Anche a 6.432 metri di altitudine, nel ghiacciaio dell’Illimani, dove i ricercatori saliranno nel prossimo giugno, le temperature aumentano di 1,5 gradi centigradi ogni dieci anni: la fusione dei ghiacci più superficiali nei mesi estivi rischia di cancellare la memoria storica del clima passato. Con 140 metri di profondità, il sito preserva 18 mila anni di archivi climatici e ambientali. Il suo studio permette di ricostruire il passato di questo ambiente risalendo fino all’ultima glaciazione, circa 20 mila anni fa. Ecco perché i ghiacciai vengono definiti le sentinelle dei cambiamenti climatici: sono i primi testimoni dell’innalzamento della temperatura e ne mostrano immediatamente gli effetti.
Come la Stele di Rosetta
Nella base antartica franco-italiana Concordia, le lunghe carote di ghiaccio staranno al sicuro: è situata a 3.233 metri di altitudine, dove la temperatura può scendere fino a -84 gradi in inverno. Vi lavorano 14 ricercatori nella stagione fredda, raggiunti in estate da decine di colleghi, fino a raggiungere il numero di 60. Il sito di stoccaggio delle carote di ghiaccio occuperà una superficie di circa 300 metri quadrati ed è stato concepito in modo tale da rispondere alla difficile sfida di garantire una temperatura stabile per la preservazione dei campioni.
I promotori del progetto pensano che la loro “biblioteca del ghiaccio” svolgerà per i posteri un ruolo analogo a quello della Stele di Rosetta, che aprì agli archeologi la scrittura degli egiziani e con essa i segreti della loro grande civiltà.
«La nostra generazione di scienziati, testimone del riscaldamento globale, ha una grande responsabilità verso le generazioni future. Per questo doneremo campioni di ghiaccio provenienti dai più fragili ghiacciai alla comunità scientifica dei decenni e dei secoli a venire, quando questi ghiacciai saranno scomparsi o avranno perso la qualità dei loro archivi», commenta Carlo Barbante, promotore italiano del progetto, direttore dell’Istituto per la dinamica dei processi ambientali del Consiglio nazionale delle ricerche (Idpa-Cnr) e professore all’Università Ca’ Foscari Venezia.
Foto Sarah Del Ben Wild Touch / Fondation Uga
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