Basta pornografia meteorologica. La verità è che il clima uccide sempre meno

Di Bjørn Lomborg
09 Aprile 2024
I dati sono chiari: nell’ultimo decennio, caldo, inondazioni e incendi hanno fatto il 98 per cento di morti in meno rispetto a un secolo fa. L’allarmismo dei media serve solo a dirottarci sulle politiche sbagliate
Una pagina dell’edizione del New York Herald del 4 settembre 1921 (fonte: newspapers.com)

A guardare i notiziari, si ha l’impressione che il cambiamento climatico stia rendendo il pianeta invivibile. Siamo bombardati da immagini di inondazioni, siccità, tempeste e incendi. E non ci fanno vedere solo gli eventi disastrosi che accadono nelle immediate vicinanze, ma anche i disastri lontani, se le immagini sono sufficientemente spaventose.

Tuttavia, l’impressione che ci dà questa raffica di catastrofi è decisamente fuorviante e rende più difficile adottare politiche corrette sui cambiamenti climatici. I dati dimostrano che gli eventi legati al clima come inondazioni, siccità, tempeste e incendi non stanno uccidendo più persone. Al contrario, le vittime sono diminuite drasticamente. Nell’ultimo decennio, i disastri legati al clima hanno ucciso il 98 per cento di persone in meno rispetto a un secolo fa.

Questo non dovrebbe stupire, perché si tratta di una tendenza evidente da parecchi decenni, anche se raramente viene segnalata. Un secolo fa, negli anni Venti, il numero medio di morti per disastri meteorologici era di 485 mila all’anno. Nel 1921, il New York Herald titolava la sua intera pagina di cronaca sulla siccità e le carestie che colpivano tutta l’Europa “Milioni di vittime nell’ondata di caldo record del 1921”. Da allora, quasi ogni decennio ha visto diminuire il numero dei morti, con una media di 168 mila morti all’anno negli anni Sessanta e meno di 9 mila morti all’anno nel decennio più recente, 2014-2023.

Il calo del 98 per cento delle morti legate al clima è confermato dal più autorevole database internazionale sulle catastrofi, che rappresenta il gold standard per la misurazione di questi fenomeni. È un dato affidabile perché le catastrofi con molte vittime sono state documentate in modo abbastanza costante nel corso del secolo.

È vero, comunque, che gli eventi minori – spesso causa di un numero di vittime assai inferiore o pari a zero – molto probabilmente sono stati più trascurati in passato rispetto a oggi, perché c’erano meno persone e una tecnologia meno avanzata. È questo il motivo per cui alcuni media e attivisti del clima sempre più frequentemente mettono in evidenza l’aumento degli eventi segnalati (piuttosto che la diminuzione del numero di morti) come prova che il cambiamento climatico sta devastando il pianeta.

Ma tutto questo aumento ha riguardato eventi meno gravi; gli eventi con più vittime invece sono pochi e in calo. L’“aumento” è dovuto alla tecnologia e all’interconnessione globale che consentono una rilevazione molto migliore di eventi di dimensioni sempre più ridotte, in qualunque luogo avvengano. Questo è evidente quando si considera che l’aumento si riscontra in tutte le categorie di disastri: non solo quelli meteorologici, ma anche quelli geofisici come eruzioni vulcaniche e terremoti, e quelli tecnologici come il deragliamento dei treni. Nemmeno i più radicali tra gli attivisti del clima sosterrebbero che il cambiamento climatico stia causando un aumento di deragliamenti di treni o di esplosioni vulcaniche.

Ecco perché il numero di vittime costituisce un metro di valutazione molto più solido. E questo sta diminuendo drasticamente perché le società più ricche e resilienti sono in grado di proteggere i propri cittadini molto meglio di quelle più povere e vulnerabili. Più risorse e innovazione significano più vite salvate. La ricerca conferma la coerenza di questa osservazione per quasi tutti i tipi di catastrofi, comprese tempeste, ondate di freddo, inondazioni.

Uno studio molto citato mostra come all’inizio di questo secolo le inondazioni costiere colpissero in media 3,4 milioni di persone causando 11 miliardi di dollari di danni all’anno. Sono stati spesi per opere di difesa delle coste circa 13 miliardi di dollari, pari allo 0,05 per cento del Pil mondiale.

Entro la fine di questo secolo, le persone a rischio saranno ancora di più e il cambiamento climatico comporterà un aumento del livello del mare fino a un metro. Se non faremo nulla, limitandoci a mantenere le opere di difesa delle coste come sono oggi, vaste aree del pianeta subiranno inondazioni regolari, sommergendo 187 milioni di persone e causando danni per 55 mila miliardi di dollari all’anno, per costi superiori al 5 per cento del Pil globale.

Ma le società più ricche riusciranno ad adattarsi prima che la situazione diventi così grave, anche perché il costo dell’adattamento è molto basso in confronto a quello dei danni potenziali, pari ad appena lo 0,005 per cento del Pil. Questo adattamento intelligente comporterà che, malgrado l’innalzamento del livello del mare, verranno sommerse meno persone che mai. Entro il 2100, il numero annuale di alluvionati sarà pari ad appena 15 mila. Anche il costo congiunto dell’adattamento e dei danni climatici si ridurrà ad appena lo 0,008 per cento del Pil.

Questi fatti aiutano a comprendere perché è importante guardare il quadro generale. Collegare ogni disastro al cambiamento climatico – e suggerire erroneamente che le cose stiano precipitando – ci porta a ignorare soluzioni pratiche ed efficaci dal punto di vista dei costi, mentre i media ci spingono a concentrare l’attenzione su politiche climatiche costose che aiutano poco.

Politiche climatiche enormemente ambiziose, che costano centinaia di migliaia di miliardi di dollari, sarebbero in grado di ridurre il numero di persone alluvionate entro la fine del secolo da 15 mila a circa 10 mila all’anno. L’adattamento salva già oggi quasi tutti i 3,4 milioni di alluvionati, mentre le politiche climatiche possono salvarne solo 0,005 milioni, nel migliore dei casi.

E il calcolo è ancora più netto se si prendono in considerazione i paesi poveri, dotati di poche risorse e di scarsa resilienza alle catastrofi. Nel 1970 il Bangladesh (allora Pakistan Orientale) riportò il numero di vittime più alto mai registrato a causa di un uragano: 300 mila. Da allora il paese ha sviluppato e migliorato i sistemi di allarme e i centri di accoglienza. Nell’ultimo decennio, le morti causate dagli uragani in Pakistan si sono attestate sulla media di appena 160, quasi duemila volte meno. Per aiutare i paesi a ridurre il numero di morti a causa delle catastrofi, dovremmo promuovere la prosperità, l’adattamento e la resilienza.

Naturalmente i disastri meteorologici sono solo un aspetto del cambiamento climatico, che è una vera questione globale che dovremmo risolvere in modo intelligente. Ma inondati come siamo da “pornografia meteorologica”, perdiamo di vista il fatto che le morti sono diminuite in modo drastico, e finiamo per dare la priorità alle misure meno efficaci.

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