Joseph Ratzinger, sacerdote da 60 anni: «Dio, aiutami a conoscerti meglio»
Sono passati 60 anni da quella «splendida giornata d’estate, che resta indimenticabile, come il momento più importante della mia vita», quella in cui «un uccellino – forse un’allodola – si levò dall’altare maggiore della cattedrale e intonò un piccolo canto gioioso; per me fu come se una voce dall’alto mi dicesse: va bene così, sei sulla strada giusta». Era il 29 giugno del 1951, quando Joseph Ratzinger, all’età di 24 anni, fu ordinato sacerdote. Oggi papa, con il nome di Benedetto XVI, Ratzinger festeggia l’anniversario celebrando la Messa nella cappella dei santi Pietro e Paolo, di cui oggi ricorre la festa. E nell’omelia ripercorre l’essenza dell’esperienza «di amicizia con Dio. Che mi conosce per nome, in modo del tutto personale».
Il Santo Padre ha ricordato le parole che l’arcivescovo gli rivolse quando venne ordinato. Sono quelle di Gesù: «“Non vi chiamo più servi, ma amici”, a sessant’anni sento ancora risuonare nel mio intimo quelle parole» di cui già allora «ero consapevole: Egli stesso, il Signore, le diceva a me in modo del tutto personale». Questa osservazione di Gesù, ha spiegato il Papa, «reca una gioia interiore e, al contempo, nella sua grandezza, può far venire i brividi lungo i decenni, con tutte le esperienze della propria debolezza e della sua inesauribile bontà». Queste parole il Pontefice le ricorda per dire quale è stato e quale continuerà ad essere il suo scopo: l’amicizia con Dio. «Ma cos’è l’amicizia? – ha voluto specificare Benedetto XVI – volere le stesse cose e non volere le stesse cose», perché «l’amicizia che Egli mi dona può solo significare che anche io cerchi di conoscere sempre meglio Lui; che io nella Scrittura, nei Sacramenti, nell’incontro della preghiera, nella comunione dei Santi, nelle persone che Egli mi manda, cerchi di conoscere sempre di più Lui stesso». E siccome l’amicizia «non è soltanto conoscenza», ma «soprattutto comunione nel volere», il Santo Padre ha chiarito che «la Sua volontà non è per me una volontà esterna, alla quale mi piego», anzi «nell’amicizia la Sua volontà diventa la mia».
Ma c’è un «terzo elemento» dell’amicizia e si comprende dal fatto che «Egli dona la sua vita per noi». Dopo aver menzionato questo fatto papa Ratzinger ha proseguito l’omelia pregando: «Signore aiutami a conoscerti sempre meglio! Aiutami sempre più a essere una cosa sola con la tua volontà! Aiutami a vivere la mia vita non per me stesso, ma a viverla insieme con te per gli altri! Aiutami a diventare sempre di più tuo amico!». Benedetto XVI ha poi ripreso spiegando che l’amicizia di Gesù si inserisce nel discorso sulla vite e i tralci: «Vi ho costituito perché andiate e portiate molto frutto e il vostro frutto rimanga». Ebbene «il frutto della vite è l’uva», ma «perché maturi un vino pregiato, c’è bisogno della pigiatura, ci vuole la pazienza della fermentazione, la cura attenta che serve ai processi di maturazione». Così anche noi, ha sottolineato il Papa, «abbiamo bisogno del sole e della pioggia, della serenità e delle difficoltà, delle fasi di purificazione e di prova come anche dei tempi di cammino gioioso. Volgendo indietro lo sguardo possiamo ringraziare Dio per entrambe le cose: per le difficoltà e per le gioie, per le ore buie e per quelle felici. In entrambe riconosciamo la presenza continua del suo amore, che sempre di nuovo ci porta e ci sopporta.
Da ultimo il Papa ha domandato quale sia il frutto «che Dio attende da noi». E ha parlato di amore e giustizia «perché la vita vissuta secondo la Legge di Dio» non è «una visione veterotestamentaria. E infatti amore e giustizia stanno insieme perché l’autentico contenuto della Legge è l’amore per Dio e per il prossimo». Questo duplice amore «non è semplicemente qualcosa di dolce. Porta in sé il carico della pazienza e dell’umiltà», tanto che «la fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, richiede sempre di essere realizzata anche nella sofferenza. Proprio perché così cresce la vera gioia». Perciò Ratzinger ha parlato di amicizia come giogo, ma «giogo leggero» perché «amore significa abbandonarsi, donarsi; reca in sé il segno della croce».
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