Denatalità, senza famiglia impera l’idiozia di paragonare i bambini a cose e stili di vita

Di Caterina Giojelli
31 Maggio 2022
C'è un unico luogo che viene prima di Stato, mercato, diritti, redazioni che diffondono il sogno di un mondo senza vagiti, conflitti ed emissioni. È il luogo che fa la differenza tra uomini e orfani

Denatalità: o ci siamo arresi o non si spiega la reazione di sbadiglio collettivo – quando non isterica delle amazzoni childfree – alla scomparsa dei bambini in Italia. Nel 2020 per ogni bambino c’erano 5,1 anziani. E noi lanciavamo l’allarme “estinzione di massa” a causa del cambiamento climatico. Nel 2021 siamo scesi sotto la soglia dei 400 mila. E noi a discutere di maternità “retaggio del patriarcato”. Nel 2050 avremo 5 milioni di italiani in meno, perderemo 2 milioni di giovani, poco più di un italiano su due sarà in età da lavoro e dovrà prendersi cura di tutti gli under 20 e degli over 66. E noi qui a discutere di aborto, fine vita, sovrappopolazione.

Denatalità, l’allarme più frustrato

“Denatalità” è l’allarme più lanciato e frustrato in Italia: non mancano le metafore – l’ultima diffusa in occasione degli Stati Generali sulla natalità di metà maggio: “Nel 2050 sparirà una regione grande come il Veneto” -, non mancano gli appelli a invertire la rotta puntualmente aggiornati dal presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, l’elenco delle sciagure a cui andremo incontro denunciate dal demografo Alessandro Rosina. Non manca un Papa che non le manda a dire («l’Italia, l’Europa e l’Occidente si stanno impoverendo di avvenire» e «questa è una nuova povertà che mi spaventa. È la povertà generativa di chi fa lo sconto al desiderio di felicità che ha nel cuore, di chi si rassegna ad annacquare le aspirazioni più grandi, di chi si accontenta di poco e smette di sperare in grande»).

Non manca l’appello del presidente della Repubblica né di un ministro dell’Istruzione preoccupato da qui a vent’anni di «non riuscire più a formare le prime», medici come quelli della Società Italiana della Riproduzione Umana (Siru) che denunciano il rischio «estinzione se non si interviene subito. È fondamentale promuovere la cultura della fertilità e della riproduzione fra i giovani». Perfino Elon Musk non si è lasciato sfuggire un’infografica dell’Istat sottopostagli da un data analyst su Twitter che mostra la caduta in picchiata del tasso di natalità sceso dal dopoguerra al 2021 sotto i 400 mila nuovi nati: «L’Italia non avrà più popolazione se queste tendenze continueranno», è il commento, diventato virale, del boss di Tesla.

Donne stressate, ragazzi con la fifa di procreare

Sarà mica una tragedia? Se lo chiede, da ultimo, il Sole 24 Ore, sottolineando il “paradosso narrativo” di «batterci perché le donne lavorino a tempo pieno, siano indipendenti economicamente, istruite, che coltivino i propri hobbies, e che si mantengano in forma» e al contempo chiedere «loro di essere “resilienti”. Ma le vogliamo anche veramente serene?». Secondo il Sole la “resilienza” si traduce in «una pressione nel dover (siccome puoi, allora devi provarci) riuscire a fare tutto al meglio, e di essere felice per questa skill incredibile che la Natura ti ha geneticamente donato (falso, peraltro). Salvo che poi, se qualcosa sfugge – e con i bambini e i ragazzi è fisiologico che sfugga – scatta il senso di colpa, personale e sociale». Si sta parlando di natalità.

Certo, non siamo nell’America woke, dove il sogno di un mondo post-genitore, preconizzato dalla studiosa Sophie Lewis nel suo Full Surrogacy Now: Feminism Against Family (dove definisce la famiglia una microfabbrica di debitori che fa schifo e la gravidanza qualcosa contro cui lottare), sembra avere trovato uno strano humus nei millennial col sogno non più di una famiglia ma di una sorta di comune senza vagiti, conflitti ed emissioni.

Vecchie difficoltà, nuove childfree

Se è vero che al di là dell’oceano la battaglia dalle donne si è spostata sui ragazzi che a frotte chiedono l’asportazione delle tube e la vasectomia, trovano sia «moralmente sbagliato» fare bambini che inquineranno e soffriranno il razzismo, qui in Italia ci si concentra sulla mancanza di “madri potenziali”. Mancanza in parte riconducibile al calo demografico iniziato tra il ’76 e il ’95, in parte alle “solite” difficoltà delle madri di conciliare lavoro e vita familiare, degli asili nido, degli scarsi sostegni economici per chi mette al mondo figli. In parte anche alle nuove suffragette del diritto a ribellarsi allo stereotipo della “sfornafigli” che rinuncia alla propria identità individuale per identificarsi esclusivamente nel ruolo materno, un ruolo che “non è per tutte” e che non dovrebbe “subire” nessun bambino.

Arrendersi al destino della denatalità e di diventare i leader mondiali nella “silver economy” come panacea dei mali che investiranno tutti i settori economici (dal problema del debito pubblico al mantenimento delle infrastrutture) sembra la sola alternativa a una lotta contro i mulini a vento per invertire la rotta delle nascite, puntando sull’invogliare le donne a procreare a colpi assegni familiari, congedi di paternità, politiche di conciliazione, servizi. Terapie utilissime, per carità. Eppure, nell’iperindividualismo in cui siamo precipitati, incapaci di riconoscere un imperativo diverso dall’autosufficienza e l’autodeterminazione, o di vedere in un figlio che nasce, una persona che sorge, che supera i nostri piani, invece di una voce di costo e bilancio da far quadrare, restano terapie “parcellizzanti” il problema. Che non è solo “la donna”, “i costi”, “i soldi”, “il lavoro”. C’è un grande assente nella narrazione della denatalità, assurta a parolaccia o sbadiglio collettivo, in una società che ha sancito il passaggio dall’unione tra uomo e donna all’azienda col pallino di far tornare i conti, dalla nascita alla fabbricazione tecnoscientifica: un assente chiamato famiglia. L’unico luogo anteriore allo Stato, al diritto, al mercato e alla cultura, Il luogo della maestà del genealogico.

Un altro bambino? La risposta di Hadjadj è la famiglia

L’unica vera risposta alla ragion denatalista è infatti quella che ha dato Fabrice Hadjadj, padre di nove figli, tutti dalla stessa moglie, in un libretto di 128 pagine (qui trovate l’ampia recensione di Rodolfo Casadei per il numero di Tempi di maggio) intitolato Encore un enfant? (Un altro bambino?). A chi gli rinfaccia che «viviamo in un mondo difficile, e voi non fate altro che mettere al mondo dei figli», il filosofo ricorda che è il consumismo, e non la natalità, l’origine del degrado contemporaneo: chi ha una famiglia numerosa (quante volte lo ha sottolineato anche Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la natalità e del Forum nazionale delle associazioni familiari) vive di rapporti, conosce la frugalità, chi non ce l’ha vive di cose, e deve moltiplicarne l’acquisto (anche a spese degli equilibri ambientali). Rinunciare a un essere, uno sguardo nuovo che può cambiare il mondo come si trattasse di una cosa o di uno stile di vita, non è un bene, un diritto, il cuore di un dibattito, la disdetta di un volo aereo, è una semplice idiozia. Perché:

«Il miracolo che salva il mondo, l’ambito delle faccende umane, dalla sua normale, “naturale” rovina è in definitiva il fatto della natalità, in cui è ontologicamente radicata la facoltà dell’azione. È, in altre parole, la nascita di nuovi uomini e il nuovo inizio, l’azione di cui essi sono capaci in virtù dell’esser nati. Solo la piena esperienza di questa facoltà può conferire alle cose umane fede e speranza, le due essenziali caratteristiche dell’esperienza umana […]. Sono questa speranza e questa fede nel mondo che hanno trovato forse la loro più gloriosa e stringata espressione nella piccola frase dei Vangeli che annunciano la loro “lieta novella”: “Un bambino è nato per noi”».

Per noi. Opporre il «bene all’essere», l’amore per il bambino, che si vorrebbe che nascesse solo se c’è la certezza che sarà felice, se si è all’altezza, degni, se si hanno soldi, tempo, voglia, non conduce solo a negare l’essere al bambino, ma a delegittimare la nostra stessa vita e quella dei nostri padri, perché nessuno di noi è stato messo al mondo nella certezza che saremmo stati felici, e nemmeno a determinate condizioni e con le dovute skills. Se il logico prende il sopravvento sul genealogico, è la tesi di Hadjadj – e non esiste risposta migliore ai fan della denatalità di ogni risma e redazione – la fonte della vita si inaridisce. Bastasse l’amore, non fosse la famiglia il fulcro del problema della denatalità, dell’assenza di madri, padri, e non solo di figli, per allevare i bambini basterebbero gli orfanotrofi.

Foto di Orlando Allo su Unsplash

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