In tempi di virus, bisogna comunque «dar da mangiare agli affamati»

Di Caterina Giojelli
19 Marzo 2020
Boom di indigenti, anziani assistiti e volontariato azzoppato. Giovanni Bruno racconta i salti mortali del Banco alimentare

Pensava di essere giunta al miserere, «di essere stata abbandonata ancora una volta. Invece ho trovato il pacco di viveri fuori dalla porta». Il messaggio arriva di notte, dalla Sicilia, come arrivano i messaggi in questi giorni, a centinaia su Whatsapp. Ma quel messaggio Giovanni Bruno, presidente della Fondazione Banco Alimentare onlus, ce l’ha stampato sulle pupille quando, in videoconferenza con la federazione europea dei banchi, dice: «L’Europa evoca il “whatever it takes” di Mario Draghi di fronte al coronavirus. Ecco io non so se riusciremo a fare “whatever it takes”. Ma so che faremo “whatever is possible”, per affrontare il Coronavirus e per non abbandonare chi si aspetta il nostro aiuto».

Cioè oltre un milione e mezzo di persone che ogni giorno affollano in Italia 7.500 strutture caritative accreditate presso il Banco alimentare.

Che “affollavano”: tenete a mente questi numeri, perché cambiano di ora in ora. Un milione e mezzo di assistiti da 7.500 strutture caritative insieme a 1.800 volontari continuativi, tra questi tanti pensionati over 65, sono i numeri che fino a fine febbraio rappresentavano la catena di solidarietà del Banco. Una catena che rischia di incepparsi ogni giorno con l’aggravarsi dell’emergenza sanitaria e in zone sempre più vaste del paese. È un fatto che le attuali misure di contenimento della diffusione stiano ingrossando le fila dei poveri: ci faccia caso, dove sono finiti gli ambulanti, i lavavetri, i venditori di rose, quelli con la mano tesa a chiedere l’elemosina fuori dalle chiese o agli angoli delle strade? Chi si arrangiava a comprare il pane con i due spicci della carità quotidiana oggi bussa alle porte delle poche mense e strutture aperte. Ventimila bambini, che sappiamo ricevere un unico pasto completo al giorno, quello della mensa scolastica, sono a rischio malnutrizione dalla chiusura dei loro istituti. Malati e anziani non possono uscire e mai come ora hanno bisogno di essere aiutati e raggiunti da qualcuno con la spesa. Ma il nostro aiuto – specie nella Regione più colpita dal coronavirus, la Lombardia – dipende proprio da pensionati e over 70 anni, motore del sociale e dell’impresa di raggiungere e “dar da mangiare agli affamati”. E le dico che mai si erano sentiti inutili o di peso come in queste circostanze. Col venire meno del loro importante contributo questa catena di solidarietà oggi inevitabilmente rallenta e a questo si aggiungono le difficoltà logistiche nel recupero e nella distribuzione del cibo.

La situazione però non si risolverà nel breve periodo, come si fa a trovare un equilibrio tra diritto al pane e diritto alla salute?

Bisogna rimboccarci le maniche, vigilare e osservare le norme igienico/sanitarie, innanzitutto per il rispetto e l’attenzione dovuta alle persone, operatori e assistiti, perché il bene della salute viene prima. Ma dobbiamo portare a casa lo stesso il risultato e sfamare anche in queste condizioni tutti. La situazione non si risolverà neanche con un vaccino: quando ne usciremo il paese affronterà la recessione, e recessione, lo sappiamo bene, vuol dire migliaia di nuovi poveri, migliaia di nuovi affamati. Per noi è cominciato tutto fin dal primo istante, a Codogno e nei paesi limitrofi, a Vo’ Euganeo per investire in fretta l’Emilia: in quei primissimi giorni non abbiamo potuto portare il cibo dai magazzini alle mense e a chi aveva fame, neanche lasciarlo sulla linea di confine cercando un coordinamento con la protezione civile. Poi siamo entrati tutti in zona a rischio, ed è allora che abbiamo dovuto iniziare a difendere la consegna di alimenti per i poveri, far rientrare tra le attività primarie garantite dai decreti l’opera del Banco. Un servizio pubblico essenziale. Nuove regole e parametri, sì, ma abbiamo anche una nuova responsabilità, se si possono movimentare merci e bulloni si deve poter movimentare il cibo per i poveri.

Avete dovuto prendere anche posizioni sofferte?

A seguito degli ultimi sviluppi riguardo i decreti ministeriali abbiamo dovuto sospendere le attività collaterali al Banco come il servizio Siticibo per l’attività ordinaria, sia diretto che su delega, fino al 3 aprile 2020. Vista la capillarità del servizio, il numero di persone coinvolte e l’età media dei volontari non potevamo rischiare. Ma le attività dei magazzini, seppur, ripeto, rallentate, non si fermano: si rispetta la distanza, si entra uno per volta, si predispongono muletti e furgoni seguendo un protocollo ferreo. Si suggeriscono alle tante strutture caritative le consegne dirette organizzate al telefono, lasciando il pacco fuori dalla porta. Non ci si fermi a chiacchierare, ma si chiamino più spesso le famiglie al telefono. E quando al Banco alimentare si lavora, si indossano guanti e mascherine, che costano caro. E diciamolo, perché non sappiamo come si comporteranno i nostri partner donatori di alimenti: dopo il primo decreto, da Milano Ristorazione a tantissime catene della ristorazione c’è stata la corsa a donare. Ma cosa accade se le consegne sono pregiudicate? E cosa accadrà nei prossimi mesi? Non sappiamo quanto peserà questa situazione sulla nostra situazione economica e sulle nostre capacità di raccogliere fondi e cibo, a partire dalla tradizionale Colletta alimentare che dal 1997 è il gesto di solidarietà più partecipato d’Italia. Ma sappiamo che occorrerà farci trovare pronti, non tanto e non solo con programmi di intervento studiati a tavolino, ma con la mente e il cuore aperti e resi ancora più disponibili e liberi dalla attuale contingenza.

Non potete sconfiggere la povertà ma potete aiutare i poveri.

Noi di fronte alla necessità forniamo aiuto, non soluzioni temporanee, forniamo cibo, non soldi, diamo una mano. Non siamo assistenzialisti, forniamo un servizio pubblico essenziale. Oggi a Milano, insieme a Caritas Ambrosiana, Fondazione Cariplo, Programma QuBì, Coop Lombardia, Milano Ristorazione e Ama, abbiamo aderito all’iniziativa dell’Assessorato alle Politiche Sociali e Protezione civile: l’istituzione di sette hub temporanei per la consegna della spesa a domicilio per le famiglie meno abbienti. Centocinquanta tra dipendenti del Comune, operatori e volontari si occuperanno della consegna. Di fatto dal nostro centro logistico della Lombardia renderemo disponibile ogni giorno circa 1 tonnellata di cibo per ogni hub (con possibilità di aumento nelle settimane successive), tra pasta, riso, legumi, tonno, biscotti, passata di pomodoro, olio, sale, zucchero e, nel caso di famiglie con neonati, anche latte artificiale e omogeneizzati. Al di là delle “forme”, non consuete per l’opera del Banco, si tratta di poter esserci, esserci immaginando nuove strade, strumenti, adatti a disponibilità e responsabilità. Dobbiamo vincere il virus ma anche la sfida di condividere il bisogno per condividere la vita nelle circostanze date, portare a casa il risultato: non lasciare indietro nessuno.

Chi vi sta aiutando e come facciamo ad aiutarvi?

Ci sta aiutando Santa Madre Chiesa: la Cei ci ha donato mezzo milione di euro dimostrando paternità e maternità grandissima nei confronti della nostra opera. Dobbiamo essere all’altezza oggi più che mai di quanto ci ha chiesto papa Francesco in udienza lo scorso anno, quando ci ha ricordato che “il bene va fatto bene”. E per farlo bisogna anche volersi bene, essere grati del bene ricevuto. Per aiutarci chiedo solo di non dimenticare i poveri, lo chiedo ai cittadini ma lo chiedo in primis alle istituzioni. Non dimenticate ai margini i poveri perché nessuno di noi del Banco potrà partire con l’elmetto in testa per sfidare ordinanze a costo di sfamarli. Ma faremo “whatever is possible”, tutto ciò che ci sarà possibile per continuare a “dar da mangiare agli affamati”.

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